Ricordiamo tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi.
Il 4 novembre è la Festa delle Forze Armate Italiane e la Giornata dell’Unità Nazionale, istituita nel 1919, a ricordo della fine e della vittoria nella prima guerra mondiale.
Un tempo e fino al 1976, questa ricorrenza era giustamente molto sentita, come avviene tuttora in altre repubbliche europee per la medesima circostanza. Oggi è meno nota e ricordata. Coincide con l’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti a Padova, sottoscritta il giorno prima, 3 novembre 1918, dall’Impero austro-ungarico e l’Italia.
Le trattative per l’armistizio erano cominciate il 29 ottobre, durante la battaglia di Vittorio Veneto: l’ultimo scontro armato tra l’Italia e l’Impero austro-ungarico. Il generale Armando Diaz, comandante delle forze armate italiane, comunicò la vittoria e la fine della Guerra, con il famoso bollettino di guerra.
Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12
Bollettino di guerra n. 1268
La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.
(Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito)
Una curiosità.
Successivamente all’apposizione della targa in tutti i municipi d’Italia, la fama e il nome di Diaz divennero quelli di un eroe nazionale. In alcune versioni della targa, tuttavia, questa terminava con le parole “FIRMATO, DIAZ”, o nella forma abbreviata “F.TO, DIAZ” spesso senza nemmeno la virgola. Ciò, unito alla ormai celebrità del generale e alla relativa ignoranza o ingenuità della molta parte del popolo che a malapena sapeva leggere e che riteneva che “firmato” fosse il nome dell’eroe, fece sì che nei primi anni 20 in Italia si diffondesse, soprattutto nelle fasce più umili della società, il nome di battesimo “Firmato”, talvolta modificato in Firmino in quanto “Firmato” non è previsto dal martirologio romano. (credit Wiki)
(ap)