Se qualcuno mi chiedesse quando ho visto il tombolo per la prima volta, risponderei con una domanda: “Tu quando hai visto il sole per la prima volta?”.
Ecco, io non me lo ricordo, come credo tutti gli offidani. Era lì, in casa. Nonna, mamma, entrambe ce l’avevano e lo facevano. Mamma ne aveva uno anche in negozio. E se andavamo a casa di qualcuno, be’, lo vedevi anche lì. Coperto e messo in un angolo, se nessuno lo stava lavorando, o coi fuselli saltellanti, se qualcuna era intenta a lavorarci su. Ce n’era uno in ognidove.
La prima coraggiosa a mettere dei fuselli in mano a me e Veruska, fu nonna Nn’ttina in quel di Via Cipolletti. Prima a Veruska a 4 anni, poi due anni dopo a me. Lei aveva più pazienza e più tempo di mamma. Per noi era un gioco, e intanto eravamo lì, vicine a lei buone e tranquille. A volte c’era anche la supervisione di Valentina d’ Guazziér, che però aveva un piglio più severo.
Spesso chiedevamo a nonna: “Siamo brave?”. La sua risposta era sempre la stessa: “Quant s’ntaret snà li cannjtt, sarete mbarat sol na mm’ta“.
Me la ricordo la pr’penna piccola, adatta alla nostra altezza (oddio sarebbe meglio dire “bassezza”); era verde acqua, e il capezzale, nonna ce lo fece rosa.
Due coppie e si comincia! La catenella per prima, poi la stradella dritta, le curve, le r’ccòt, li bb’scitt, la mezza v’tata e via ancora e ancora, e… ancora siamo qui ad imparare roba nuova.
Più avanti poi eravamo con mamma davanti al negozio di alimentari e tabacchi, che aveva Fuori Porta, e insieme ad Elvira d Nd’nacc, Dina la mamma di Marcella e Giovanni Aurini, Deiva e ancora la mamma di Francesca la parrucchiera, ci mettevamo lì a fare il tombolo.
Quante volte mamma ci diceva lapidaria: “Ess nn va bbe! Sfasc fin e ecc! – e ti alzava la spilla per indicarti fin dove – e lu r’fa, nn lu vid che t s’è trasc’nat?!“. Che poi, per capire che cacchio significasse c’ho messo un po’. Non era armonioso, non era equilibrato, la curva non seguiva bene il suo asse (non so neanche se si dice così).
Tutto questo, però, non avrebbe sortito lo stesso effetto di “s’è trasc’nat, nn lu vid?!”. Insomma siamo cresciute con chi ci correggeva quando sbagliavamo. E soprattutto, non ci ha mai permesso di lasciare lì l’errore e proseguire. No, no! “Sfasc fin e ecc, e può lu r’fa” era una sentenza!! Del resto come diceva nonna: Sfascia e r’fa, nn t manca mai da fa.
A volte mi incantavo a guardare le mani di Dina; i fuselli non saltellavano mica, volavano!
Era straordinaria! Non si percepivano i movimenti; in un lampo aveva iniziato la v’tata e l’aveva anche finita, senza che ci si accorgesse che stava intrecciando i fili.
Io il tombolo l’ho sempre fatto, anche da adolescente o da ragazza più grande. Anche quando non era certo di moda, quando, anzi, era piuttosto snobbato. Io lo facevo lo stesso, mi piaceva, e se non conoscevo qualche punto o qualche disegno, andavo da quelle merlettaie che potevano mostrarmi come lavorarci.
Mi è capitato di andare da Maria la moglie d Mario d Caprar, o dalla cognata, la mamma d Marco Caprar
o ancora da Zia Ena la mamma di Bruno M’ró. Tutte loro sono state disponibilissime a mostrarmi il loro sapere. E non finirò mai di ringraziarle.
Ecco il segreto del tombolo di Offida! Non si può codificare, semplicemente perché non è fatto con le mani. Starete pensando: “Ma che stai a dì?“. Dico davvero! No, il tombolo di Offida non è fatto con le mani.
È fatto con gli occhi. Le mani sono strumento degli occhi. Esse eseguono l’intreccio seguendo la tecnica, che però è comune a tutto il mondo. La tecnica si può acquisire anche da un libro, da un tutorial ma se non hai chi ti dice: “Sfasc fin e ecc e può lu r’fa”, “T s’è trasc’nat”,”È tropp lask”, “È r’gnus”, “La r’ccot quscí s spacc”, “Nd’rcin d più o d men” … non puoi dire di aver imparato a fare il tombolo di Offida.
Daniza Scipioni