resti-dei-motorini-coinvolti-nellincidente.jpgSi è aperto in un clima di grande tensione nel Tribunale di Ascoli Piceno il processo con rito immediato a carico di Marco Ahmetovic, il nomade rom di 22 anni che, ubriaco alla guida di un furgone, travolse e uccise quattro ragazzi in motorino. «Assassino…assassino! Devi marcire in carcere…» hanno gridato i familiari delle giovani vittime all’arrivo in aula del giovane che, silenzioso, si è seduto al primo banco senza dire una parola. Qualcuno – una cinquantina le persone che assistono al processo – ha anche tentato di forzare il cordone di polizia e carabinieri per avvicinarsi ad Ahmetovic, ma è stata respinta. Fra i parenti di Eleonora Allevi, Alex Luciani, Davide Corradetti e Danilo Traini, tutti fra i 16 e i 18 anni, falciati dal furgone dell’imputato mentre andavano a comprare un gelato, c’erano genitori, fratelli, cugini. Qualcuno ha anche avuto un malore. A urlare insulti contro l’omicida, anche Leonardo, il fratello di Eleonora, miracolosamente scampato alla strage benchè ferito. Con le stampelle, ha minacciato Ahmetovic, mentre altri gridavano «vergogna, vergogna» all’indirizzo del difensore del rom, l’avv. Felice Franchi. Sotto la sorveglianza di una quarantina di agenti e carabinieri l’udienza è poi iniziata regolarmente, con la costituzione delle parti civili. Lo zio di Alex: «La colpa è dello Stato»
«Ci dovevano pensare lo Stato, il Governo, le istituzioni», perchè «gli incidenti possono accadere», ma «questo rom era un pericolo costante». Così Giuseppe Antolini, zio di Alex Luciani, una delle quattro vittime della strage, ha detto ai giornalisti, in una pausa della prima udienza del processo a carico di Marco Ahmetovic, accusato di omicidio colposo plurimo, resistenza a pubblico ufficiale, e guida in stato di ebbrezza. Antolini ha fatto riferimento implicito al problema del campo nomadi di Appignano, ripetutamente dato alle fiamme da ignoti dopo quel 23 aprile, ma già da prima mal tollerato dalla popolazione locale. L’uomo, paramedico, è stato uno dei primi a soccorrere il rom la notte dell’incidente, in ospedale.

«Marco ti voglio bene…siamo andati a scuola insieme, ti ricordi?». A gridare la sua solidarietà all’omicida, seduto al primo banco, è una ragazza minuta, capelli ricci, rimasta in piedi fra i parenti e gli amici delle vittime, assembrati dietro la transenna. Filippo Giuseppe Allevi, padre di Eleonora, una dei ragazzi uccisi, non ci vede più, e si scaglia contro la giovane, pensando che sia la moglie o un’amica del rom. Lei viene difesa a stento da altre persone, perchè lì per lì si pensa che la sua sia stata una frase beffarda, un modo per prendere in giro Ahmetovic (che fra l’altro aveva frequentato le medie insieme ad Eleonora). Il padre di Eleonora viene ricondotto alla calma, la ragazza scappa via – un vigile urbano la vede salire su un’auto dove l’attendono altre persone – e il mistero resta. Nessuno ricorda quel viso: qualcuno pensa che sia davvero una parente o un’amica di Ahmetovic, qualcun altro ipotizza una «provocazione» della comunità rom per far scoppiare disordini e ottenere così il trasferimento del processo in un’altra sede, più tranquilla. (Fonte: la Stampa)

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