S.Maria della Rocca
E’ difficile immaginare, per chi guarda il panorama dalla scalinata della chiesa di Santa Maria della Rocca, che quel paesaggio fu un giorno il fondo piatto di un oceano. Oggi vediamo i monti della Laga, i Sibillini e una serie di declivi, colline e valli. Quanti drammatici sconvolgimenti ha avuto nel tempo questo luogo?
All’inizio c’era un immenso mare circondato da terre emerse come testimoniano i fossili di Smerillo. Poi il sollevamento degli Appennini ed il conseguente frantumarsi delle rocce cretaciche ed il loro piegarsi le une sulle altre, che assestandosi hanno conferito al paesaggio un tormentoso andamento.
Al termine del miocene il territorio compreso tra i monti della Laga e i Sibillini era quindi probabilmente un mare che regrediva, a causa della evaporazione dell’intero bacino del Mediterraneo, dopo la chiusura dello stretto di Gibilterra per l’accostamento del continente africano alla Spagna.
Il sito fu alternativamente una calda laguna tropicale, o una distesa di ghiaccio che con il suo lento scivolare verso il basso segnava sul terreno la strada ai futuri fiumi. L’evoluzione non è ancora fermata; il Piceno è considerato una zona a rischio sismico, le spinte tettoniche continuano a muovere le grandi zolle originando frequenti movimenti sismici, fortunatamente non di grande intensità grazie alla capacità di assorbimento delle spinte dei terreni arenacei di cui è costituito il suolo.
Quindi tra le maglie di formazione mesozoica stanno le ondulate colline mioplioceniche “balconate delle Marche” ondulate ed allineate verso il litorale incise da corsi fluviali e torrentizi lenti e divaganti. Un elemento caratteristico del paesaggio consiste nei cosiddetti calanchi formati per erosione da parte delle acque nelle rocce argillose mioplioceniche scarsamente resistenti e inclini al dilavamento.
Argille laminate alla base dello sperone di sabbia e ghiaia; nel punto di passaggio argille marnose (erosione frontale). Dallo strato superiore l’acqua si infiltra nelle crepe del terreno aprendole e tagliando delle vere e proprie fette di terreno; scorrendo in quello centrale calcareo, più solubile crea la caratteristica forma rientrante “a prua di nave” del calanco su cui sorge Santa Maria.
Nel corso dei secoli gli unici interventi possibili, data l’estensione dell’area franosa, sono risultati quelli di rimboschimento della parte superiore delle rupi per diminuire il dilavamento ad opera dell’acqua e la costruzione di briglie in muratura nel letto dei fossi per colmarli gradualmente nel tempo.
In casi estremi, come il lato nord della rupe di S. Maria o in quello sud del vicino centro storico di Castignano, si intraprende la costruzione di imponenti muraglioni di contenimento dell’intera rupe; opera costosissima ma con l’esito di una radicale soluzione del problema.
La chiesa e l’antico Monastero nei secoli
La prima chiesa
Nella difficoltà di acquisire conoscenza attraverso documentazione storica o scientifiche indagini archeologiche si è finora sorvolato, di tentare la ricostruzione anche ideale dell’originario “Castello” o della fase più antica del cenobio benedettino. A questi due complessi si è pur certi che siano appartenuti l’antica cripta della chiesa e parte della torre campanaria, quest’ultima più bassa di 1/3 dell’attuale.
Nello spazio tra la parete meridionale della chiesa e il lato settentrionale della torre doveva verosimilmente trovarsi, ancora leggibile nella cripta trecentesca, l’ingresso al complesso fortificato in posizione rientrante ben difendibile sia dalla sporgenza della torre a sinistra che dalla tribuna dell’antica chiesa a destra che, pur non raggiungendo il limite dell’attuale, si protendeva al di fuori dell’edificio per diversi metri.
A sinistra della torre si trovavano i diversi corpi di fabbrica del castello, adattati a cenobio per i monaci nell’XI secolo, sui quali verrà successivamente ricostruito il monastero. Dall’altro lato oltre la chiesa un’ala della costruzione, ricordata nel 1236, chiudeva il breve tratto di terreno fino al ciglio della rupe dove si innestavano le duecentesche mura comunali.
Questi ambienti furono demoliti nel XIV secolo per aprire la strada esterna di accesso alla porta principale della chiesa, quella occidentale, prolungando come è oggi quella che dalla città attraversa l’orto monastico.
Fino al secolo XIV la strada raggiungeva la porta del castello/monastero non direttamente, ma salendo sinuosamente costeggiava prima tutta la facciata dell’edificio da nord a sud; poi ripiegandosi su se stessa saliva sotto la torre dove con una curva chiusa tra questa e la parete della chiesa finiva finalmente sulla soglia del portone.
Oltrepassato l’atrio che proteggeva la porta e costituiva la struttura difensiva e di collegamento tra la torre e il corpo della chiesa, si apriva la corte nella quale è scavata la cisterna per l’acqua tuttora esistente. Su questa corte si affacciavano tutti gli edifici principali del castello; di questi, il lato meridionale della chiesa – l’unico rimasto – è infatti ricco di aperture; tre monofore per l’illuminazione e l’areazione dell’interno e l’ingresso formato da una porta ad arco a tutto sesto.
Probabilmente davanti alla chiesa esisteva sin da allora un elemento porticato, forse di legno, che al momento della costruzione del primitivo chiostro fu rifatto con arcate in muratura, quali tuttora si vedono nel lato superstite accanto alla torre.
Il primitivo chiostro era formato da quattro bracci esattamente perpendicolari, almeno per quanto si può immaginare dalle strutture esistenti; con la costruzione della chiesa attuale nel secolo XIV non si fece altro che inglobare nella nuova navata l’antico braccio del chiostro di cui furono riprodotte, probabilmente col solo fine decorativo, le arcate alla base esterna della parete.
All’interno la chiesa era divisa in due piani terminati a oriente da una o più absidi, probabilmente semicircolari, dove era posto l’altare; quello inferiore è riconoscibile nella cripta tuttora esistente, mentre di quello superiore si può ipotizzare avesse il piano allo stesso livello della chiesa superiore.
Esternamente la costruzione era formata da uno zoccolo piatto in pietra di fiume sbozzata alto quanto la cripta, e una parte superiore (corrispondente all’aula della chiesa) mossa da lesene e coronata superiormente da una fila di archetti. Lunghe monofore, che forse seguivano lo schema della cripta, illuminavano il vano della chiesa dal lato meridionale e al centro delle absidi.
Può ipotizzarsi che questa era la chiesa già esistente nel castello di Longino di Azone nel 1039 utilizzata fino al 1300 senza alcun intervento di ampliamento neppure da parte di Berardo III. Gregorio di Catino infatti non avrebbe taciuto una nuova costruzione ecclesiale, e nella sua celebre illustrazione dell’opera di Berardo fa capire che l’ampliamento del Castello riguarda la costituzione dell’agglomerato urbano già destinato al fiorire del regime comunale piuttosto che la ricostruzione fisica del nuovo e più ampio edificio monastico sul castrense.
Ipotesi progettuali e fasi costruttive della nuova chiesa.
La nuova chiesa fu costruita tra la fine del secolo XIII ed il 1330 due secoli e mezzo dopo la fondazione del monastero di Offida. Motivo per intraprendere la nuova e dispendiosa costruzione andrebbe cercato, come già illustrato nella parte prima, nell’arrivo in Offida di alcune reliquie insigni del corpo di san Leonardo di Noblat, degne di particolare venerazione sia per la potenza traumaturgica del Santo, protettore principalmente dei carcerati, sia per l’essere stato Leonardo, quasi coetaneo di San Benedetto, il fondatore del monachesimo in Francia.
La chiesa riprende lo schema ad aula unica, di origine cistercense, adottato all’epoca nelle chiese degli ordini mendicanti e particolarmente adatto alla predicazione a grandi gruppi di fedeli; anche la parte principale della cripta sotto l’abside centrale e transetto sembra ruotare attorno al luogo, in corrispondenza dell’altare maggiore dove doveva essere posta l’urna delle reliquie.
Il portale di travertino della cripta, ricco di decorazioni scolpite, immetteva direttamente al “santuario” permettendo contemporaneamente la visita dei pellegrini al Santo e la celebrazione della messa sul sovrastante altare. Il transetto fortemente sopraelevato rispetto alla navata era riservato ai monaci; attraverso una scala centrale, o due laterali, si scendeva nella navata riservata ai fedeli e da questa alla cripta.
Di fatto compiuta questa cripta, attraverso la parziale demolizione del presbietrio e della porzione di cripta della chiesa preesistente, il lavoro non fu portato a termine e la zona del coro e la sottostante cripta, con una soluzione anomala nell’architettura ecclesiastica dell’epoca, viene estesa a tutta la lunghezza della chiesa primitiva.
Ai fedeli viene quindi riservato solo metà dell’aula della nuova chiesa mentre la cripta assume la forma a croce latina con tre navate per ogni braccio. Sulla parte superiore oltre al coro dei monaci trovarono posto i banchi (o archibanchi) delle autorità, dei rappresentanti delle arti e degli altri ordini religiosi in una ferrea gerarchia. Gli altri fedeli assistevano alla messa in piedi nella parte inferiore, poi con la costruzione dell’ultima parte della cripta e l’innalzamento dell’ingresso principale nel principio del XVI secolo[6], nella zona occidentale presso l’ingresso.
La chiesa fu terminata, compresa la decorazione pittorica interna nell’ultimo quarto del trecento; un secondo strato pittorico, che interessò prevalentemente l’abside maggiore e pochi altri luoghi della chiesa fu compiuto su committenza del Priore del monastero con il contributo di alcuni privati benestanti dal Maestro Ugolino di Vanne nel 1423. Gli altari laterali vengono fondati in epoche diverse; al XV secolo risale quello dedicato a S. Andrea, iuspatronato della famiglia Pigliardi con la pala affrescata sul muro da Vincenzo Pagani.
I due altari in travertino, che ospitarono opere di Simone e Solerttio De Magistris da Caldarola datate 1589 e 1590 furono eseguiti alla fine del XVI secolo su commissione del Capitolo e della Confraternita del Nome di Gesù. Solo dal principio del XVII secolo, dopo la soppressione dell’ordine monastico e l’istituzione della Collegiata, si deve presumere che le perti pittoriche cadute o rovinate vennero progressivamente scialbate a calce.
Il deperimento delle strutture del tetto, principale fattore di degrado, unito al cambiamento della moda artistica, si accentua tra sei e settecento e termina con il rifacimento in stucco della decorazione interna nel 1734 su commissione del vescovo Marana. Sempre per iniziativa dei vescovi si restaura il pavimento nel 1711 e 1734 o si sposta (e riconsacra) l’altare maggiore.
Pochi i danni riscontrati dopo il terremoto del 1703, (che a Roma provocò il crollo di tre arcate del Colosseo) mentre danni peggiori fece un fulmine caduto nel 1714 che danneggiò gravemente torre, tetti e tribuna della chiesa; in occasione di questi restauri Ferdinando Fabiani dipinge “il cielo” sopra l’altare Maggiore.
Al contrario della chiesa superiore gli interventi nella cripta sono abbastanza rari e si riducono alla realizzazione di fosse per la sepoltura dei morti. Anche in questo caso i Canonici e i bambini avevano un loro posto distinto dagli altri fedeli. Le intercapedini tra le due chiese ospitarono poi le tombe di famiglie particolari, come i Pigliardi e i Tinti; segno di lusso ma anche “obbligo” il cui mancato rispetto poteva portare a liti fra la famiglia e la chiesa.
Il palazzo Comunale
Papa Niccolò IV (nato a Lisciano, presso Ascoli Piceno, e morto a Roma il 4 aprile 1292, nel 1291 riconosceva ad Offida il potere di eleggersi un podestà (come testimoniato da documenti dell’Archivio della Collegiata), i consoli e i priori. Pertanto si deve ritenere che da tempo fosse stato costruito il Palazzo Comunale. Lo storico offidano A. Rosini, infatti, fa risalire la costruzione del Palazzo Comunale attorno ai sec. XI-XIl.
Con molta probabilità tale costruzione era rappresentata da un edificio composto da un piano terra, da un primo piano e da una soffitta coperta da un tetto a due spioventi, sorretto da capriate in legno, rozzamente intagliate; il tutto sovrastato da una rozza torre quadrangolare. La struttura dell’edificio doveva dunque risultare piuttosto semplice.
La struttura architettonica attuale presenta caratteristiche di diversa epoca. L’edificio, costruito in laterizio, infatti, è costituito da una torre trecentesca coronata da merli a coda di rondine. La dimensione trecentesca è testimoniata ancora dalla facciata del muro che dà sul Teatro Serpente Aureo e sui locali dell’ ex Circolo Ricreativo.
Sul muro di tale facciata erano incastonate le misure lineari alle quali ci si doveva attenere, come ci riferisce lo Statuto Comunale del 1524, nei normali scambi commerciali. Il muro trecentesco della facciata è bene evidenziato sopra la loggetta posta sull’alto portico centrale. Il portico, che dà sulla piazza centrale, è retto da colonne cilindriche sormontate da capitelli in travertino, e risale al sec. XV.
Ai due lati del portico centrale si notano due stemmi, opere effettuate nel 1932 dallo scultore offidano Aldo Sergiacomi. Lo stemma di sinistra rappresenta la Casa Savoia, quello di destra si riferisce al Comune di Offida.
Un altro portico, probabilmente risalente alla fine del sec. XVIII o al sec. XIX, fiancheggia il Palazzo Comunale dalla parte che dà sul Corso Serpente Aureo. A tale proposito le notizie ci sono fornite dallo storico Allevi che così si esprime: «Un altro portico, di recente fattura, massiccio, pesante, sorretto da piloni rettangolari, fiancheggia il palazzo dalla parte meridionale».
Anticamente all’interno della parte inferiore della torre erano sistemate le carceri, come si può ancora rilevare e come attestato da un nota presente in un registro dell’Archivio Storico Comunale, datato 1556. L’ Allevi, a tale proposito, nel suo volume «A Zonzo per Offida» sottolinea che «… spigolando in un registro del 1556, ove tra le spese del Comune sono notate quelle di una esecuzione capitale, trovo, come certi Pier Simone e Polidoro, fornai, uccidessero un loro compagno a nome Mattia. Vennero rinchiusi entro il carcere sotto la torre che, per la stessa posizione, doveva essere assai tenebroso, privo quasi affatto di aria, e vi si pose a guardia per due mesi, retribuendolo con fiorini sette, Meco D’Angiolo di Marinoluca, perché continuamente i prigionieri tenesse d’occhio». La campana della torre fu donata dal cardinale Felice Peretti, futuro Sisto V (1520-1590).
Il Palazzo è stato più volte modificato e restaurato. L’Allevi nel 1800 sottolineava: «II secondo piano del palazzo, nella disposizione attuale, una gran sala con una fuga di camere subito dopo, risponde per una metà a quello che era nel seicento, essendo stata distrutta l’altra metà, ove si trovava il cortile con la cisterna, due camere per la cucina colla scala e due per uso di segreteria quando vi si costruì il teatro». L’esistenza di tale cisterna è confermata da un documento del 3 ottobre 1636. P. Andrea Rosini nel suo «Compendioso racconto historico della Terra di Offida» (1654) ci riferisce che agli inizi del sec. XVII lavori di restauro vennero effettuati all’interno del Palazzo Comunale.
L’ultimo restauro fu eseguito nel 1924 sotto la direzione dell’ing. Rosini e la collaborazione, per la parte ornamentale, del prof. G. Leoni, direttore della locale Scuola di Disegno Applicata alle Arti. In questa occasione fu rimessa a nudo tutta la costruzione primitiva in laterizio. Sull’originale muro perimetrale del sec. XIV, ne11931, fu aggiunta una fila di merli a coda di rondine.
Dalla porta centrale, contornata da uno stipite di pietra tagliata a punta di diamante, attraverso una scala, ci si porta al piano superiore del Palazzo. Numerose le tele che si conservano, di cui alcune di autore ignoto e altre di autori di notevole fama. Tra queste una di Pietro Alemanno (?-1498), allievo di C.Crivelli (1430-1493), raffigurante «S. Lucia». Il dipinto, eseguito a tempera, riporta la seguente scritta: «Hoc opus fecit fieri Bartolomeus Campanarius… MCCCCLXXXX (1490) mensis decembris».
Ritrae, su sfondo dorato e su un marmoreo trono rosso e grigio dal dossale decorato a candelabri, la vergine siracusana in veste marrone e manto turchino a risvolti verdi. Con la testa lievemente china verso destra, la santa regge in una mano la palma del martirio e nell’altra la coppa con due occhi.
Dietro la figura pende un drappo damascato. Lateralmente, su un lato, sono dipinti due angeli in veli grigi e violacei, con fianchi cinti da cingoli e calzari rossi, in atto di incoronare la martire. Sulla base del trono, da una parte, è dipinto un frutto, dal- l’altro è scritto: «S.ta Lucia».
L’altra opera, dal titolo «Allegoria dei tre Regni» (1589), è costituita da un dipinto ad olio su tela, opera di Simone De Magistris da Caldarola (1538-dopo il 1611). In un lato sopra le nubi, in una gloria smagliante di luce, una schiera di angeli, in adorazione, sorregge il monogramma del Cristo che spicca, dorato, in un disco scuro. Nel mezzo è raffigurata la Vergine che, genuflessa, presenta il Bambino al sacerdote; intorno ci sono papi, patriarchi, profeti e re. In basso è raffigurata una visione dell’inferno con demoni e dannati che si divincolano tra le fiamme.
Tra le altre opere, una serie di 24 ritratti, del XVIII sec., di Offidani illustri di cui alcuni di Vincenzo Milione (sec. XVIII), pittore in Roma, donati da padre Andrea Cipolletti (sec. XIX) all’Amm.ne Com.le. Nei pressi della Sala Consiliare, recentemente restaurata e sede dell’antico teatro in legno, si presentano tre stanze: la «sala rossa», con mobili stile Luigi XV; la «sala azzurra», con mobili stile impero; la «sala verde», con mobili stile Luigi XVI.
Archivio Storico Comunale
Nell’ Archivio Storico Comunale si conserva il catasto pergamenaceo mutilo del sec. XIV (cfr. M. Angelini «Di un antico catasto offidano» Ascoli -1901). Esso è costituito da 70 fogli di pergamena, scritti a caratteri gotici, con inchiostro rosso e nero. Si conservano, inoltre, varie bolle pontificie, copia degli antichi Statuti Comunali, pergamene, e diversi volumi dell’ex convento degli Agostiniani.
La chiesa della Collegiata
Solenne chiesa ad impianto basilicale ed elegante cupola all’incrocio della navata principale con il transetto costruita tra il 1785 ed il 1798 dall’architetto ticinese Pietro Maggi su un disegno del celebre architetto ascolano Lazzaro Giosafatti. Sorge sul luogo dell’antico oratorio della Confraternita della Santissima Trinità, che con il Capitolo della Collegiata costruì la nuova Chiesa.
L’interno in stile di transizione tra il rococò ed il neoclassico è arricchito da candidi stucchi opera dei decoratori Fontana e Bernasconi di Milano. Le volte sono affrescate a motivi architettonici monocromi opera di Giambattista Bernardi con quadri allegorici policromi del figlio Giuseppe.
Fu benedetta il 7 aprile 1798, in occasione della solenne traslazione delle reliquie di San Leonardo da Santa Maria della Rocca requisita dalle truppe napoleoniche e consacrata il 19 aprile 1801 dal Vescovo di Ascoli Andrea Archetti. La facciata in stile eclettico di laterizio e travertino fu realizzata solo alla fine del secolo XIX. Nella lunetta del “protiro” fu realizzato nel 1950 il mosaico commemorativo del 100° anniversario del Prodigio della “madonna del Palio”.
INTERNO
BATTISTERO: Fonte Battesimale in legno stuccato e dipinto del principio del secolo XIX. Tela: “San Giovanni Battista che impone il battesimo al Cristo” di Ghino Leoni datata 1917. MADONNA DEL ROSARIO: Statua in cartapesta della madonna in trono con bambino. Sui pilastri del cupolino storie della Vita della Vergine. BEATO CORRADO DA OFFIDA: Urna lignea contenente le reliquie del corpo del Beato Corrado Da Offida, Minore Osservante vissuto al tempo di San Francesco e ricordato nei fioretti. (festa 11 dicembre) . Ai lati dell’altare nicchie con la reliquia del Braccio, memorie fra cui un mattone trovato nel cortile di palazzo Terrani (già Tinti) a via Pierantozzi con l’iscrizione incisa “Qui era la casa del B. Corrado da Offida”. Tela: Presentazione della Vergine con S. Anna, S. Gioacchino, Beato Corrado con in braccio il Bambino Gesù e altri Santi. Sullo sfondo l’antico complesso monastico di Santa Maria della Rocca.
SAGRESTIA: Soffitto dipinto a tempera con assunzione della Vergine e prospettiva architettonica attribuito a Giuseppe Carlini (fine sec. XVIII). Armadi in legno e radica di Verona realizzati da Alessio Donati nel 1738. Davanti l’ingresso: Leggio Corale in legno scolpito di Alessio Donati (sec. XVIII)
CAPPELLA DEL SANTISSIMO: Tela: Ultima Cena del principio del secolo XIX Coretto in legno intagliato realizzato nel 1922 dall’artigiano Zazzetti allievo della locale Scuola di Disegno applicato alle arti diretta dal Prof. Ghino Leoni.
CAPPELLA DEL CROCIFISSO: Crocifisso ligneo del 1612 attribuito a Desiderio Bonfini da Patrignone Tronetto del Santissimo in legno scolpito e dorato del secolo XIX.
CORO – ALTARE DI SAN LEONARDO: Coro intagliato con colonnine tortili e specchi in radica di Verona a due ordini di 14 stalli realizzati nel 1735 da Alessio Donati per Santa Maria della Rocca e qui trasferiti nel 1794. Tela: Assunzione della Vergine donata da Margherita Cataldi nel 1801. Altare Maggiore in legno scolpito e dipinto contenente l’urna con le reliquie di San Leonardo di Noblac abate del secolo V, principale patrono della Città di Offida (festa: 6 novembre)
CAPPELLA DELLA MADONNA DEL BUON GESÙ: Antica statua della Madonna del Buon Gesù in legno scolpito, dorato e dipinto (secolo XV). Monumento sepolcrale di scagliola eretto da Dorotea Pongelli al marito Nicola di Pietro Palmucci morto nel 1801.
CAPPELLA PIGLIARDI: Tela: Deposizione del Cristo – copia ottocentesca dall’originale del Caravaggio. Miracolosa immagine della Madonna Assunta detta del Palio di Fermo – 1840 (festa 8 luglio)
S. ANTONIO DA PADOVA: Statua ottocentesca in cartapesta
MADONNA DEL CARMINE: Tela: Madonna del Carmine e due Santi (in basso il profilo della nuova Collegiata) Commissionalta ad Alcide Allevi dal Priore Don Giuseppe Ser Giacomi.
MADONNA DEL CARMINE: Tela: Madonna del Carmine con San Carlo Borromeo, Sant’Emidio e il Beato Bernardo attribuita a Giambattista Magini (primi secolo XIX)
ANIME DEL PURGATORIO: Tela: Anime Sante del Purgatorio attribuita ad Alcide Allevi – seconda metà XIX secolo.
La chiesa di S.Agostino
I primordi dell’ordine agostiniano in Offida possono farsi risalire alla prima metà del sec. XIII quando, secondo la storiografia locale, gli eremitani possedevano una piccola chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena, con attiguo romitorio. Quando nel 1280, sempre secondo la tradizione locale, frate Giacomo dett’Allevi riportò in Offida la reliquia della santa croce, con conseguente incremento di fedeli e devoti a tale culto, si iniziò a pensare ad una costruzione più ampia per ospitare la preziosa reliquia. La nuova costruzione, iniziata nel 1338, fu completata nel 1441 durante il priorato di un certo frate Jacopo, come è dato leggere sulla facciata centrale della chiesa. Nel XVI sec., come attestato da atti del notaio G. B. Radicotica risalenti ai periodo 1493-1514, fu rinnovato il pavimento dell’intera chiesa. Nel corso del sec. XVII anche il convento fu più volte modificato e addirittura rinnovato dalle fondamenta nel 1625. All’epoca del rifacimento del chiostro, sotto il priorato di P. Maestro Egidio Guerrieri, il convento aveva una rendita annuale di 700 scudi annui. All’interno della torre campanaria della chiesa di Sant’Agostino veniva conservata la cassa del Comune di Offida, come da statuto del 1524 (Libro 10, cap. 2). Dopo la soppressione delle corporazioni religiose del 1861 e la legge di esproprio dei beni ecclesiastici del 1866, il chiostro e il refettorio del convento, realizzati nel 1574, sono stati adibiti ad aule scolastiche a partire dal 1870. Nella chiesa si conserva ancora oggi il reliquiario quattrocentesco contenente, come vogliono la tradizione e la credenza popolare, un frammento ligneo della croce di Cristo. Il Comune di Offida doveva offrire alla chiesa di Sant’Agostino, per la festa della Santa Croce (3 maggio), un cero di 6 libbre (Statuto di Offida, Libro 1, cap. 3).
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Fin dalla metà del sec.XIII gli agostiniani avevano in Offida una chiesa dedicata alla Maddalena, la quale, dopo l’arrivo delle reliquie eucaristiche, fu ricostruita più grandiosa, dalle fondamenta e dedicata a sant’Agostino.
I lavori cominciarono nel 1338 e terminarono nel 1441. In seguito, il sacro edificio, non più rispondendo alle esigenze dei pellegrini, sempre più numerosi, fu ancora ampliato e vi trionfò, specialmente nell’interno, l’arte barocca. L’attuale tempio, che dall’esterno conserva evidenti vestigia delle costruzioni anteriori, fu terminato nel 1686, come scolpito sul portale maggiore.
L’interno è a croce latina, dalla traversa poco sviluppata. Oggi non vi sono più riconoscibili le antiche vestigia del tempio trecentesco. Il visitatore rimane colpito dalla fine eleganza e dalla grandiosità delle linee, dalla maestosità degli altari e, soprattutto dalla cappella del miracolo che domina l’abside. Nel braccio maggiore, fra pilastri di maniera composita, entro sfondi ad arco tondo, ornati di incorniciature dorate, sono quattro cappelle, i cui altari, di un bel barocco, sono adorni di eleganti fregi, corone di rose, puttini sui frontoni.
Fra un pilastro e l’altro, entro sei nicchie, sorgono sei imponenti statue di santi pontefici dell’ordine agostiniano: sant’Agostino, san Gelasio papa, san Fulgenzio, san Simpliciano, san Prospero, san Tommaso da Villanova. Sulla sommità dell’arco trionfale, si legge a caratteri cubitali la scritta latina :” ADORIAMO – LA TUA SANTA CROCE – ORNATA – DI TRE MIRACOLI – L’OSTIA – LA CARNE E IL SANGUE”scritta che si riferisce alle santissime reliquie conservate nel tempio. Dietro il marmoreo altare maggiore (1934) opera di Aldo Sergiacomi, è il magnifico coro, di stile barocco, a due ordini di stalli, scolpito in noce nel sec.XVIII da Alessio Donati, detto il “maestro dei cori”, a lui si devono ancora i due eleganti confessionali in noce nel braccio maggiore della chiesa.
Da notare sul primo altare, a destra di chi entra, l’ADORAZIONE DEI MAGI di Carlo Allegretti da Monteprandone (sec.XVII). Sul secondo altare SAN TOMMASO DA VILLANOVA di Ludovico Trasi ( 1634-1694 ). Sul primo altare, a sinistra di chi entra: MADONNA DI GENAZZANO di Nicola Monti (1736-1793). Sul secondo altare: MADONNA IN TRONO CON SANTI di Filippo Ricci (1715-1793). VIA CRUCIS (1952) di Aldo Sergiacomi, come, uscendo, dello stesso artista, vi è da ammirare il monumentale portale di bronzo.
Il Miracolo Eucaristico di Offìda.
La storia dell’Ostia Miracolosa che a Lanciano nel 1273 si convertì in carne sanguinante e che oggi si venera in Offida è documentata in una pergamena dell’epoca, della quale purtroppo l’originale è irreperibile, ma di cui si conserva una copia autentica fatta per mano di notaio nel 1788.
Il fatto straordinario si può riassumere così: a Lanciano una certa Ricciarella, moglie di Giacomo Stasio, per riconquistare l’affetto dei marito, seguendo il responso di una fattucchiera, si accosta alla comunione ma, senza che nessuno se ne accorga, riporta in casa la sacra particola, mette un pò di fuoco in un coppo e ve la getta per somministrarla, una volta polverizzata, nel cibo e nella bevanda del marito. Ma ecco la sacra particola convertirsi in carne da cui prende a sgorgare sangue in abbondanza.
Visto inutile ogni tentativo di farlo ristagnare, la donna atterrita avvolge in una tovaglia di lino il coppo con l’ostia e il sangue e seppellisce l’involto sotto il letame nella stalla. Sette anni dopo Ricciarella, sempre più straziata dai rimorsi, confessa il suo orribile sacrilegio al padre agostiniano Giacomo Diotallevi, nativo di Offida e, a quel tempo, priore di S. Agostino in Lanciano, il quale, recatosi sul luogo, trova intatto, lindo e illeso, l’involto con il suo contenuto e dona quelle preziose reliquie ai suoi concittadini. Questi vollero conservare con devota premura la sacra ostia in un reliquiario a forma di croce fatto espressamente eseguire a Venezia da un orafo ed ora custodito, insieme ai reliquiari dei coppo e della tovaglia macchiata di sangue nella chiesa di S. Agostino.
Oltre la pergamena del sec. XIII esistono molti altri documenti che conferma- no la realtà dei prodigio ed il suo culto ininterrotto nei secoli. Vi sono infatti numerose bolle di Papi a cominciare da quella di Bonifacio XIII del 20 settembre 1295 a Giulio II, s.Pio V, Gregorio XIII, Sisto V, Paolo IV, Pio IX; interventi di Congregazioni romane, decreti vescovili dell’arcivescovo di Lanciano e del vescovo di Ascoli, gli statuti comunali di Offida risalenti ai primi del ‘400, doni votivi, i più antichi dei quali del sec. XIV e fra questi due anelli pontifici con stemma, tiare e chiavi incrociate, l’uno dono di Pio II e l’altro di Paolo II, epigrafi, iscrizioni, lapidi e gli affreschi di Ugolino di Ilario nella cappella del SS. Corporale del duomo di Orvieto che illustrano il miracolo di Offida. All’insigne Santuario è connessa la storia religiosa e civile di Offida, la quale per questo prodigio si può chiamare “città del Santissimo Sacramento”.
Articolo
L’ex convento di S.Francesco
Orientata, a tre navate, fu una delle prime chiese dedicate al santo di Assisi. Nell’attiguo convento abitarono i frati minori conventuali fin dal 1236, poi le clarisse dal 1245, quando era ancora vivente la fondatrice S.Chiara. Nel 1554 le monache emigrarono altrove e ne presero il posto i minori osservanti, poi i conventuali.
Nel tempo ha accolto un mulino, un forno, il carcere mandamentale ed una sala cinematografica. Attualmente, dopo consistenti opere di ristrutturazione ed adeguamento è sede della VINEA e dell’enoteca regionale delle Marche, con laboratori per analisi enologiche, salone per esposizioni, uffici e servizi ed ospita annualmente un’importante mostra mercato di vini e prodotti tipici.
Il monastero di S.Marco
Lo storico A. Rosini nel suo volume “Compendioso racconto historico della terra di Offida” sostiene che i lavori del monastero e della chiesa iniziarono qualche anno dopo la morte di S. Francesco (1181-1226), ad opera dei Francescani. La presenza dei Francescani in questo periodo ad Offida è avvalorata dal fatto che due di essi, frate Andrea e frate Bernardo, fungevano da testimoni nella stipulazione di uno strumento (4 Novembre 1236) con il quale i monaci e il priore di S. Maria donavano la chiesa e il piazzale di S. Agnese (ora piazza Bergalucci) alle monache (Clarisse) di S. Chiara.
I documenti ci fanno conoscere anche il frate offidano fra Giacomo, seguace di S. Francesco che, nel 1227 (otto mesi dopo la morte del santo), svolgeva la sua attività di assistente delle suore della Penitenza, (G. Pagnani- S.Francesco e Ascoli Piceno -1983).
Nell’anno 1243 Innocenzo IV (1195-1254) avrebbe inviato due lettere, andate perdute, alle autorità di Offida per spronarle a vendere alcune proprietà dei monaci benedettini farfensi al fine di consentire ai frati di ampliare il loro convento eccessivamente angusto. Lo storico A. Rosini cita ancora una bolla di Innocenzo IV, de11252, che parla di sussidi per la prosecuzione della fabbrica del loro monastero, causa I’impossibilità da parte degli Offidani di fare elargizioni dovute alle guerre nel Piceno da parte di Federico II (1194-1250), imperatore.
Per quanto riguarda la chiesa il Rosini cita una scrittura del 1359 posta su un lato del muro inferiore della chiesa, dove si rammenta la consacrazione della chiesa medesima. Così recita la scrittura: «Anno D.ni 1359 tempore Innocenti Papae sexti (fine sec. XIII-1362) in dominica prima mensis Maij consecrata fuit haec Ecclesia per Rev. D. num fratrem Nico- laum Arguns Epu R. P. Provincialatus Cap.».
Nel corso dei secoli l’intera struttura ha subito diverse modificazioni ed attualmente è occupata dalle monache benedettine che vi si stabilirono definitivamente nel 1655. A tale proposito risulta che già dal 1515 in Offida non esistevano più ordini di monache riconosciuti ufficialmente, anche se esisteva una comunità religiosa che accoglieva le aspiranti monache, ma, come detto, non esisteva il riconoscimento ufficiale.
Il 24 Maggio 1629 moriva in Offida l’avvocato Armenio Agnellini il quale, non avendo eredi, lasciò tutti i suoi beni per I’istituzione di un monastero femminile, con il lascito di 20.000 scudi. Il 24 Settembre 1634, le aspiranti monache ottennero, con una bolla di papa Urbano VIII (1568-1644), la possibilità di fondare l’Ordine.
Il 17 Aprile 1644 utilizzarono come monastero la casa dell’avvocato Agnellini. Con l’intervento del cardinale Gabrielli, vescovo di Ascoli dal 1642 al 1668, si ottenne, il 4 Agosto 1653, il trasferimento nell’ex convento francescano di S. Marco. Questo avvenne, definitivamente, nel 1655.
L’attuale struttura dell’edificio presenta, in parte, forme di stile romanico-gotiche. Dai recenti restauri è tornato alla luce l’ampio portale (1574) sovrastato dal tipico rosone romanico della facciata originale del monastero, rivolto ad occidente, che attualmente è racchiuso da un muro di cinta e quindi non è visibile. Originale risulta il Iato Sud, che dà su piazza Baroncelli. Infatti si notano gli archetti gotici e alcune monofore chiuse. Il lato Nord, anch’esso non visibile al pubblico perché chiuso da un muro di cinta, presenta elementi di stile gotico. Nel sotto stante monastero è stata di recente restaurata la cripta.
L’attuale chiesa barocca fu fatta costruire nel 1738 da monsignor Paolo T. Marana (vescovo dal 1728 al 1755) e fu realizzata occupando la parte centrale della chiesa primitiva (quella consacrata nel 1359) e restringendo quindi in lunghezza quella originaria. Nel monastero (sec. XVIII) si conservano due affreschi del Maestro di Offida (sec. XIV-XV): «L ‘Annunciazione, S. Caterina e committenti» e «La Processione di Vergini Martiri dalle vesti bianche». Inoltre, un crocifisso ligneo policromo, una croce reliquiario di pietra e perle preziose. Sull’altare di fondo una tela dipinta, nel 1742, dal mantovano Nicola Pannozzi, raffigurante «la Madonna Addolorata, con ai lati S. Benedetto da Norcia e S. Marco» e, in fondo, «S. Luigi Gonzaga e S. Scolastica».
Il Teatro Serpente Aureo
Fu costruito nel 1820 su disegno dell’architetto ticinese Pietro Maggi demolendo parte dell’antica casa comunale, di cui utilizza l’elegante portico quattrocentesco come facciata, in sostituzione di uno di legno eretto sin dal 1771 nella sala consiliare dello stesso palazzo. Poco dopo l’unità d’Italia fu ampliato e decorato con stucchi dorati e dipinti a tempera dal pittore offidano Alcide Allevi e dal capo mastro Francesco Sabbatini; nella stessa epoca venne dotato dell’atrio sulla piazza e di un piccolo edificio con camerini e sala prove.
La pianta è tipica dei teatri settecenteschi italiani “a boccascena o ferro di cavallo” con tre ordini di diciassette palchetti e un loggione diviso in quindici parti. La volta ha raffigurato nel rosone centrale Apollo e le Muse, attorno ad esso si alternano otto cariatidi su ricchi piedistalli di foglie d’acanto in monocromo ed altrettanti medaglioni con i ritratti di Pergolesi, Verdi, Bellini, Rossini, Donizetti, Metastasio, Goldoni ed Alfieri, importanti compositori italiani le cui opere erano rappresentate nel Teatro.
Similmente a foglie di acanto, mascheroni e lire sono decorati i parapetti degli ordini di palchi con quattro diverse composizioni di stucco dorato. Sul proscenio è calato l’antico sipario, recentemente restaurato, dipinto da Giovanni Battista Magini con Apollo e le Muse ai piedi di un colle dove si erge il tempietto del “Serpente Aureo”.
La Rocca e la cinta muraria medioevale
L’agglomerato di Offida e’ di origine prettamente medioevale, cresciuto lentamente dall’antico villaggio all’ombra di un castello prima e monastero poi uniformandosi. A differenza delle città romane, alla topografia con leggeri mutamenti di generazione in generazione, conservando nella pianta elementi che derivano da accidenti storici, le mura e le porte determinano le principali linee d circolazione.La cinta murarla e’ stata sostanzialmente costruita in due fasi.
La prima tra il XII e XIII secolo con l’accesso principale sul lato nord-est mediante un torrione quadrato sormontato da un ordine di caditoie su cui poggiava un parapetto adorno di merli guelfi. La porta di accesso alla città era tagliata da un arco a sesto acuto ancora visibile e chiusa a due battenti ferrati dietro i quali scorreva una saracinesca; dalla porta doveva far capo un ponte levatoio che sormontava il fossato.Le mura, dal torrione suddetto, si dilungano verso ovest e verso sud facendo angolo e chiudendo Offida entro una cinta presso a poco rettangolare interrompendosi laddove i calanchi costituivano una difesa naturale.
Altre due porte, oggi non visibili, si aprivano a ponente fornite anch’esse di solidi battenti e di saracinesche: quella di S. Giovanni e quella della fontana. Esse erano usate principalmente dagli agricoltori ed abitanti del circondario per rifugiarsi all’interno della città durante le numerose incursioni dei nemici. Da questa parte sorgeva il castello di Longino di Azone, oggi Chiesa di S.Maria della Rocca.Dalla pianta delineata nel 1694 da Ferdinando Fabiani, si scorge bene la cinta muraria con le relative porte così come sopra descritte. Successivamente, generalizzandosi il nuovo mezzo di distruzione (polvere da sparo e relativa artiglieria), si dovette introdurre un radicale mutamento nelle forme e dimensioni delle fortificazioni.
A tal fine furono affidati, sul finire del XV secolo e precisamente nel 1488 a tale Baccio Pontelli, architetto fiorentino, dal Papa Innocenzo VIII, i lavori di fortificazione della cinta murarla. L’architetto, oltre a consolidare le cortine esistenti, aggiunse a settentrione la rocca. La pianta di quest’ultima per 2/3 della sua lunghezza ha forma rettangolare; con uno dei maggiori lati fronteggia nord mentre con uno dei lati minori verso ovest va a ricongiungersi alle antiche mura.
Sull’altro lato verso est poggia la base di un triangolo che, essendo più breve del lato stesso, fa si che il quadrilungo sporga a spigolo fra nord ed est; al vertice del triangolo si trova l’antico torrione di entrata sopra descritto che l’architetto fece foderare con un solido rivestimento di mattoni, dandogli forma circolare affinché i proiettili vi facessero minor danno.
Su questo primo torrione sta incastrato lo stemma papale in travertino di Innocenzo VIII. Al primo spigolo del rettangolo vi e’ una torre quadra poco sporgente dal filo dei muri, mentre, allo spigolo opposto, si alza un terzo torrione rotondo, alto e slanciato; una quarta torre quadrata sorge nell’angolo di giunzione tra la nuova costruzione e la vecchia. Cortine di mura a scarpata concatenano l’insieme delle fortificazioni.
Delle caditoie contornano il torrione più grande che era fornito di un parapetto munito di merli guelfi. La rocca dalla parte dell’abitato rimane aperta per due grandi voltoni a sesto acuto sovrapposti l’uno all’altro; con molta probabilità attraverso la botola ancora visibile e di una scala in legno non più esistente, si discendeva dal più alto a quello di sotto.
Le mura sono indispensabili alla definizione della città; davano una garanzia di stabilità e sicurezza, di potere incontrollabile e di inattaccabile autorità. Esse erano, nel contempo, un dispositivo militare ed un efficace strumento di dominio sulla popolazione urbana. Ma oltre che a fini di difesa militare e di controllo politico, le mura stabilivano una precisa demarcazione tra città e campagna, sia sotto il profilo estetico che sociale. Non bisogna infine dimenticare, nel medioevo, anche un’altra funzione delle mura, quella di passeggio pubblico soprattutto nel periodo estivo; anche quando non erano alte più di 6 metri esse offrivano una eccellente prospettiva sulla campagna circostante e permettevano di godere quelle brezze estive che magari non penetravano nella città. Non si può chiudere il discorso sulle mura senza ricordare la funzione particolare della porta, luogo di incontro, a quei tempi, tra due mondi, l’urbano ed il rurale, l’interno e l’esterno. La porta principale dava il primo saluto al mercante, al viandante in genere era contemporaneamente una dogana, un ufficio, un centro di controllo La porta dunque creo “il quartiere economico” .
La chiesa della Madonna del Suffragio
Sorge sull’area dell’antica chiesa di sant’Antonio abate e dell’ ospedale annesso. Sulla parete destra della facciata si notano ancora porticine con architrave di travertino, del sec. XIV. A sinistra dell’attuale ingresso principale, del sec. XIV, esiste ancora, murata, l’antica porta che immetteva nella chiesa di sant’ Antonio, con fregi bizantini.E’ questa la parte più antica del muro che, secondo l’ architetto Giuseppe Rossi di Fermorisale a parecchio tempo prima del mille. A sinistra ancora, nel sec. XVI, Simone De’ Magistris di Caldarola affrescò la maestosa figura del venerando anacoreta titolare, dell’antica chiesa. Il dipinto però è assai deteriorato dalle intemperie. L’interno, a tre navate, fu ricostruito nel sec. XVIII. In una nicchia si conserva una pregevole statua di legno policromo, del sec. XV, raffigurante la Madonna col Bambino. Sotto un arco della parete dell’ingresso principale, un affresco quattrocentesco, ridipinto, rappresenta la Madonna della Misericordia o dei Raccomandati. Un altro dipinto con la figura di san Gaspare del Bufalo ricorda le sacre predicazioni da lui tenute in Offida nel 1821 in questa chiesa, e, nel 1823, nel santuario eucaristico di sant’Agostino. In un’altra nicchia si conserva uno scheletro ligneo, del sec.XVII, che la confraternita del Suffragio soleva portare come suo emblema in processione.
La chiesa dell’Addolorata
Composta da una navata unica, ha sulla facciata un’elegante loggetta cinquecentesca. Su un fianco una bella decorazione in terracotta del sec.XVI ed una scritta : “Magister Melioratus hoc opus peregit”. Posta nei pressi del Palazzo Comunale la sua costruzione si fa risalire al sec. XV. La facciata principale su Piazza del Popolo è caratterizzata da un portico sopra il quale, addossate al muro, sono presenti due eleganti finestre cinquecentesche di pietra. Più in alto, si evidenzia un occhialone sovrastato da un timpano con fregi in terracotta e un campanile a cupolino.
L’interno, ad una unica navata, presenta un soffitto decorato dal pittore S. Nardi di Fermo (1866-1924). La pittura di rilievo è quella centrale che raffigura “la Vergine Addolorata circondata da Santi”. Sull’abside si erge un altare in legno dorato, sovrastato da un tempietto che custodisce la statua della Madonna Addolorata. All’interno della chiesa è custodita la “Bara” (così viene comunemente chiamato il carro con baldacchino dove è sistemata la statua del Cristo Morto) che viene trionfalmente portata in processione la sera del Venerdì santo.
Come tradizione, venerdì, avrà luogo la suggestiva processione del Cristo Morto che in Offida ha origini antiche. Tutto ha inizio dalla fondazione della Confraternita (o Compagnia) dei SS.Cuori di Gesù e Maria nell’anno 1770, per iniziativa di alcuni benemeriti locali intenzionati a rafforzare la devozione. Per concretizzare l’iniziativa era indispensabile disporre di un luogo ove riunirsi in preghiera ed organizzare l’opera di apostolato. Pertanto si procedette all’acquisto della chiesa di “S.Giovanni in piazza” che apparteneva alla parrocchia di S.Nicolò. Fissati i termini dell’accordo con il parroco Don Giovanni Battista Chiappini ed ottenute le debite autorizzazioni dall’Autorità Ecclesiastica, fu istituita la “Confraternita dei SS.Cuori di Gesù e Maria” che, fra i tanti obblighi dei Confratelli, prevedeva in modo specifico di “fare la processione con il Cristo Morto nel venerdì Santo di ogni anno”.
Nei primi tempi la processione veniva effettuata utilizzando una lettiga a mano la cui ultima versione risale al 1819. Successivamente i Confratelli, constatato che tale lettiga non rispondeva più alla solennità della sua funzione, decisero di costruire un nuovo “carro ricco e nobile onde potervi portare in processione, con vero decoro e devozione” il simulacro del Cristo Morto. Affidarono quindi nel 1868 al Prof.Alcide Allevi di Offida l’incarico di redigere il progetto ed al Sig.Lorenzo Mancini di Ascoli Piceno la cura delle decorazioni. Per l’esecuzione dei ricami in argento vi fu una vera gara tra cittadine benemerite offidane che, sotto la sapiente guida della Sig.ra Aloisa Donati, aiutarono le Monache Benedettine nel delicato e difficoltoso compito.
Dopo due anni il nuovo maestoso carro (“la bara” come ancora oggi viene comunemente chiamata) era pronto e fu inaugurato la sera del Venerdì Santo del 1870. Oggi è sostanzialmente integro ed esempio mirabile del famoso artigianato offidano di un tempo, ancora presente in innumerevoli manufatti della cittadina. La processione, sentita e molto suggestiva, ha ancora oggi una notevole partecipazione di fedeli e vede presenti autorità civili, militari e religiose cittadine, accompagnate dal corpo bandistico Città di Offida nel tradizionale percorso all’interno del centro storico.
Articolo con video
La chiesa dei Cappuccini
(il centro pastorale attiguo alla Chiesa ed al convento, inaugurato nel 2018)
E’ a tre navate in stile neoclassico. Vi si venerano il corpo ed i sacri ricordi del concittadino beato Bernardo, laico cappuccino. Nella cella dove morì il beato, si conserva la maschera, eseguita poco dopo la morte avvenuta il 22 agosto del 1694. L’attuale Santuario sorge accanto all’antico Convento dei Cappuccini, eretto nel 1614 e chiuso, per motivi di stabilità del terreno, nel 1893, quando si decise di costruire una chiesa più grande, su un terreno più solido. Il progetto fu affidato all’architetto fra Angelo da Cassano d’Adda, che costruì una chiesa a croce latina a tre navate, molto ampia e luminosa.
Nella cappella che custodisce le spoglie del Beato Bernardo si trova un baldacchino sorretto da quattro colonne sormontate da capitelli corinzi, la cui architrave riporta pregevoli decorazioni di mano del Girolomini e un’iscrizione latina che ricorda la generosità del Beato verso i poveri. Nella chiesa è esposto anche un pregevole coro ligneo. Recentemente il Santuario ha acquisito due altari lignei, opera dell’ebanista cappuccino Trombetta da Cingoli e ha eretto una una statua commemorativa del Beato Bernardo, collocata all’inizio del viale d’accesso al Santuario, realizzata dal famoso scultore locale Aldo Sergiacomi.
Il BEATO BERNARDO, al secolo Domenico Peroni, nacque ad Offida il 7 novembre 1604. A ventidue anni entrò nell’ordine dei frati cappuccini, cominciando il noviziato a Corinaldo e terminandolo a Camerino, dove emise la professione il 15 febbraio 1627. Passò quindi nei conventi di Fermo, dove fu aiuto – cuoco, di Ascoli Piceno e poi, fin dal 1650, di Offida, dove trascorse tutto il resto della sua vita, eccettuato un breve periodo passato di nuovo ad Ascoli nel 1674–75. Morì in patria il 22 agosto 1694.
Ad Offida svolse per lungo tempo l’ufficio di questuante, aggirandosi, quale benefattore di poveri, consolatore di afflitti e messaggero di pace, per i paesi e le campagne di quell’ampio circondario di questua e raccogliendo elemosine per i frati e per gli indigenti. Fu poi portinaio del convento, dove accolse innumerevoli persone che a lui si rivolgevano per consiglio o per ricevere un tozzo di pane. A tutti fra Bernardo aprì il suo animo buono. Dio, per sua intercessione, operò numerosi prodigi a sollievo di malati e sofferenti di ogni specie.
Tipica figura di frate laico cappuccino del Seicento, fra Bernardo brillò di fulgida luce per ardentissimo amore verso Dio, per eccelsa contemplazione, accompagnata talora da fenomeni mistici, e per eccezionale carità verso i bisognosi. Visse in totale spirito di “minorità”, tanto che Pio VI, nel proclamarlo beato nel 1795, lo contrappose, per la serafica umiltà, al superbo sapere illuministico di quell’epoca.
Il Beato Bernardo è una delle più note figure del Piceno per Santità di vita ed è ancora “vivo” ad Offida e nei dintorni, dove gode straordinaria devozione. Il suo Santuario è meta di continue visite e “altare” di numerose grazie. IL celebre musicista austriaco F. J. Haydn(1732 – 1809) compose in onore del beato Bernardo la Missa in si bemolle maggiore. La messa si intitola: Missa Sancti Bernardi Von Offida, e ha come sottotitolo Heiligmesse, per il fatto che il compositore nel Sanctus ripropone una vecchia melodia di un canto assai noto in quel tempo: Heilig, heilig…Informato della beatificazione dell’umile cappuccino offidano, dai frati della chiesa che egli frequentava, compose di getto la messa nell’autunno del 1796 e volle che fosse eseguita la prima volta nella chiesa dei Cappuccini di Vienna il Sabato 11 settembre 1797, giorno in cui a quel tempo si celebrava la festa del beato novello.
Il pontefice Gregorio XVI parla di lui nel diploma del 20 dicembre dell’anno 1831, col, quale dichiara città la terra di Offida: “Ciò che conferisce maggior lustro e decoro a Offida è che in essa nacque il beato Bernardo, il cui sacro corpo si venera nel santuario dei cappuccini: alla sua tomba accorrono da tutti i paesi della regione, per implorarne la potente intercessione, manifestata da grandi miracoli”. In Italia va segnalata un’altra iniziativa: la sistemazione di una statua di fra Bernardo, pochi anni dopo la sua beatificazione, in una nicchia delle guglie del DUOMO di MILANO.
MONUMENTO AI CADUTI
Il monumento ai Caduti di Offida è stato inaugurato il 15 agosto 1923. Su grosse lastre marmoree sono riportati i nomi dei soldati che hanno perso la vita in battaglia nella prima e seconda guerra mondiale e nella guerra di Libia. Nella parte superiore della facciata principale sono presenti tre corone di alloro alternate a due spade.
Nella parte inferiore si trovano lo stemma del comune di Offida e una targa in bronzo con dedica. Trovano Ai lati della lapide sono posizionate due aquile in bronzo che reggono una ghirlanda di rami di quercia. Nella parte superiore delle due facciate laterali sono presenti degli altorilievi che rappresentano un elmetto posto su una spada. Nella facciata posteriore troviamo un’iscrizione con il nome del Sottotenente Medico Loris Annibaldi, il quale fu insignito della medaglia d’oro al Valor Militare.
- Iscrizioni: MORTI SUL CAMPO O IN SEGUITO A FERITE – Vannicola Defendente, Ciabattoni Giuseppe, Feriozzi Nazzareno, Brandimarti Giuseppe, Galiè Adamo, Petrocchi Fedele, Acciarri Antonio, Acciarrini Francesco, Amabili Vincenzo, Antonelli Giuseppe, Aurini Pietro, Borzacchini Filippo, Candellori Antonio, Candellori Carlo, Capriotti Luigi di Piet., Capriotti Luigi di Sab., Ciabattoni Bernardo, Cicconi Fedele, Cimaroli Emidio, Ciotti Camillo, Cocci Sante, Conti Pasquale, Croci Nazzareno, D’Angelo Ferdinando, D’Angelo Filippo, D’angelo Nicola, De Santis Antonio, Ficcadenti Sante, Filippoli Emilio, Giobbi Giuseppe, Giobbi Ugo, Gregori Emidio, Lanciotti Giacinto, Laudadio Alleo, Luzi Anacleto, Massacci Pietro, Massicci Francesco, Maurizi Bernardino, Morganti Giacinto, Mosca Domenico, Mozzoni Armando, Nespeca Luigi, Pasqualini Fedele, Pierantozzi Domenico, Pierantozzi Giovanni, Quinzi Nazzareno, Rosini Giovanni, Sabbatini Sabatino, Scalpelli Giacomo, Sergiacomi Giuseppe, Tassi Ettore, Tilli Camillo, Travaglini Giovanni, Virgili Nazzareno, Viviani Pilade. MORTI IN PRIGIONIA: Aquaroli Nicola, D’Angelo Giovanni, D’Angelo Giuseppe, Di Nicolò Sante, Gabrielli Giacinto, Guidotti Sante, Peroni Nicola, Perozzi Nicola, Simonetti Carlo, Vallorani Dionisio. DISPERSI IN GUERRA: Amabili Nazzareno, Armandi Antonio, Calvaresi Francesco, Ciabattoni Arturo, Cocci Filippo, Coccia Giovanni, Feriozzi Giovanni, Marcelli Nazzareno, Michelangeli Raniero, Pasqualini Giuseppe, Premici Francesco, Simonetti Antonio, Stipa Pietro, Tanzi Filippo, Traini Lorenzo, Travaglini Nicola. MORTI IN COMBATTIMENTO O IN SEGUITO A FERITE: Rosini Giovanni, Marcucci Guido, Pasqualini Luigi, Pellei Pietro, Travaglini Ivo, Massaroni Pacifico, Benfaremo Guido, Catalini Giuseppe, Ciabattoni Arturo, Ciabattoni Nicola, Ciabattoni Concetto, Cicconi Cesare, Cocci Quinto, De Angelis Bernardo, Gabrielli Nazzareno, Grilli Domenico, Piergallini Ettore, Sciarroni Domenico, Stipa Cesare, Vallorani Bernardo. CADUTI DALLA GUERRA LIBICA: Donati Donato, Premici Emilio. MORTI IN PRIGIONIA: Listrani Fred, Di Ruscio Ernesto, Carfagna Manlio, Piunti Giovanni, Fioravanti Luigi, Laudadio Ettore, Spinelli Giuseppe. DISPERSI IN GUERRA: Rosini Fortunato, Carducci Carlo, De Stefanis Panpilo, Vannicola Primo, Brandimarti Lamberto, Ameli Nazzareno, Capriotti Giovanni, Ciabattoni Quirico, Cicconi Orlando, Cocci Luigi, Cocci Martino, Croci Osvaldo, Falcioni Guido, Nespeca Quintilio, Osimi Arturo, Pierantozzi Giovanni, Seghetti Silvio, Simonetti Bernardo, Talamonti Emidio, Ficcadenti Luigi.
- MEDAGLIA D’ORO: Sottotenente Loris Annibaldi.
- “PER VOI-FRATELLI SOLDATI, PURO ONORE DI OFFIDA NOSTRA, IL RICONOSCENTE AMORE-IL VOTO ROMANO, PERCHE’ IL VOSTRO MARTIRIO SIA MONITO AL MONDO-AI POPOLI, CHE ITALIA VIVE”
- LUIGI MICHELI
XV AGOSTO MCMXXIII COLONNELLO DI FANTERIA”
MCMXV-MCMXVIII
- Simboli:
- Stemma del comune, due aquile che rappresentano il coraggio e la forza, gli elmetti e le spade simbolo di guerra, le corone di alloro in segno di onore e la ghirlanda di quercia simbolo di stabilità e di vita.
OPERA PIA “DON GIOVANNI BERGALUCCI”
L’Istituto Medico Psico – Pedagogico “Opera Pia Bergalucci” con sede in Offida (AP) fu costituito a seguito di testamento del 13.09.1862 del canonico Don Giovanni Bergalucci rogito Sergiacomi con cui il testatore lasciava il suo patrimonio per l’istituzione dell’Opera Pia, con il compito di svolgere le proprie attività nel settore socio sanitario assistenziale adeguando ed ampliando le finalità in ragione dei bisogni socio assistenziali del territorio di competenza e degli utenti che ad esso si rivolgono.
LA NASCITA DELL’ISTITUTO
“Il 25 ottobre p.v. (1937 n.d.r.) verrà aperto l’Istituto ‘Opera Pia Don Giovanni Bergalucci’ che dovrà ospitare le ragazze di Offida e di altri paesi ed impartire loro una sana educazione fisica e spirituale.
La volontà benefica del Benefattore don Giovanni can. Bergalucci espressa col suo testamento il 13 settembre 1862, con cui donava il suo vistoso patrimonio per dar vita all’Opera Filantropica, è così realizzata.
Scopo specifico dell’Istituto Opera Bergalucci è quello di educare le giovinette che vi saranno accolte, al sentimento dell’amore della Patria e della Famiglia, al culto della Religione Cattolica, all’interesse del lavoro, dello studio e del sapere, al sentimento della dignità personale, della sincerità, della franchezza e dell’ usanza di tutte le regale della buona Società.
L’opera Bergalucci ha sede nel nuovo palazzo proprio, posto nella parte più alta (m. 300) e più ridente del paese, lungi dalla vita intensa della popolazione, nella serena pace delle verdeggianti colline che degradano fino all’Adriatico che placido ed attraente ondeggia in piena vista a pochi chilometri in linea diretta.
II Segretario Domenico geom. rag. Ciabattoni
Il presidente Don Abele Canonico Paoletti”
Cosi un pieghevole annunciava l’avvenimento e il 4 novembre successivo, “l’Opera pia don Giovanni Bergalucci” iniziava la sua attività. Ma quante difficoltà, quante lotte, quanto impegno profuso.
FRUTTO DI UN LUNGO PERCORSO
Don Giovanni nasce in Offida il 7 ottobre 1791 da Nicola Bergalucci e da Maria Giulietti. Una famiglia agiata composta oltre che dai genitori, da tre figli: Anna Teresa, Giovanni e Rosa che andrà sposa a Raffaele Buscalferri. Giovanni, seguendo la sua vocazione, entra nel seminario di Ascoli Piceno, vi compie l’intero corso di studi, diventa sacerdote. Nel 1819 viene aggregato al Capitolo della Collegiata, e dopo la morte di suo zio, canonico Giuseppe, nel 1824 ne prende il posto e viene nominato canonico. E’ un personaggio importante, stimato nella vita cittadina, sia come rettore parroco di san Venanzio, sia come amministratore e anche come consulente facente parte nei concorsi delle condotte mediche. Morirà il 27 settembre 1862.
Il 13 settembre del 1862, con testamento redatto dal notaio Carlo Sergiacomi disponeva che dopo la morte della diletta nipote Rosa Buscalferri, nominata usufruttuaria, “con il fruttato dei beni della sua eredità, si istituisse un ricovero per i vecchi di ambo i sessi, nella casa dove abita il testatore. Altro simile ricovero si aprirà per gli Orfani di ambo i sessi”. Una volontà altamente umanitaria, sociale e cristiana della quale dava la motivazione: “perché i vecchi siano lontani dall’ ozio, dall’accattonaggio, esercitandosi in piccoli lavori, attendendo alla salvezza della propria anima” e gli orfani: “perché possano fuggire i pericoli della gioventù, avere una buona educazione ed imparare quelle arti che gli dovranno dar vitto per tutta la vita”.
“perché i vecchi siano lontani dall’ ozio, dall’accattonaggio, esercitandosi in piccoli lavori, attendendo alla salvezza della propria anima”
– DON GIOVANNI BERGALUCCI
Ma la realizzazione della sua volontà non si presentava facile: difficoltà di ordine economico e politico. In Offida, nel 1861, era stata istituita la Congregazione di Carità come ente morale, in forza del cosiddetto decreto Valerio, Commissario per le Marche, dopo l’unità d’Italia.
Questa Congregazione di Carità sorgeva per assorbire tutte le Opere Pie che nel corso dei secoli, benemeriti cittadini offidani avevano fondato: l’ospedale della SS. Trinità, istituito da una confraternita detta dei Disciplinati, intorno al secolo decimoterzo; l’ospedale di sant’Antonio abate, fondato nel 1450 con porzione dei beni di Giovan Pietro Vagnarello; il Monte frumentario, sorto nel 1532 per opera del cittadino Rocco Abate; l’Opera pia Broglia, eretta nel 1641 per sussidi ai carcerati, più tardi convertita per somministrazione di pagliericci da letto a famiglie povere; l’Opera pia Canti, fondata nel 1647 da Aristide Mariani per la dispensa del pane ai poveri nel primo giorno di ciascun anno; l’Opera pia Mancini, che fin dal 1695 provvedeva alla dotazione di fanciulle povere ed oneste; l’Opera pia Fazi, istituita per elemosine dal 1784; l’Opera pia Maria Carlini Sieber, eretta dal 1821 a beneficio di scuole femminili, ed infine l’Opera pia Valorani, destinata per il mantenimento di una cattedra di filosofia e per elargizioni da darsi a venticinque famiglie povere con prelazione a quelle portanti il suo cognome.
Don Giovanni, nel suo testamento, quasi prevedendo le difficoltà nella realizzazione delle sue volontà, dettava chiare regole per il futuro. Chiamava come amministratori dei suoi beni i parroci pro tempore dDon Giovanni, nel suo testamento, quasi prevedendo le difficoltà nella realizzazione delle sue volontà, dettava chiare regole per il futuro. Chiamava come amministratori dei suoi beni i parroci pro tempore di S.Maria della Rocca, di S. Nicolò, dei santi Filippo e Basso e Sindaco pro-tempore di Offida che dovevano svolgere la loro funzione gratis per non gravare economicamente sull’ente. Prevedendo con chiaroveggenza che altre persone o enti volessero assorbire o subentrare all’amministrazione, ordina agli amministratori nominati “di opporsi con ogni mezzo, anche giudiziario e addirittura di chiudere l’istituto, se vi-era bisogno”.
Alla morte della nipote usufruttuaria Rosa Buscalferri, gli amministratori Canonico Capitani, Canonico Grilli e parroco Amadio presero possesso dell’eredità compilarono lo statuto della erigenda Istituzione, facendo domanda per il riconoscimento civile dell’Ente. Nel frattempo, la locale Congregazione di carità brigava con subdoli e pretestuosi argomenti per incamerare i beni della nascente opera pia, Vani tentativi perché il 18 dicembre 1913, con proprio decreto Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volontà della nazione, Re d’Italia, la riconosceva come Ente morale e ne approvava lo statuto che era composto da lO capitoli e da 38 articoli. Nasceva così l’Opera Pia Bergalucci.
Iniziava, con alterne vicende ma con il continuo .impegno dei vari Amministratori succedutisi negli anni, la realizzazione della volontà del testatore. Solo nel 1937 diventerà operativo l’istituto che nel frattempo era stato realizzato, anche qui, con strane difficoltà, su progetto dell’Ing. Dr. Mario Berucci di Roma. (DAL SITO DELL’ENTE)
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Offida da vedere (Destinazione Marche)