Blog, pagine personali, siti amatoriali: tutti iscritti al ROC, il Registro degli operatori della Comunicazione dell’AgCom, con tanto di pagamento di una tassa e sanzioni penali in caso di reato? All’indomani della diffusione del disegno di legge di riordino del settore editoriale, cresce in rete la protesta (e la confusione) per un provvedimento che, se approvato in Parlamento, porrebbe seri limiti alla libertà di espressione online. Tutto è nato da una definizione allargata di “attività editoriale” e dalla successiva estensione a qualsiasi pubblicazione delle responsabilità penali previste per i reati a mezzo stampa. Il commissario dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni Nicola D’Angelo mette però le mani avanti: “comprendo l’esigenza di garanzia che ha mosso il governo a proporre questa norma, ma penso che non possa tradursi nell’imposizione di procedure burocratiche per l’apertura dei blog. (…) Bisogna evitare regole che restringano le caratteristiche di apertura e libertà che la rete consente a chi la vuole utilizzare”. Sul fronte dei reati, poi, D’Angelo sottolinea che “ci sono già gli strumenti per reprimere gli abusi”.
“Si tratta di un testo carente e borbonico che giustifica le peggiori illazioni – secondo l’avvocato Andrea Monti, esperto di diritto dell’informazione online – Il Governo ha scritto un provvedimento incomprensibile e ha poi scaricato tutto sull’AgCom”. Il disegno di legge, infattinon entra nel merito delle singole situazioni. A legge approvata, sarà poi l’AgCom a doversi assumere le vere e proprie responsabilità, decidendo se a iscriversi dovranno essere tanto i blog mainstream (come quello di Beppe Grillo), quanto quelli del tutto sconosciuti. Per quanto l’ispiratore del provvedimento, il sottosegreatario Ricardo Franco Levi, abbia subito fatto un passo indietro (”Quando prevediamo l’obbligo della registrazione non pensiamo alla ragazzo o al ragazzo che realizzano un proprio sito o un proprio blog”: qui la dichiarazione di Levi), il disegno di legge che arriverà in Parlamento resta del tutto equivoco. “Bastava essere più trasparenti e specificare in modo chiaro che l’obbligo riguarda solo chi svolge attività professionali – continua l’avvocato Monti – Invece no, il governo ha scelto la linea dell’ambiguità”. Lo scopo? “Da una parte fare cassa: nel dubbio molti utenti si iscriveranno al Registro e questo porterà un bel po’ di entrate. Dall’altra, creare una situazione confusa e così mettere il bavaglio a chi usa Internet”. L’interpretazione censoria è quella che circola di più in rete in queste ore: Beppe Grillo minaccia di “trasferire armi, bagagli e server in uno Stato democratico” (e proprio a Grillo risponde Franco Arrigo Levi con le precisazioni viste sopra); Mario Adinolfi si appella a Veltroni per bloccare un ddl che “obbligherebbe i blog a sospendere la pratica dei commenti liberi”. “La fine del personal publishing?” si chiede invece il blogger tecnologico Federico Fasce. Mentre secondo Paolo De Andreis di Punto Informatico “L’errore del Governo (…) con un colpo di bianchetto verrà consegnato all’oblìo nel più rigoroso silenzio mediatico. Presto non ne sentiremo più parlare. È già successo, si può aver fiducia che accada di nuovo”. De Andreis si riferisce alla legge 62/2001 approvata dal Governo Berlusconi, che pure inciampò in una definizione ambigua di “prodotto editoriale”, senza produrre nulla di fatto. Come dire, al di là del colore politico, in Italia permane una tendenza al “controllo” delle attività in rete. Tutto il contrario degli Stati Uniti, dove presto dovrebbe essere approvato un provvedimento che equipara i blogger ai giornalisti: tutti protetti dalle stesse garanzie in quanto a libertà di espressione. Altro che iscrizione in un Registro! (Fonte: Panorama)