Alla docente offidana, Alessia Mannocchi, è stata conferita stasera una menzione di merito, per il suo dolce e struggente racconto “Genoveffa, la polacca”, che gentilmente ci ha consentito di pubblicare integralmente.

Il racconto è stato presentato alla 2a edizione del concorso letterario “In poche parole”, in onore di Checco Bonelli, tenutosi a Montegallo.

Genoveffa, “la polacca”

Alta, magra, bellissima. Gli occhi e gli zigomi tipici di una bellezza nordeuropea. Una pelle perfetta, lunare, con qualche lentiggine che oggi le ragazze disegnano con la matita.

Timidissima, riservata ma soprattutto “un pesce fuor d’acqua”, disorientata. “Ti porto in un posto dove dalla finestra potrai cogliere la frutta!” Forse un posto paradisiaco, un posto di pace, dove due ragazzi innamorati possono mettere su famiglia.

Dalla Germania questo invito a lasciare tutto e seguire un uomo conosciuto durante la seconda guerra mondiale. Lui venticinque anni, minuto, viso magro; quella magrezza che forse solo la guerra ti può lasciare e nel suo caso anche la malattia.

Scarti e bucce di patate, il nutrimento degli uomini durante la guerra. Lei ventitré; due fratelli dispersi e la mamma in Polonia. Una di quelle mamme che non ha più rivisto i propri figli. Forse morta per il grande dolore e per la solitudine.

Due ragazzi che si promettono amore o forse è una promessa carica soprattutto di speranza; ingrediente fondamentale per ricominciare una nuova vita, un nuovo inizio, quel nuovo inizio che in tanti hanno voluto. Per tanti la guerra ha messo solo un drammatico punto di fine.

Quel punto che mettiamo al termine di una frase, che determina la conclusione e in questo caso, la disperazione, lo sconforto, l’amarezza e la morte. Il cielo terso, qualche nuvola bianca qua e là; messe insieme sembrano batuffoli di morbida ovatta.

Raggi che scaldano la pelle, un calore tiepido che sembra abbracciare i corpi. La cima del Vettore si vede benissimo da Fonditore di Montegallo.

È innevata, così bella, dona luce. All’ingresso del paese, un fruscìo forte e sinfonico: sono i castagni dietro le case, fino al bosco inoltrato. Vicino alla strada principale un altro suono, continuo e rilassante, quasi perpetuo e colmo: è il ruscello. Lo si intravede perfettamente, attraversa l’ingresso del paese.

Un corso d’acqua così fragoroso, si scaglia sulle pietre che si poggiano sul letto del rivolo. Nel frattempo gli uccellini cinguettano curiosi, alcuni fanno capolino dai loro nidi e ripari.

Ma cosa sta accadendo? È il ritorno di un uomo dalla guerra. Il paese è incuriosito e poi festoso. La guerra stavolta non ha portato via un altro figlio, ma lo ha ridonato alla famiglia, ad una madre pensierosa e preoccupata, col cuore forse già pronto ad accogliere tristi notizie. La guerra prepara.

La guerra inaridisce i cuori, anche quelli delle madri speranzose. La sofferenza è una grande maestra di vita. Stavolta si celebra il ritorno, la ricomparsa, quasi pallida, incredula. Le donne col fazzoletto in testa, si affacciano sull’uscio con occhi sgranati e desiderosi di capire.

I bambini con i calzoncini corti e le ginocchia sbucciate, corrono lungo la strada e lanciano schiamazzi. Sono i piccoli della famiglia, quelli più cresciuti sono già con le greggi o in aiuto a qualche uomo di casa.

Il paese è molto popolato, le famiglie sono numerose. C’è anche un calzolaio di fronte la “pagliara” di famiglia. Si respira un’aria strana, non solo piena di stupore; quei visi dimostrano di aver notato qualcosa di insolito: quell’uomo non è solo.

Una donna lo accompagna; proprio quella donna che ha deciso di essere la sua compagna di vita. Intimorita ed imbarazzata, cammina dietro di lui, quasi a voler che lui prontamente facesse strada. Lui apre la via, si spinge verso la salita che porta alla casa paterna. Sarà una semplice e spoglia dimora condivisa con molti: genitori, famiglie dei fratelli; tutt’insieme.

Un unico alloggio condiviso anche da chi non avrebbe voluto quella strana presenza. Eccoli, stanno arrivando! Ma chi è quella giovane donna? Un’incantevole ragazza polacca, statuaria.

Il vento muove i suoi capelli delicatamente, quasi a coprire gli zigomi così alti ed evidenti. Ma questo non le dispiace, vorrebbe nascondersi per il tanto imbarazzo. Agli occhi del paese una straniera: la straniera, la “polacca”. Un filo di voce, incomprensibile e carico di timore.

In pochi attimi ripensa alla sua fanciullezza in Polonia con la sua famiglia e la rivive. Quella gattina davanti casa che amorevolmente coccolava. Poi l’esplosione della guerra, il duro lavoro in Germania per le ragazze e l’incontro con lui.

Una promessa d’amore forse legata al desiderio di rinascere, tornare a crescere, perché in fondo era ancora una fanciulla.

Genoveffa, questo il suo nome; per tutti Gina la polacca. Quanta forza ti ha sempre contraddistinto! Mia cara nonna, grazie a te e a lui che non ho conosciuto, ci sono anch’io. Gli occhi verdi, la pelle fragile e delicata, quegli zigomi che tanto ho odiato, ma che ora amo, sono le caratteristiche che mi riconducono a te, nipote della polacca “d’Fnneture”.

Quanta strada hai fatto da sola cara nonna, quanta forza d’animo, quanto coraggio.

Dolcissima e resiliente, testarda e caparbia. Quei monti e la tua audacia sono impressi nella mia anima, perché tu insieme a quei luoghi, avete scolpito il mio cuore e quello delle mie figlie che mi sentono raccontare con amore.

A te nonna Gina, che tanto mi hai amato.

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