personaggi illustri


© Alberto Premici – All rights reserved.

Pagina in fase di continuo aggiornamento per reperimento e verifica fonti.

MAESTRO DI OFFIDA


1. ABATI LUCANTONIO – Priore nel 1696
2. AGNELLINI ARMENIO – Avvocato-donò i suoi beni per l’istituzione di un Monastero (Benedettine)
3. ALESSANDRINI SIMPLICIO – Sindaco
4. ALLEVI ALCIDE – 1831 – 1893 – Pittore
5. ALLEVI GAETANO – Vice Console S.R.I. Patriota
6. ALLEVI GIOVANNI BATTISTA – Medico – 1870 – 1932

Tra gli illustri figli della terra di Offida è senz’altro da annoverare il prof. Giovanni Allevi. Forse meno noto rispetto all’intraprendente zio Guglielmo, ma una vera celebrità nel campo della medicina. Di lui riportiamo alcune notizie tratte dalla rivista quindicinale “Terra Picena” del 31 Luglio 1932. Veniva da famiglia di scienziati e di patrioti che subirono le persecuzioni del Governo Pontificio e combatterono per l’Unità d’Italia. Con tali nobili tradizioni, avendo militato da giovane nel partito socialista, nell’epoca romantica, quando era tutt’altro che un mezzo per far carriera ed affari, se ne distaccò al tempo della guerra e fu uno dei primi medici volontari e uno degli ultimi a far ritorno dal fronte. Ebbe anche l’incarico della propaganda fra le truppe della 2^ Armata. Nato in Offida il 25 Novembre del 1870, compì gli studi ginnasiali e liceali a Fermo e quelli universitari a Bologna dove si laureò per trasferirsi quasi subito a Milano. Nel 1909, per pubblico concorso, fu nominato consulente medico della Società Umanitaria per gli infortuni e le malattie del lavoro, posto che abbandonò sdegnosamente in periodo di disfattismo, dando prova di nobiltà d’animo e di alto sentimento patriottico. Nel 1914 conseguì la Libera Docenza per titoli in Patologia del Lavoro presso la R. Università di Napoli. Nel 1915, essendo assessore al Comune di Milano, andò con le squadre di soccorso nei territori della Marsica devastati dal terremoto. A San Benedetto dei Marsi contribuì a creare parecchie opere civili che servirono a riportare i primi bagliori di vita in quella plaga dove la morte aveva largamente mietuto. Questo gesto gli valse, da parte del Ministero degli Interni, la medaglia di benemerenza. Alla vigilia della prima guerra mondiale lavorò instancabilmente alla “Croce Verde” per preparare, con qualche altro amico, i corsi di insegnamento per infermieri e infermiere. La sua opera fu apprezzata al punto che la umanitaria istituzione volle conferirgli una medaglia d’oro di benemerenza. Più tardi fece parte del Comitato Centrale di Assistenza per la Guerra e del Comitato Igienico-sanitario per la propaganda fra i soldati e le loro famiglie. In guerra fu negli ospedali da campo e con le truppe combattenti. Dopo Caporetto, il generale Giuseppe Pennella, allora comandante della 2^ Armata, più di una volta riconobbe all’Allevi “il merito di aver portato un validissimo contributo nel preparare l’animo della truppa alla vittoria che culminò nelle epiche giornate del Montello e alle quali egli prese viva parte”. Avvenuto l’armistizio, ebbe dal Comando Supremo degli incarichi di fiducia. Prima fu mandato al campo di concentramento degli ex prigionieri italiani di Rivegno provenienti dall’Austria e dalla Germania, poi col 25° Corpo d’Armata che fronteggiava nella Venezia Giulia l’esercito jugoslavo. Oltre alle decorazioni di tutti i combattenti, gli furono conferite la medaglia commemorativa della guerra con quattro fascette, la medaglia di benemerenza dei Volontari di guerra e due croci al merito di guerra, una delle quali, con magnifica motivazione, per la ritirata di Caporetto. Giovanni Allevi spiegò ininterrottamente una grande attività nel giornalismo scientifico e nella stampa politica, trattando questioni soprattutto di Medicina Sociale. I più accreditati quotidiani di Milano e di Roma accolsero per anni i suoi articoli, nei quali egli sostenne la necessità di un maggiore sviluppo delle Assicurazioni Sociali e della difesa della donna operaia nel campo del lavoro. Propugnò, in mezzo a tutti, l’educazione sportiva, specialmente tra gli operai. In Italia fu tra i primi a far conoscere l’importanza dell’Igiene e della Patologia del Lavoro. La sua tesi di laurea ebbe per titolo “Il saturnismo cronico”, tema suggeritogli da numerosi casi di avvelenamento da piombo, osservati in una fabbrica marchigiana di stoviglie. Fu pure tra i primi a bandire la crociata contro l’alcolismo, ma, avendo sostenuto il principio della moderazione, fu preso di mira da vivacissimi attacchi polemici da parte dei proibizionisti. Nelle sue numerose pubblicazioni rifulge la profonda cultura con la vastissima sua pratica nell’esteso campo della patologia del lavoro, della infortunistica, della sociologia. Le sue memorie e pubblicazioni su svariati argomenti sono numerosissime. Tra i suoi volumi, da ricordare soprattutto: L’Alcoolismo, Le Malattie dei Lavoratori e l’Igiene Industriale, La Medicina Sociale, Sport e Igiene, L’Assicurazione Infortuni e la valutazione dei danni, Gli Stupefacenti e la Medicina Sociale. Collaborò, inoltre, in due importanti riviste edite dal Bureau International du Travail, “La tubercolosi dal lato clinico e sociale” e “L’Ygiene du travail”. Fu di indole mite e modesta – dice di lui la cronaca di allora – di carattere retto e integerrimo, di cuore nobile e generoso, di intelligenza acuta e sagace. Fu di una operosità indefessa e considerò sempre il lavoro come un apostolato da esercitarsi per il bene della patria e a vantaggio delle masse lavoratrici. Tutta la sua vasta produzione scientifica, tutti i suoi molteplici scritti di “Volgarizzazione” furono volti sempre a questo scopo elevato e altruista. “L’animo suo, schivo delle vane pompe e degli affari lucrosi, raccoglieva le più elette doti della Stirpe Picena”. Immenso fu il cordoglio il giorno della notizia della sua morte avvenuta a Milano il 6 Giugno 1932. I solenni funerali si svolsero l’8 Giugno 1932 alle ore 10. Per la circostanza, il Grand’Ufficiale prof. Luigi Devoto ricordò il suo “alto sentimento patrio, la valorosa condotta al fronte, le benemerenze nel campo scientifico, l’amore per gli umili”.

7. ALLEVI GUGLIELMO – 1834 – 1896 – Archeologo, poeta letterato

nato in Offida il 20 aprile 1834 ed ivi deceduto il 30 novembre, è una figura nota più per le sue ricerche archeologiche che per l’attività poetica. Uomo di grande cultura non conseguì mai una laurea fermandosi al 3° anno di corso alla facoltà di giurisprudenza all’università di Bologna. Nel necrologio Antonio Marchionni così si espresse: il poeta gentile, che con i suoi versi smaglianti di luce, olezzanti di fiori, seppe toccare le corde del cuore. Fin da giovane dimostrò di avere ricchezza di fantasia, di sentimenti e d’immaginazione, accompagnati da un’attenta ammirazione ed attrazione per il bello ed il sublime. La tendenza ad esprimere in contenuti spirituali intelligibili i suoi stati d’animo, si manifestò quindi molto presto. Una raccolta delle sue poesie Allevi la pubblicò,sotto il titolo LA GIRONDA del MONTANINO, a Lodi nel 1872, quando era collaboratore del giornale locale la PLEBE. Gironda era un antico strumento musicale costituito da un telaio in cui erano tese le corde che venivano poi messe in vibrazione da una ruota impeciata, da girare a mano (perciò gironda). “Montanino” è un aggettivo riferibile ad una persona amante la montagna, come era il poeta. In tal modo volle forse significare che i suoi componimenti poetici erano semplici e schietti come le note di questo strumento musicale. Altre edizioni uscirono successivamente a Milano, col titolo significativo di ANNI PRIMIERI. Intese così sottolineare che la passione della sua gioventù era stata la poesia. L’ultima edizione risalì all’anno 1883. In Offida il volume era in vendita nel negozio di Sergiacomi Salvatore al prezzo di centesimi 2. La raccolta comprendeva poesie originali di Allevi e libere traduzioni di composizioni dei poeti tedeschi: Herwegh, Holty, Schwab, Bauernfeld, Jacoby; francesi: Victor Hugo-Soumet, Sofia Chebuliez, Vermersch; inglesi: Shelley, Swinburne, Chaucer; latini:Flaminio; spagnoli: Caballero, Boscan. Le imitazioni di poeti stranieri non devono far pensare che Allevi possedesse una scarsa vena poetica. Anzi era dotato di un’ispirazione creativa ed immediatezza di sentimento e di pensiero che lo portavano ad esprimersi, in versi pregevoli ed appassionati, su temi vari o pertinenti. Cantò la primavera ed i fiori, le donne, il tempo, i sentimenti e la famiglia. La bellezza della natura e la suggestione dei luoghi, meta delle sue peregrinazioni, trovarono una bella espressione poetica nelle odi Le cascate del Reno, La valle del Nekar, Il lago di Zurigo, Il lago di Ginevra. Si percepisce,nella poesia di Allevi una predisposizione dell’animo al rispetto per la natura, l’ambiente e gli esseri viventi. La sua vena poetica produsse odi ispirate a sentimenti patriottici quali 2 Giugno e Ricordo della Lepanto. Gli schemi ritmici ed i contenuti artistici,espressi nelle creazioni poetiche, meritano un’attenzione particolare. Il nostro concittadino possedeva anche il pregio di conoscere alla perfezione la metrica antica latina e greca ed il ritmo sillabico delle lingue moderne: questa sua cultura lo portava ad esprimersi con un verso facile, scorrevole e talvolta troppo armonioso. Faceva sempre uso della rima, alternata o baciata (due versi consecutivi identici). Più rare sono le rime incrociate od incatenate. I versi sono raggruppati in terzine, quartine, sestine o sonetti (due quartine e due terzine). Non mancano componimenti liberi, odi od inni. La profonda conoscenza della produzione poetica europea ed il lungo peregrinare in Germania non influirono in alcun modo sull’opera poetica di Allevi che si avvicinò ai poeti italiani del 1800,specie al Leopardi. Del poeta di Recanati non ebbe però la profondità di pensiero ed il lamento disperato anche se un senso di malinconia, che talvolta si confondeva con una pace virgiliana, scorreva spesso nei suoi versi. Del Leopardi assimilò piuttosto l’esattezza di pensiero e l’efficacia di riproduzione, che appaiono le sue doti migliori. L’attitudine e l’educazione della sua mente all’osservazione pronta ed accorta era straordinaria. Pur vivendo in una località lontana dai grossi centri, estraneo a tutti quei cenacoli culturali che pullulavano in Italia nel secolo passato,Allevi riuscì ad acquisire un posto ragguardevole nel quadro della letteratura italiana. Fu conosciuto ed apprezzato, oltre che in sede locale,in campo nazionale, ove riuscì a mantenere relazioni importanti ed improntate a cordialità ed amore per l’arte e la cultura. GUGLIELMO ALLEVI (biografia dal sito del Centro Studi Allevi)

8. AMURRI – Patriota
9. ANDREA da OFFIDA (messer) – Podestà di Macerata
10. ANGELINI MICHELE 1868 – 1931 – Studioso di Storia e Tradizioni Popolari
11. ANNIBALDI LORIS – 1912 – 1940 – Ufficiale Medico

annibaldi

Nacque in Offida l’11 Marzo 1912. Di indole vivace e generosa, frequentò le scuole medie di Osimo e di Macerata. Nel Luglio del 1931 ottenne, in Ascoli Piceno, la Maturità Classica. Sull’esempio del padre, il compianto dott. Giovanni Annibaldi, scelse la professione del medico e si iscrisse alla facoltà di medicina a Torino, laureandosi brillantemente nel Luglio 1937. Fu allievo della Scuola della Sanità Militare di Firenze e poi sottotenente medico presso il 1° Reggimento Artiglieria di Pesaro. Nel 1939 gli fu dato l’incarico provvisorio di medico condotto nel Comune di Montegallo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu chiamato a compiere la sua opera in un battaglione di bersaglieri e inviato, quale sottotenente medico, sul fronte greco e qui, a Erseki, a quota 1464, moriva tra il 12 e il 21 Novembre del 1940 (incerto il giorno preciso). Il corpo non è stato mai identificato. Il giornale “Eja!”, sul numero 5 del 1° Dicembre 1941, così si esprimeva: “Eroe della terra picena! Il sottotenente medico Loris Annibaldi da Offida aveva partecipato con i suoi bersaglieri del 4° alla battaglia del fronte occidentale; fin da allora aveva richiamato su sé l’attenzione dei superiori per la sua valentia professionale e per la sua tempra adamantina. Stimato dal comandante, pregiato dai suoi camerati ufficiali, era quasi adorato dai suoi bersaglieri ai quali soleva dare tutto il suo amore e tutta la sua scienza. Sbarcato in Albania e destinato al fronte greco entrava con il suo battaglione subito in linea, facendosi notare per la mirabile calma di fronte al pericolo. Dal 12 al 21 Novembre 1940, in nove giorni di continui, aspri e duri combattimenti fu magnifico per sprezzo del pericolo, per tenacia, per fede destando ammirazione in chi gli stava vicino”. Il 20 Dicembre 1953, su incarico del Ministero della Difesa, il colonnello dei bersaglieri Emilio Di Pietrantonj, in piazza del Popolo di Offida, gli conferì la medaglia d’oro alla memoria, appuntandola sul petto del padre Giovanni mentre il reparto degli Allievi Ufficiali di Ascoli Piceno presentava le armi. La motivazione: “Ufficiale medico di battaglione, si offriva di far parte di un reparto incaricato di attuare un colpo di mano nelle linee nemiche. In nove successivi giorni di continui aspri combattimenti, si prodigava in maniera ammirevole nella sua missione, distinguendosi per coraggio e altruismo. Ferito ad una gamba rifiutava di essere sgombrato e ordinava ai portaferiti di portargli vicino i colpiti per prestar loro le prime cure. Rimasto sul terreno della lotta, dopo che i superstiti del battaglione, rotto il cerchio nemico che li rinserrava si erano aperti un varco, al nemico sopraggiunto che gli intimava la resa, rispondeva con le ultime bombe a mano, provocandone la reazione che lo colpiva mortalmente. Immolava così la sua fiorente giovinezza per aver voluto generosamente oltrepassare i limiti dei più alti doveri di soldato e di medico”. Il comitato cittadino per le onoranze alla medaglia d’oro “Loris Annibaldi” era composto da: Italo D’Angelo, Stanislao Castelli, Dora Castellucci, Libero De Santis, Don Amedeo Di Matteo, Francesco Farano, Angelo Luzi, Danilo Maggiolini, Giacomo Michelangeli, Giulio Nardinocchi, Renato Santeusanio. L’allora sindaco di Offida, Italo D’Angelo, ebbe a dire: “…La nostra città è orgogliosa di aver dato i natali a tale giovane che al dovere offrì l’estremo sacrificio della sua vita e noi oggi rendiamo omaggio a tanto eroico valore. Null’altro possiamo aggiungere al tributo di onori che una invocazione suprema. Da tanta illuminata memoria traggano i dovuti insegnamenti noi e le generazioni future, e primi fra tutti, accanto al rispetto per il valore e il sacrificio, l’amore per la propria terra, per la pace fra gli uomini”. Per l’occasione, intervennero l’On. Tambroni in rappresentanza del Governo, il Prefetto di Ascoli Piceno dott. Cappellini, il gen. Medico dott. Piccioli, le medaglie d’oro prof. Fantini e col. Carolei, oltre a numerose autorità politiche, civili, militari e religiose. Oggi, nella terra dove Loris Annibaldi nacque, tre lapidi ricordano il suo nome: sulla facciata della casa paterna in via S. Francesco, all’ingresso dell’ex ospedale, e sul monumento ai caduti in piazza della Libertà. Intitolati a lui sono anche l’ospedale militare di Milano e l’infermeria della caserma “Del Monte” di Pesaro. Nel 50° anniversario della sua morte, l’Amministrazione Comunale di Offida ha voluto ricordare la figura dell’eroe. Il 15 Dicembre 1990 si è tenuta una solenne cerimonia commemorativa con l’intervento di numerose autorità, della fanfara dei bersaglieri e di un reparto di Allievi Ufficiali di Ascoli Piceno. “Oggi celebriamo il 50° anniversario della morte di un illustre figlio della nostra terra, Loris Annibaldi – ebbe a dire il maestro Libero De Santis nella sua allocuzione- Si, siano benedette queste cerimonie, esse servono a rinfrancarci e rimanere saldi contro il bestiale materialismo che tenta di distruggere la parte più nobile dell’uomo: lo spirito, i suoi principi morali e gli ideali più alti con freddo cinismo, irridendo tutto ciò che è bello, buono e santo. Se nella vita e nel quotidiano lavoro ci ispireremo al sentimento di bontà e di altruismo, e saremo consapevoli del dovere da compiere, sicuramente la società ne sentirà benefici effetti”.12. ANSELMI GIUSEPPE – Sindaco
13. ANSELMI UGO – Fotografo
14. ARDUINI CARLO – Storico
15. ATTONE – Priore del Monastero di S. Angelo in Filetta nel 1039
16. BARONCELLI BALDASSARRE – Guerriero – fu Senatore di Roma – 1380 – 1437

Disse di lui il Ghirardacci: “Huomo crudelissimo et assai favorito dal papa..Era huomo maligno et superbo et ambitioso, teneva le stanze tutte di finissimi panni di razza (arazzi) adobbati et il pavimento tutto coperto di panni et quando dava udienza voleva che gl’huomini gli parlassero ginocchioni sin tanto che egli gli accennava si levassero in piedi; quando nel pubblico cavalcava, facevasi menar dietro un cavallo carico di funi per ispaventare il popolo et quando parlava sempre minacciava di morte crudelissima, talmente che tutti del fatto suo si tremavano.”

Azioni intraprese ed altri fatti salienti (dal 1496 al 1535):

Ha le sue prime esperienze militari nelle guerre contro Ascoli Piceno

Milita agli stipendi del re di Napoli Ladislao d’Angiò.

1423 – Diviene luogotenente nella compagnia di Ardizzone da Carrara. Sorveglia i castelli di Conte da Carrara siti nel teramano.

1423 – Luogotenente di Obizzo da Carrara a Controguerra ed a Torre al Tronto. Concede in affitto ad alcuni abitanti di Castagneto un mulino in contrada Lalenata, presso Vezzola.

1428 – Ricopre l’incarico di capitano della montagna bolognese.

1433 – Ottiene dal papa Eugenio IV l’incarico di capitano della guardia inferiore e di vicecastellano di Castel Sant’ Angelo a Roma. Reprime un tumulto dei romani.

1434 – Ha ora il comando del presidio di Castel Sant’ Angelo. I romani si ribellano al pontefice: Baldassarre da Offida finge di accordarsi con i rivoltosi; al termine dei colloqui cattura 11 cittadini, fra i quali vi è anche il condottiero Giacomo da Roma.

1434 – E’ assediato in Castel Sant’Angelo. Entra nel borgo di San Pietro Orso Orsini con molti cavalli e fanti; dopo alcuni giorni è superata la resistenza di Porta Settimiana. Baldassarre da Offida può così uscire dalla fortezza ed impadronirsi con un colpo di mano del Campidoglio.

1435 – (gennaio) Viene nominato senatore di Roma; mantiene questa carica fino alla fine di novembre.

1435 – A seguito della pace con i viscontei è inviato a Bologna con il nuovo governatore della città, il vescovo di Concordia Daniele da Treviso. E’ nominato podestà di Bologna; 200 fanti fanno parte della sua guardia personale.

1435 – Requisisce le armi tenute nella casa di Giacomo dalle Correggie e di altri partigiani dei Canedoli e le fa portare nel suo palazzo; fa decapitare Antongaleazzo Bentivoglio ed impiccare Tommaso Zambeccari nella sala del re Enzo.

1436 – Condanna a morte il cancelliere di Antongaleazzo Bentivoglio, Cola d’Ascoli, con l’accusa di avere cercato di consegnare Bologna ai viscontei: per dimostrare ai bolognesi di essersi comportato correttamente nei confronti del Bentivoglio e dello Zambeccari, fa avere a Cola d’Ascoli la grazia dal pontefice.

1436 – Affianca Francesco Sforza all’assedio di Forlì. Diffida dell’operato del condottiero.

1436 – Assale Lugo alla testa di milizie che gli sono fornite in gran parte dallo stesso Francesco Sforza.

1436 – Francesco Sforza gli richiede la disponibilità delle truppe fornitegli per l’azione contro Lugo: Baldassarre da Offida trama contro il condottiero ed incita Niccolò Piccinino ad assalirlo.

1436 – Con Pietro Giampaolo Orsini cerca di fare uccidere a tradimento a Ponte Poledrano (Bentivoglio) Francesco Sforza; vi colloca in agguato alcuni arcieri. Lo Sforza, avvertito la sera precedente dell’insidia dal cardinale di Capua, non si fa vedere all’ appuntamento. Baldassarre da Offida lascia allora Bologna, si porta a Budrio e vi raccoglie numerosi contadini per prendere alla sprovvista il capitano rivale. Sosta alla Riccardina; è vinto dagli avversari capitanati dal Sarpellione. Fugge a Budrio; viene assediato nel castello: gli abitanti si ribellano, è catturato mentre tenta di nascondersi travestito da donna. Cosparso di farina, è condotto a Cotignola dove confessa le insidie portate a Francesco Sforza. Il condottiero lo fa condurre a Fermo. E’ incarcerato nella rocca del Girifalco ed è preso in custodia da un ex servitore di Antongaleazzo Bentivoglio.

1437 – Muore colpito da una tegola fattagli cadere sulla testa; per altri è impiccato; per altre fonti ancora, viene avvolto nudo in una pelle di bue e sotterrato con tutto il corpo tranne la testa.

17. BARONCELLI CARLO – Guerriero – (Carlo dei Peruzzi, Carlo di Aufidia) Di Offida. Signore di Offida + 1535 ca.

Il Colucci così lo descrive: “Famoso guerriero e gran capitano. Se in lui si può notare alcun vizio è l’essere stato troppo ardito ne’ militari congressi, troppo fiero nelle fazioni, troppo precipitoso nel maneggio delle armi, troppo colerico ed iracondo.”

1500_1_340

Azioni intraprese ed altri fatti salienti (dal 1496 al 1535):

1496 – Favorisce i fuoriusciti di Ripatransone; con l’aiuto degli abitanti di Fermo e quelli di Ascoli Piceno può entrare in tale località riportando la perdita di una decina di uomini.

1496- Si insignorisce di Offida.

1497 – Perde la signoria di Offida ad opera di Astolfo Guiderocchi. Ripara a Ripatransone.

1497 – Si allea con i fermani e devasta l’ascolano con i fuoriusciti. Con Andrea Doria cattura a Porto d’Ascoli Gian Francesco Guiderocchi.

1497 – Viene respinto da Offida. Sono uccisi per rappresaglia il fratello Ercole e lo zio Roberto con altri partigiani dei Baroncelli. Si stabilisce a Fermo.

1498 – Attraversa il Tesino ed avanza nell’ ascolano. Depreda le campagne di Ripatransone, si accampa al Poggio di Bretta e minaccia Ascoli Piceno. Viene respinto da Offida.

1500 – Uccide con alcuni suoi partigiani il castellano di Offida, uno spagnolo, e si impadronisce temporaneamente della rocca: si vendica in tal modo della morte dei congiunti voluta dallo stesso castellano. Gli viene contro il cardinale legato Giovanni Balve: si discolpa e passa agli stipendi dei pontifici.

1502 – Si allea con Oliverotto da Fermo per contrastare i fuoriusciti di Fermo.

1502 – Si trova alla conquista di Camerino; dà alle fiamme il castello di Petritoli.

1503 – Ritorna ad Offida alla morte del papa Alessandro VI.

1509 – Si riconcilia con il papa Giulio II.

1510 – Accoglie in Offida i fuoriusciti ascolani con Ciotto Migliano.

1511 – Milita agli stipendi dei fiorentini. Presenzia alla rassegna della sua compagnia.

1512 – A Castel San Giovanni per la rassegna della sua compagnia di cavalli effettuata dal commissario Pietro Nerli.

1512 – E’ segnalato alla guardia della Valdarno Superiore, della Val di Chiana e del Casentino. La sua sede è a Civitella in Val di Chiana dove alloggia con 10 balestrieri a cavallo.

1513 – Combatte i suoi rivali politici, i Parisani, i Malaspina e gli Odoardi che hanno alfine la meglio. Trova rifugio a Fermo.

1520 – Allorché Fermo si solleva a Ludovico Euffreducci, su richiesta del commissario pontificio Niccolò Bonafede soccorre gli insorti e scaccia l’ avversario dalla città. Con Brancadoro da Fermo ottiene dai pontifici il comando delle milizie: si porta a Grottazzolina con 100 fanti e partecipa alla battaglia di Falerone. Nello scontro ha il comando del centro dello schieramento; fa allargare le sue linee e sparare diversi colpi di spingarda contro i fanti avversari che, spaventati, abbandonano il combattimento. Con la vittoria ha l’incarico di inseguire i fuggitivi.

1527 – Dopo il sacco di Roma occupa Offida e Castignano per conto dei fermani. E’ assediato in Castignano per cinquantasette giorni. Con la resa della città, riesce a darsi alla fuga.

1533 – (giugno) E’ organizzata in Offida la riconciliazione fra le fazioni. Nasce una nuova disputa con i Boldrini, molti membri di tale famiglia sono uccisi. Carlo da Offida ripara a Comunanza dove sfugge ad un agguato dei rivali.

1533 – Segue un trattato di pace tra Ascoli Piceno ed Offida: gli sarà permesso di rientrare nella città solo più tardi.

1535 – Muore a Molfetta.

18. BARONCELLI FRANCESCO ? – 1548 – Minore Osservante
19. BARONCELLI GIOVANNI – Avvocato Concistoriale al tempo di Callisto III
20. BARTOLOMEO da OFFIDA – beato Minore
21. BENEDETTI GIAMBATTISTA ? – 1591 – Vescovo di Penne e Atri
22. BERARDI GIAMBATTISTA ? – 1629 – Agostiniano
23. BERARDO III ? – 1119 – Priore del Monastero di Santa Maria poi Abate di Farfa
24. BERGALUCCI don GIOVANNI – Sacerdote – 1791 – 1869

Col 25 ottobre p.v. (1937 n.d.r.) verrà aperto l’Istituto “OPERA PIA DON GIOVANNI BERGALUCCI che dovrà ospitare le ragazze di Offida e di altri paesi ed impartire loro una sana educazione fisica e spirituale. La volontà benefica del Benefattore don GIOVANNI Can. BERGALUCCI espressa col suo testamento il 13 settembre 1862, con cui donava il suo vistoso patrimonio per dar vita all’Opera Filantropica, è così realizzata! Scopo specifico dell’Istituto OPERA BERGALUCCI è quello di educare le giovinette che vi saranno accolte, al sentimento dell’amore della Patria e della Famiglia, al culto della Religione Cattolica, all’interesse del lavoro, dello studio e del sapere, al sentimento della dignità personale della sincerità, della franchezza e dell’usanza di tutte le regole della buona Società. L’opera BERGALUCCI ha sede nel nuovo palazzo proprio, posto nella parte più alta (m. 300) e più ridente del paese, lungi dalla vita intensa della popolazione, nella serena pace delle verdeggianti colline che degradano fino all’Adriatico che placido ed attraente ondeggia in piena vista a pochi chilometri in linea diretta. Firmato: Il Segretario DOMENICO Geom. Rag. CIABATTONI Il Presidente Don ABELE Canonico PAOLETTI Così un pieghevole annunciava l’avvenimento e il 4 novembre successivo, l’Opera pia don Giovanni Bergalucci iniziava la sua attività. Ma quante difficoltà, quante lotte, quanto impegno profuso. Don Giovanni nasce in Offida il 7.10.1791 da Nicola Bergalucci e da Maria Giulietti. Una famiglia agiata composta oltre che dai genitori, da tre figli: Anna Teresa, Giovanni e Rosa che andrà sposa a Raffaele Buscalferri. Giovanni, seguendo la sua vocazione, entra nel seminario di Ascoli P., vi compie l’intero corso di studi, diventa sacerdote. Nel 1819 viene aggregato al Capitolo della Collegiata, e dopo la morte di suo zio, canonico Giuseppe, nel 1824 ne prende il posto e viene nominato canonico. E’ un personaggio importante, stimato nella vita cittadina, sia come rettore parroco di san Venanzio, sia come amministratore e anche come consulente facente parte nei concorsi delle condotte mediche. Morirà il 27 settembre 1869. Il 13 settembre del 1862, con testamento redatto dal notaio Carlo SerGiacomi disponeva che dopo la morte della diletta nipote Rosa Buscalferri, nominata usufruttuaria, “con il fruttato dei beni della sua eredità, si istituisse un ricovero per i vecchi di ambo i sessi, nella casa dove abita il testatore. Altro simile ricovero si aprirà per gli orfani di ambo i sessi”. Una volontà altamente umanitaria, sociale e cristiana, perché ne dava la motivazione: “perché i vecchi siano lontani dall’ozio, dall’accattonaggio, esercitandosi in piccoli lavori, attendendo alla salvezza della propria anima” e gli orfani: “perché possano fuggire i pericoli della gioventù, avere una buona educazione ed imparare quelle arti che gli dovranno dar vitto per tutta la vita”. Ma la realizzazione della sua volontà non si presentava facile: difficoltà di ordine economico e… politico. In Offida, nel 1861 era stata istituita la Congregazione di Carità come ente morale, in forza del cosiddetto decreto Valerio, Commissario per le Marche, dopo l’unità d’Italia. Questa Congregazione di Carità sorgeva per assorbire tutte le Opere Pie che nel corso dei secoli, benemeriti cittadini offìdani avevano fondato: l’ospedale della SS. Trinità, istituito da una confraternita detta dei Disciplinati, intorno al secolo decimoterzo; l’ospedale di sant’Antonio abate, fondato nel 1450 con porzione dei beni di Giovan Pietro Vagnarello; il Monte frumentario, sorto nel 1532 per opera del cittadino Rocco Abate; l’Opera pia Broglia, eretta nel 1641 per sussidi ai carcerati, più tardi convertita per somministrazione di pagliericci da letto a famiglie povere; l’Opera pia Canti, fondata nel 1647 da Aristide Mariani per la dispensa del pane ai poveri nel primo giorno di ciascun anno; l’Opera pia Mancini, che fin dal 1695 provvedeva alla dotazione di fanciulle povere ed oneste; l’Opera pia Fazi, istituita per elemosine dal 1784; l’Opera pia Maria Carlini Sieber, eretta dal 1821 a beneficio di scuole femminili, ed infine l’opera pia Valorani, destinata per il mantenimento di una cattedra di filosofia e per elargizioni da darsi a venticinque famiglie povere con prelazione a quelle portanti il suo cognome. Don Giovanni, nel suo testamento, quasi prevedendo le difficoltà nella realizzazione delle sue volontà, dettava chiare regole per il futuro. Chiamava come amministratori dei suoi beni i parroci pro tempore di S. Maria della Rocca, di S. Nicolò, dei santi Filippo e Basso e il Sindaco pro-tempore di Offìda che dovevano svolgere la loro funzione gratis per non gravare economicamente sull’ente. Prevedendo con chiaroveggenza che altre persone o enti volessero assorbire o subentrare all’amministrazione, ordina agli amministratori nominati “di opporsi con ogni mezzo, anche giudiziario e addirittura di chiudere l’istituto, se vi avrà bisogno”. Alla morte della nipote usufruttuaria Rosa Buscalferri, gli amministratori Canonico Capitani, Canonico Grilli e il parroco Amadio presero possesso dell’eredità, compilarono lo statuto della erigenda Istituzione, facendo domanda per il riconoscimento civile dell’Ente. Nel frattempo, la locale Congregazione di carità brigava con subdoli e pretestuosi argomenti per incamerare i beni della nascente opera pia. Vani tentativi perché il 18 dicembre 1813, con proprio decreto Vittorio Emanuele III, per grazio di Dio e volontà della nazione, Re d’Italia, la riconosceva come Ente morale e ne approvava lo statuto che era composto da 10 capitoli e da 38 articoli. Nasceva così l’OPERA PIA BERGALUCCI. Iniziava, con alterne vicende ma con il continuo impegno dei vari amministratori succedutisi negli anni, la realizzazione della volontà del testatore. Ma solo nel 1937 diventerà operativo l’istituto che nel frattempo era stato realizzato, anche qui, con strane difficoltà, su progetto dell’Ing. Dr. Mario Berucci di Roma.

25. BERNARDI GIAMBATTISTA – Pittore
26. BERNARDI GIUSEPPE – Pittore
27. BERNARDI SALVATORE – Pittore
28. BERNARDI SALVATORE – 1608 – 1644 – Minore Osservante Sacerdote Missionario e Martire
29. BERNARDO beato (PERONI DOMENICO pagina Ophis) – 1604 – 1694 – Cappuccino
30. BERNARDO da OFFIDA ? – 1558 – Beato Confessore
31. BIANCHINI – Patriota
32. BIONDI FRANCESCO ? – 1579 – Minore Osservante
33. BOLDRINI GRIFONE – Uditore Pontificio in Cesena al tempo di Gregorio XIII
34. BORZACHINI FILIPPO
35. BRANCONDI SILVESTRO ? – (o Silvestro Brancon) di Vescovo di Monte Murano (AV) dal 1596 al 1603, nato nel 1550 ca., teologo e precettore di Clemente VIII.
36. CARLINI GIUSEPPE – Pittore

A lui vengono attribuiti gli affreschi della volta e del refettorio della Chiesa di S.Agostino, come ci riferisce l’Allevi nella sua opera “A zonzo per Offida”. Tali affreschi erano per lo più rappresentati da immagini di fiori, foglie, conchiglie ed animali fantastici, opere del 700, ora non più visibili.
37. CARLINI-SIEBER MARIA – Istituì una scuola per le fanciulle alla quale legò il suo patrimonio
38. CASTELLANO DOMENICO – Ultimo Priore del Monastero di Santa Maria della Rocca
39. CASTELLANO FILIPPO – Priore del Monastero di Santa Maria della Rocca
40. CASTELLOTTI GAETANO
41. CASTELLOTTI GIAMBATTISTA
42. CATALDI GIACINTO – Priore nel 1696
43. CECCHI GIOVANNI – Vescovo di Nicopoli al tempo di Bonifacio IX, che consacrò la Chiesa di San Francesco di Montelupone nel 1397
44. CENTRONI BALDASSARRE – Musicista di origine napoletana – (doc)

Proprio al termine di piazza del Popolo, per che volge le spalle al palazzo municipale, si apre, sulla destra, una modesta ma caratteristica piazzetta; è largo Centroni. Un nome che forse dice poco a qualcuno, ma che ricorda, invece, uno dei più illustri figli di Offida. E proprio in questi giorni ricorre la data della sua nascita. Non sappiamo di preciso il giorno, ma conosciamo l’anno di nascita, il 1784; il mese, forse, Luglio. Rocco il nome del padre, Emilia Santagata la madre. Esattamente 218 anni fa, dunque, nasceva colui che sarebbe diventato uno dei più celebri suonatori di oboe e di corno inglese d’Europa. Poco sappiamo dei suoi primi anni di vita. Lo storico offidano Antonio Marchionni lo fa nativo di Napoli, ma da recenti studi (Alfredo Bernardini in “Il flauto dolce”, aprile 1988) sembra proprio che la sua città natale sia stata Offida – dice Bernardini nella sua pubblicazione – intorno al 1784 e morì a Bologna il 13 dicembre 1860… Pressoché nulla si sa della sua formazione, ma il fatto che lo stesso si definisse napoletano, lascia pensare che abbia compiuto i suoi studi in uno dei Conservatori di Napoli, distinguendosi come il miglior allievo. Terminati gli studi, ritornò in Offida per un breve periodo. Nel 1811 si trasferì a Bologna dove fu nominato accademico filarmonico e primo oboe del teatro comunale e di altri teatri come quello del Corso, della Cappella di San Petronio e professore di oboe e corno inglese al liceo musicale. Per il suo talento, divenne figura carismatica tra gli oboisti di tutta Europa. Per restare fedele ai suoi impegni bolognesi, Centroni rifiutò, nel 1813, l’offerta di assunzione al Regio Teatro alla Scala di Milano, e così fece per tanti altri incarichi. Risale al 1824 la sua profonda amicizia con Gioacchino Rossigni. L’amicizia tra i due è ampiamente documentata dalle lettere di quest’ultimo al comune amico Giovanni Vitali, violoncellista di Ascoli Piceno. Rossigni cita regolarmente il “carissimo amico” Centroni e anche se non ci da spunti per la sua biografia, a eccezione della comune golosità per le olive e i tartufi inviati da Vitali, risulta trasparente che i due si frequentassero molto, sicuramente durante il soggiorno bolognese dell’operista tra il 1835 e il 1848. Centroni, inoltre, fu valente oboista a Londra e in altre capitali europee. Di lui si conoscono due ritratti. Uno presso il civico museo bibliografico musicale di Bologna, l’altro, sempre a Bologna, della litografia Zannoli. Uno dei più grandi meriti di Centroni è quello di essersi dedicato con impegno all’insegnamento, istruendo oboisti che ebbero poi una fama non minore di quella del loro maestro. Morì all’età di 76 anni, in via Pelacani, parrocchia di San Sigismondo a Bologna, il 13 dicembre 1860. Lasciò il suo corno inglese all’amico Nicola Tozzi di Ripatransone.

45. CIABATTONI – Patriota
46. CIABATTONI GIUSEPPE: “SOLDATO VOLONTARIO D’ITALIA, SU L’ALPI TRENTINE CADUTO IL 16 GIUGNO 1916, SUGGELLANDO CON SACRIFICIO VEGGENTE PENSIERO ED AZIONE, QUESTA PIETRA PERENNE CONSACRA PROPOSITO DI AMICI MEMORI DEVOTI, QUI DOVE EGLI NACQUE E FIORIVA AD ALTA IMMANCABILE META IN ARMONIOSI DONI D’INTELLETTO E DI CUORE”. 16 giugno 1921

Prima Guerra Mondiale. Uomini, Soldati, Eroi. Giuseppe “Peppino” Ciabattoni

In questa straordinaria Fotografia, in primo piano il Sottotenente della Milizia Territoriale di Fanteria Giuseppe “Peppino” Ciabattoni di Offida (Ascoli Piceno), successivamente nell’83° Reggimento Fanteria, Brigata Venezia, durante la Grande Guerra, ripreso in Piazza San Marco a Venezia nel dicembre del 1915

Ciabattoni morì il 17 giugno 1916 in combattimento ed è decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Da notare, il cinturone con sospensioni specifiche da Ufficiale, in realtà poco usate perché scomode e comunque abolite dopo pochi mesi di guerra perché rendevano l’Ufficiale troppo e facilmente identificabile.
Sciabola modello 88 per Ufficiali di fanteria, Artiglieria e Genio brunita come disposizione Aprile 1915. Fondina per pistola Glisenti con correggiolo al collo e gambali a stecca da Ufficiale, fiori nel taschino. La foto è del dicembre 1915. Il Soldato ritratto è il Sottotenente della Milizia Territoriale, poi nell’83° Reggimento Fanteria, Giuseppe “Peppino” Ciabattoni di Offida (Ascoli Piceno).
Ciabattoni morì il 17 Giugno 1916 in combattimento ed è decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare.

La Milizia territoriale comprendeva i più anziani. Era prevalentemente adibita alle scorte dei prigionieri di guerra e solo eccezionalmente collaborava alle azioni dell’esercito (così sarà nel 1916 quando furono proprio i “vecchi” della territoriale a fermare gli austriaci sul monte Cengio).
In caso di guerra, con la mobilitazione generale, l’esercito permanente poteva arrivare a 725.000 effettivi, di cui 14.000 ufficiali di carriera, 16.000 fra ausiliari e di complemento, 17.000 graduati, 25.000 carabinieri, 653.000 soldati.
Con il richiamo della milizia mobile si arrivava ad un totale di 1.393.000 uomini in grigio verde, con la milizia territoriale a circa 2.000.000.
Alla Prima Guerra Mondiale parteciparono cittadini di sesso maschile nati tra il 1874 ed il 1899, ed anche volontari di classi più vecchie o più giovani.

A volte, gli Ufficiali, quando richiamati, passavano un breve periodo nella Territoriale per poi passare alle Brigate.

La Pistola Glisenti Modello 1910 è una pistola semiautomatica italiana della prima guerra mondiale e seconda guerra mondiale.
Nonostante fosse considerata costosa, complicata da costruire e non scevra di difetti, la Mod. 1910 si dimostrò un’arma eccellente e semplice da maneggiare. Esteticamente simile alla Luger P-08 Tedesca, fu simpaticamente chiamata “la Luger dei poveri”.

L’arma deriva da un brevetto dell’ufficiale di artiglieria del Regio Esercito Abiel Bethel Revelli (progettista anche dell’omonima mitragliatrice realizzata dalla FIAT) in calibro 7,65 mm Glisenti, una cartuccia simile al 7,65 × 21 mm Parabellum ma con bossolo di forma leggermente diversa e carica di poco inferiore. Il brevetto fu acquistato nel 1905 dalla Società Siderurgica Glisenti di Villa Carcina, in Val Trompia ed una prima versione, chiamata Pistola automatica Glisenti venne acquistata per gli ufficiali del Regio Esercito.
L’arma è conosciuta informalmente anche come Glisenti Mod. 1906.

Successivamente il 7,65 venne ritenuto inadatto all’uso militare e, quando venne indetta dal governo italiano una gara per dotare le forze armate, per la prima volta, di una pistola semiautomatica, tra le specifiche venne imposto il calibro 9 mm. Ciò indusse la MBT (Società Metallurgica Bresciana già Tempini), che aveva rilevato la sezione armi della Glisenti, a partecipare modificando la Mod. 1906 per il nuovo calibro. Ovviamente la struttura della pistola ed in particolare il sistema di chiusura a blocchetto rotante, nati per un calibro inferiore, mal sopportavano le pressioni generate dalla cartuccia da 9 mm Parabellum. Per evitare di riprogettare l’arma, la soluzione della MBT fu quella di depotenziare la cartuccia a parità di dimensioni di bossolo e proiettile, creando di fatto una nuova munizione ad hoc, la 9 × 19 mm Glisenti. Le forze armate, forse più interessate al peso del proiettile che alla gittata utile scelsero proprio quest’arma, che così risultò vincitrice su altri marchi di notevolissima caratura, quali Luger, Mannlicher e Colt. Fu adottata con la denominazione ufficiale di Pistola automatica modello 1910, anche se sarà conosciuta come Glisenti Mod. 1910, nonostante fosse prodotta dalla MBT.

La Mod. 1910, insieme alla Ruby acquistata in Spagna durante la Grande Guerra, sostituì (in parte) nelle armerie del Regio Esercito, della Regia Marina e dei Reali Carabinieri i vecchi revolver Bodeo Mod. 1889 e la Mauser Mod. 1899 Regia Marina. Ebbe il battesimo del fuoco con la guerra italo-turca del 1911, dove la delicatezza della meccanica e la sensibilità allo sporco spinsero la Regia Marina ad adottarne la versione semplificata ed irrobustita Brixia Mod. 1913. Il Regio Esercito ne iniziò la sostituzione con la Beretta Mod. 15 già durante la Prima guerra mondiale. La Glisenti servì comunque nelle truppe sedentarie e di seconda linea fino a tutta la seconda guerra mondiale

Dati del Soldato:
Ciabattoni Giuseppe di Bernardo, Albo d’Oro: Marche – (Vol XIII)
Nato il 6 febbraio 1888 a Offida, Provincia Ascoli Piceno, Regione Marche
Sottotenente Milizia Territoriale dell’83° Reggimento Fanteria, Brigata Venezia, Distretto Militare di Ascoli Piceno
Morto il 17 Giugno 1916 presso Ospedaletto da Campo N. 12 per ferite riportate in combattimento

Medaglia di Bronzo al Valor Militare
“Si slanciava primo, con il suo plotone, contro i reticolati nemici, riuscendo sotto il fuoco a passarne due ordini, dando così prova di esemplare coraggio e di grande disprezzo del pericolo”
Monte Carbonite (Val di Sella), 12 aprile 1916
La Val di Sella è una vallata alpina del Trentino sudorientale, sita sulle Prealpi Vicentine (versante settentrionale dell’Altopiano di Asiago).

PER NON DIMENTICARE

Foto Archivio Storico Flickr
Si ringrazia Francesco Rusticone per la preziosa collaborazione
Si ringrazia Pierangelo Botto per la preziosa collaborazione
Si ringrazia Filippo Del Monte per la preziosa collaborazione.

approfondimento e dati ufficiali

full

47. CIPOLLETTI don CARLO – Priore

48. CIPOLLETTI LUIGI 1774 – 1842 – Legista
49. CIPOLLETTI PAOLO – Cappuccino
50. CIPOLLETTI TOMMASO GIACINTO – Generale dei Domenicani
51. COCCI – Patriota
52. COCCI ALESSANDRO ? – 1700 – Medico

53. CORRADO da OFFIDA – Nacque in Offida da umili genitori, il 12 dicembre 1237. Aveva dunque solo quattordici anni quando, nel 1251, fu accolto nell’Ordine dei frati minori dal ministro generale Giovanni da Parma. Aspirando ad una vita di rinunzia, di penitenza e di preghiera nella solitudine, secondo la rigida prassi ascetica che era stata predicata e praticata da s. Francesco d’Assisi e dai suoi primi compagni, C., sebbene fosse dotato di particolari doti intellettuali ed avesse già dato buona prova di sé, preferì troncare quasi, subito gli studi cominciati nel convento di Assisi per servire i suoi confratelli nei servizi più umili. Trasferito al convento di Forano (custodia di Ancona) nell’Appennino marchigiano, vi conobbe il beato Pietro da Treia e si legò a lui di amicizia fraterna. Come ricordano i Fioretti di S. Francesco, i due giovani, “i quali erano due stelle lucenti nella provincia della Marca e due uomini celestiali”, misero in comune le loro esperienze ascetiche: “imperciocché tra loro era tanto amore e tanta carità che uno medesimo cuore e una medesima anima parea in loro due, e’ si legarono insieme a questo patto, che ogni consolazione, la quale la misericordia di Dio facesse loro, eglino se la dovessono insieme rivelare l’uno all’altro in carità (cap. XLIV).

L’esempio di penitenza e di sacrificio, la pietà stessa del giovane frate marchigiano, di cui si era sparsa ben presto la fama – ricca di episodi edificanti è la sua, biografia per questi anni -, indussero i suoi superiori a destinarlo alla Verna, dapprima, e a fargli riprendere gli studi interrotti. Ordinato sacerdote, ebbe lo specifico mandato della predicazione: la forza della sua parola, il rigore della sua vita, la fervida adesione al messaggio e alla tradizione di s. Francesco, lo fecero diventare ben presto una delle personalità più eminenti dell’Ordine. Fu in rapporto con i primi compagni di Francesco: in particolare, risulta che fu assai legato a frate Leone, anche se non siamo in grado di determinare – allo stato attuale delle nostre conoscenze – come, dove e quando i due religiosi abbiano avuto occasione e modo di incontrarsi e di conoscersi.

Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione: Fototeca Nazionale — Giacomo di Nicola da Recanati – sec. XV – Apparizione della Madonna con Bambino al beato Pietro da Treia e al beato Corrado da Offida

Fedele alla lettera della severa regola francescana specie per quello che riguardava la povertà, insieme con l’amico Pietro da Treia partecipò attivamente al dibattito allora in corso all’interno dell’Ordine, sostenendo apertamente gli “spirituali”, quei confratelli che, pauperisti in senso rigorista, intendevano mantenersi fedeli agli austeri ideali del francescanesimo primitivo. E quando gli “spirituali” poterono riunirsi nella Congregazione dei “poveri eremiti e fratelli di papa Celestino” istituita dal nuovo pontefice Celestino V, anche C. con ogni probabilità abbandonò l’Ordine dei minori per entrare in una delle nuove comunità. In questo periodo di tempo fu in contatto con Pierre de Jean Olieu – il riformatore provenzale i cui scritti sulla povertà evangelica si sospettava contenessero errori dottrinali – e con lo stesso Angelo Clareno. Data la reticenza delle fonti a noi note, è difficile cercar di stabilire, ora, la parte avuta da C. nella prima scissione dell’Ordine; così come è difficile precisare i suoi rapporti con Pierre de Jean Olieu, che alcuni storici vogliono limitati ai doveri della fraternità e agli ideali di vita religiosa.

Quando, dopo l’abdicazione di Celestino V (13 dic. 1294), il nuovo pontefice Bonifacio VIII ebbe sciolto nel 1295 la Congregazione dei “poveri eremiti”, C. – cui Pierre de Jean Olieu aveva inviato una lettera per esortarlo a consigliare ai confratelli di sottomettersi e di riconoscere il nuovo pontefice – non aderì alla corrente secessionista guidata da Angelo Clareno, ma preferì mantenersi nell’obbedienza: chiamato a giustificarsi davanti al generale dell’Ordine dei minori, riuscì a guadagnarsi la sua benevolenza e la sua comprensione. Riammesso tra i francescani, riprese la sua attività di evangelizzazione, rimanendo rigidamente fedele ai suoi ideali di povertà, di penitenza, di preghiera. Morì a Bastia di Assisi, mentre teneva un ciclo di prediche, il 12 dic. 1306, due anni dopo il suo amico fraterno Pietro da Treia.

Il corpo di C., che fu nel 1320 traslato nella chiesa di S. Francesco in Perugia, si trova ora nel vicino oratorio di S. Martino. La fama di santità, di cui godé già in vita, non tardò a trasformarsi in venerazione dopo la sua morte: “Il detto frate Currado da Offida, mirabile zelatore della evangelica povertà e della Regola di santo Francesco, fu di sì religiosa vita e sì gran merito appresso Iddio, che Cristo benedetto nella vita e nella morte l’onorò di molti miracoli” (Fioretti di s. Francesco, XLIII). Pio VII, nel 1817, ne approvò il culto. La festa di C. ricorre il 12 dicembre.

L’adesione di C. alla linea rigorista all’interno del francescanesimo si precisa nel fatto che egli rinunciò a formarsi una preparazione teologica, preferendo dedicarsi – secondo quanto riferisce la tradizione – per ben dieci anni alla cucina dei frati e alla questua. In ogni caso, da quanto risulta dal complesso dei dati tradizionali giunti sino a noi, ebbe ben presto una posizione di rilievo assai caratteristica tra i frati minori delle Marche. Pur senza partecipare al movimento di opposizione alla gerarchia dell’Ordine – opposizione che proprio nelle Marche aveva i suoi esponenti di maggior rilievo in fra’ Liberato e in fra’ Pietro da Macerata -, ne accettò e mise in pratica, piuttosto che teorizzare, le idee orientatrici di una povertà radicale, in direzione di una vita di silenziosa ascesi e di ritiro eremitico, iniziando una prassi che sarà esemplare anche in seguito per i seguaci del rigorismo o, come poi si dissero, degli “spirituali”.

È interessante comunque rilevare che C. sembra essere stato uno dei confidenti di frate Leone, il quale lo avrebbe informato soprattutto di quella che oggi si suole chiamare la “gnosi francescana” e quel complesso di rivelazioni, che s. Francesco stesso e i suoi compagni più diretti avrebbero avuto e comunicato sul destino di decadenza e di rinnovamento dell’Ordine. In ogni caso e prescindendo dal problema – allo stato attuale non risolvibile – del se e fino a che punto C. abbia rielaborato, esasperato ed accentuato quanto aveva appreso da frate Leone, è da ritenere che appunto egli sia stato colui che, avendo goduto della confidenza del grande compagno di s. Francesco, ha dato diffusione e credibilità a queste tradizioni profetiche, che, riprese successivamente dal più giovane Ubertino da Casale e inserite da Angelo Clareno nella sua Historia septem tribulationum, hanno avuto la più larga influenza sia sugli “spirituali”, sia, alla fine del Trecento, su quella ripresa minoritica, che conosciamo come Osservanza.

C. visse la grande esperienza della speranza provocata dall’elezione di Celestino V: fu appunto C. che consigliò a Pietro da Macerata e ad Angelo Clareno di rivolgersi a lui per ottenere la formazione della Congregazione dei “pauperes eremitae Domini Celestini”, che ha indubbiamente appoggiato, anche se non è del tutto certo che egli ne abbia fatto parte.

Dopo l’eliminazione dei “pauperes eremitae” voluta da Bonifacio VIII, C., che da tempo conosceva i cardinali Colonna, si schierò dalla loro parte contro il nuovo pontefice, di cui contestò la validità dell’elezione. A questo proposito emerge un dato fermo nella biografia di C., in quanto a lui venne inviata da Pierre de Jean Olieu la ricordata lettera, la cui importanza non deve davvero essere sottovalutata. Questa lettera, in data 14 sett. 1295, discute appunto le idee degli “spirituali” italiani ed è, non a caso, diretta a C.: questi, pur rigorista, era per altro il più disponibile ad intendere per la vita dell’Ordine un indirizzo che non fosse soltanto di appassionata polemica, ma anche e piuttosto ragionata riflessione su dati e fatti di natura storica e giuridica insieme. Da questa lettera inoltre emerge una caratterizzazione precisa del rigorismo italiano, di cui C. era dunque un esponente di prim’ordine, e del rigorismo della Francia meridionale, di cui era in quel momento vertice Pierre de Jean Olieu. Questi – non si dimentichi che è alla fine del Duecento forse il più grande teologo ed esegeta dell’Ordine – si lasciava dirigere soltanto da una concezione coerente ed organica del potere ecclesiastico, incarnato nella gerarchia con in cima il pontefice, senza lasciarsi prendere la mano da tradizioni magari venerande, ma senza l’appoggio di una consistente riflessione sugli aspetti concreti della vita e dell’organizzazione ecclesiastica. L’influenza di questa lettera su C. si riscontra immediatamente nei differenti atteggiamenti che, rispetto al pontefice e al ministro generale dell’Ordine, Giovanni Minio di Morrovalle designato a sostituire il deposto Raimondo “Gaufridi” (29 ott. 1295), ebbero appunto C. ed il suo compagno di idee Iacopone da Todi. Mentre per vario tempo erano stati fianco a fianco, come quando si erano recati da Celestino V per ottenere la formazione dei “poveri eremiti”, anche dopo la lettera di Pierre de Jean Olieu, Iacopone rimase legato ai Colonna, di cui sottoscrisse il cosiddetto “manifesto di Lunghezza”, finendo quindi imprigionato fra il 1298 e il 1305. Invece C., che doveva essere rimasto profondamente colpito dalla lettera di Pierre de Jean Olieu (questi aveva, nello stesso tempo, composto un apposito trattato sulle dimissioni di Celelestino V, la Quaestio de renuntiatione papae), sirecò – come si è detto – a fare atto di sottomissione al nuovo ministro generale, il quale gradì moltissimo questo gesto di obbedienza e considerò da allora in poi con molto rispetto il frate di Offida, come testimonia esplicitamente, tra gli altri, anche Angelo Clareno. Secondo quest’ultimo, infatti, Giovanni Minio avrebbe mandato a chiamare C. per rimproverargli tutti i precedenti gesti di indisciplina e di ribellione più o meno esplicita, di cui era stato accusato dai suoi avversari. C. alle parole di rimprovero del generale avrebbe risposto con tanta semplicità ed umiltà che Giovanni Minio “mise da parte l’amarezza che aveva concepito contro di lui e crebbe nell’amore e nella reverenza tanto che, da allora in poi, fino alla morte, lo faceva chiamare di frequente e ne aveva grandi consolazioni nel vederlo e nell’ascoltarne i discorsi” (Angeli Clareni Historia septem tribulationum, V, 12, a cura di F. Ehrle, in Archiv für Literaturund Kirchengeschichte des Mittelalters, II[1886], pp. 249 s.).

Cogliamo in questo episodio l’essenza e i limiti del rigorismo di C., quale era stato indirizzato e corretto da lui; in particolare veniva riconfermata la necessità dell’obbedienza e del rispetto dei superiori, contro ogni tentazione di disunione e di dissenso. In questo, però, non bisogna pensare ad una sottomissione supina e, per così dire, inerte, quanto piuttosto al sentimento di una profonda rassegnazione ad un piano provvidenziale, che lo stesso Pierre de Jean Olieu, come altri, sentiva dover essere la prova suprema del francescanesimo, inteso come umile sottomissione, sacrificio, obbedienza, che dovevano coronare e completare la vita di povertà e di emarginazione di cui s. Francesco stesso aveva dato esempio.

Riteniamo a questo punto di dover perciò sottolineare la singolarità e l’importanza della personalità di C. nell’ambito del francescanesimo in genere ed in particolare dello spiritualismo italiano, di cui rimase la personalità più interessante, anche se meno battagliera e contestatrice.

Dopo quanto si è detto, si può lasciare da parte l’aneddotica, che non mancò di manifestarsi nei suoi riguardi come nei confronti dei restanti francescani di qualche rilievo. Si ricorda perciò appena la visione, che egli avrebbe avuto, della Vergine con il figlio in braccio (Fioretti di s. Francesco, cap. XLII); o l’episodio del lupo che, inseguito dai cacciatori, sarebbe stato salvato essendosi rifugiato nel romitorio di C., il quale lo avrebbe poi condotto, mansueto come un agnello, nel convento; 0, ancora, la liberazione della fanciulla indemoniata, che il Santo avrebbe liberato, allontanandosi però subito dopo dal luogo del miracolo “per non essere trovato e onorato dal popolo” (ibid.). Anche da parte si lasciano gli episodi relativi alla Verna e alla dama Benvenuta, che da C. sarebbe stata avviata ad una vita di più intensa religiosità, operando poi in aiuto dei frati.

Tutti questi episodi, ed altri ancora, che qui si tralasciano, tendono a formare quell’alone di leggenda che caratteristicamente si è realizzata intorno alle personalità di maggior rilievo all’interno del francescanesimo.

La tradizione francescana attribuisce a C. un’opera, i cosiddetti Verba fratris Conradi, che raccolgono, in significativo sviluppo della progressiva formazione della leggenda di s. Francesco, una serie di elementi che vengono presentati, almeno in parte, come di origine leoniana e che si propongono di dare, di S. Francesco, una visione fondamentalmente rigorista pur senza l’esasperazione di talune tendenze dello spiritualismo; questi Verbacontribuiscono perciò a sistemare e collocare un momento, legato comunque a C., della varia e molteplice serie di toni ed atteggiamenti della spiritualità francescana tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. In questo senso rappresentano una testimonianza significativa delle molte reazioni che la formazione dell’Ordine francescano provocò nella seconda metà del Duecento fra coloro che, per varie ragioni ed a vario titolo, più volevano collegarsi, passando al di sopra di formalità e norme giuridiche, a quello che era stato esempio vivo e palpitante di Francesco d’Assisi. Con i Verba, quindi, ci troviamo di fronte ad un testo di singolare rilievo, da collocare tra rigorismo vero e proprio e tradizione di continuità dell’esempio di S.Francesco.

È stata discussa da H. Grundmann (Liber de Flore …, in Historisches Jahrbuch, XLIX [1929] pp. 77-80) l’ipotesi che C. possa essere stato l’autore del ben noto Liber de fiore, fin’ora tenacemente anonimo. Una serie di considerazioni, che partono da argomenti interni ed esterni, lo inducono ad accantonare questa eventualità.

Fonti e Bibl.: Chronica XXIV Generalium O.F.M., in Analecta franciscana…, III, Quaracchi 1897, pp. 422-428; F. Bartoli, Tractatus de indulgentia S. Mariae de Porziuncola, a cura di P. Sabatier, Parisiis 1900, pp. 30, 41, LX; Verba fratris Conradi, a cura di P. Sabatier, in Opuscles de critique historique, I, Paris 1903, pp. 366-392; Catalogus sanctorum Fratrum Minorum, a cura di L. Lemmens, Romae 1908, p. 8; Petri Iohannis Olivi De renunciatione Papae Celestini V quaestio et epistula, a cura di L. Oliger, in Arch. franc. histor., XI (1918), pp. 33-39, 366-375; Angeli a Clarino Chronicon seu Historia septem tribulationum Ordinis Minorum, a cura di A. Ghinato, Roma 1959, pp. 162 ss.; Gratien de Paris, Histoire de la fondation et de l’évolution de l’Ordre des Frères Mineurs au XIIIe siècle, Paris 1928, ad Indicem;G. Oddi, La Franceschina, Firenze 1931, 1, pp. 350-355; II, pp. 369 ss.; A. Canaletti Gaudenti, Il beato Pietro da Treia nella storia e nella leggenda, in Miscellanea franc., XXXVI (1936), pp. 166-193; XXXVII (1937), pp. 77-87; F. Fazi, Sulla data di nascita del beato C. da O., ibid., XXXVIII (1938), pp. 211 ss.; L. de Clary-G. C. Guzzo, Aureola serafica, VI, Venezia 1954, pp. 311-317; R. Manselli, La Lectura super Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi. Ricerche sull’escatologismo medioevale, Roma 1955, pp. 172-176; L. M. Kortleven, Conrad d’O., in Dict. d’Hist. et de Géogr. Ecclés., XIII, Paris 1956, col. 495; R. Sciammannini, C. da O., in Bibliotheca sanctorum, IV, Roma s. d. (ma [1964], coll. 206 s.; J. Moorman, A history of the Franciscan Order from its origins to the year 1517, Oxford 1968, ad Indicem; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, III, p. 614; Enc. Catt., IV, coll. 636 s. (Fonte: Enciclopedia Treccani)

54. CURTI AGOSTINO – Primo Sindaco di Offida dopo il 1860
55. CURTI DOMENICO
56. DE CASTELLOTTI – Patriota
57. DE CASTELLOTTI NICOLA – sindaco
58. DE SANTIS SEBASTIANO – sindaco
59. DESIDERI don VINCENZO ? – 1894
60. DESIDERI GIUSEPPE 1810 – 1865
61. FABIANI FERDINANDO 1655 – 173. – Artista
62. FAZI dott. LEONE – Sindaco
63. FIORDI don GIACINTO – Cappuccino Patriota
64. FORLINI BENIAMINO 1843 – 1889

nato in Offida il 31 agosto 1843, compiuti gli studi di filosofia, si trasferì a Roma per perfezionarsi in pianoforte e organo. Ivi fu chiamato ad organista nella chiesa di S. Agostino, diede lezione di piano in molte famiglie e compose romanze e ballabili. Morì il 16 settembre 1889 e con i testamenti del 9 e 20 luglio 1889 nominò eredi del suo ricco patrimonio i poveri della sua città natale.
65. FRANCESCO – Priore del Monastero di Santa Maria nel 1330
66. GIOVANNI da OFFIDA – Minore Francescano Vescovo di Napoli
67. GRIFONELLI CORNELIO – Arciprete di Caldarola
68. GRIFONELLI GIANFRANCO – Legista
69. GUARNIERI EDOARDO – sindaco
70. GUARNIERI GIUSEPPE – 1856 – 1918 – Professore Medico
71. GUARNIERI LUIGI – Sindaco
72. GUGLIELMO d’OFFIDA ? – 1559 – Minore Osservante
73. GUIDOTTI FAUSTO 1655 – 1731 – Vescovo di Città della Pieve
74. IONNI LUIGI ? – 1829 – Agostiniano
75. JACOBINI GIAN FRANCESCO ? – 1626 – Minore Conventuale
76. JACOBO frate – Priore di S. Agostino nel 1331
77. LEONI GHINO – Artista Direttore e Professore della Scuola di Disegno
78. LONGINO DI AZONE ? – 1050 – Signore di Offida-dona tutti i suoi possedimenti all’Abbazia di Farfa nel 1039
79. LUCA di OFFIDA ? – 1434 – agostiniano, Vescovo di Gerace (?) e Vescovo dal 1429 al 1438 della diocesi di Ajaccio, sede della Chiesa cattolica suffraganea dell’arcidiocesi di Marsiglia. Attualmente la diocesi comprende l’intera isola di Corsica. Se ne trova traccia nel volume “Secoli Agostiniani overo Historia generale del sacro ordine eremitano del gran dottore di Santa Chiesa S. Aurelio Agostino vescovo d’Hippona” dal R. P. F. Luigi Torelli da Bologna, edito il 1 gennaio 1680. Luca da Offida è citato anche nell’Enciclopedia dei Papi della Treccani, dove si legge che Martino V , “ricevette in dono dal teologo agostiniano Luca de Offida l’attuale ms. Vat. lat. 938 della Biblioteca Apostolica Vaticana, contenente la Summa de ecclesiastica potestate di Agostino Trionfo”. Si legge inoltre che nel 1429 Luca da Offida, nel quadro di un forte recupero agostiniano, presiedeva al trasporto delle reliquie di s. Monica da Ostia a Roma.

80. MAESTRO ALBERTINO – Architetto della chiesa di Santa Maria
81. MAGINI GIOVANNI BATTISTA – Pittore
82. MAGINI JR di PASQUALE – Pittore
83. MARCHIONNI ANTONIO
84. MASTRANGELO GIOVANNI – Sindaco
85. MERCOLINI BASILIO 1863 – 1931

Nato a Spinetoli l’ 8 luglio 1863, commercialista, si spense il 28 marzo 1931 ad Offida, ove aveva trascorso la sua esistenza. Socialista e repubblicano partecipò attivamente alla vita politica ed amministrativa di Offida. Fu amico e fattivo collaboratore in attività politiche del prof. Giovanni Allevi, anch’egli socialista, docente di patologia del lavoro all’ Università di Milano. Le liriche, ventinove, furono raccolte, con pubblicazione postuma del 28 marzo 1932, in un volumetto dal titolo PALLIDA MORS. Personaggio irrequieto, non credente, studioso e di vasta cultura scrisse anche poesie in dialetto offidano. La Santificaziò de lu Beate Bernardo (28 agosto 1892), Carnevale e Quaresima (17 febbraio 1893) e la Chiesa Nova de li Capeccì (2 settembre 1894), sono le più conosciute perché pubblicate nel settimanale locale Ophys. La sua vena poetica,le sue fonti d’ispirazione ed i suoi intimi sentimenti furono indicati in quello che è scritto sul frontespizio del libretto. ESTETA RAFFINATO ESPRESSE IN QUESTE LIRICHE I SOSPIRI E LE MALINCONIE DEL SENSIBILE CUORE,IL CUI VIBRARE PIETOSO LO RESE DI TUTTI I MISERI IL BENEFATTORE NASCOSTO. Le liriche, spesso non rimate, non hanno un verso scorrevole e non sono di facile lettura. Vi si scorge una certa oscurità di pensiero congiunto a sentimenti di malinconia che fanno pensare ad un travaglio interiore e che una vita attiva non era riuscita a risolvere. E’ un poeta che non invita a sorridere ma a riflettere. L’uso della lingua è corretto, con tendenza a qualche inflessione nel dialetto. Si dimostra però più ispirato nella poesia dialettale in cui riesce ad esprimersi al meglio e con versi più coloriti. Le pubblicazioni delle opere di questi tre personalità, colte, ma non letterate, sono ora quasi introvabili. Nella biblioteca comunale sono conservate Pallida Mors ed il testo di Anni Primieri fotocopiato.

86. MERCOLINI EMIDIO

87. MERCOLINI FILIPPO – Musicista
88. MERCOLINI GIUSEPPE
89. MERCOLINI LUIGI – Fondatore e direttore dello Stabilimento Bacologico
90. MERLA o MERULA AGOSTINO – Agostiniano
91. MICHELANGELI GIACOMO
92. MICHELI CESARE 1836 – 1918
93. MICHELI GIOVACCHINO – Musicista Professore di violino al Conservatorio Nazionale di S. Cecilia di Roma
94. MICHELI GIUSEPPE 1810 – Sindaco
95. MICHELI GIUSEPPE MARIA – Sindaco
96. MICHELI LUIGI 1795 – 1861 – Ingegnere Provinciale
97. MICHELI MARIA ADELAIDE – Musicista 1° violino dell’orchestra RAI
98. MIGNUCCI POMPEO ? – 1655 – Vescovo di Acquapendente
99. MONALDO – Priore del Monastero di Santa Maria
100.MOSTACCI
101.NICOLA d’OFFIDA ? – 1759 – Cappuccino – dell’Ordine dei Frati Minori (? 1349), Vescovo di Belcastro
102.NICOLO’ di OFFIDA ? – 1357 – Minore Conventuale Vescovo
103.PALMUCCI

PANETTA del fu Enrico ‘de Offida‘, giudice e assessore del comune pisano alla curia dell’Aquila, condanna Vanne di Andrea da Soiana a pagare staia 12 di grano a misura pisana, a ragione di affitto, al notaro Gerardo da Castell’Anselmo, procuratore di donna Nella, vedova di Gaddo Liscari da Soiana. Data e letta a Pisa, nella suddetta curia posta nel palazzo nuovo delle sei curie del comune pisano. Testimoni Compagno del fu Guidone da Putignano e Iacopo del fu Martino da Lari. Cop. dagli atti della ridetta curia per Pietro di Giovanni da Luciana, notaro e giudice ordinario.
104.PAPARELLI LUDOVICO – Priore della Collegiata e Vescovo di Cagli (1734)
105.PASQUALETTI OLINDO 1916 – 1996 – Sacerdote, Professore Latinista

“Un uomo doppiamente sacerdote della fede e della scienza”, come lo ha definito il dott. Nicola Venanzi, professore emerito del Liceo-Ginnasio “T. Varrone” di Rieti. Stiamo parlando di Olindo Pasqualetti, celebre latinista, uomo di scienza dotato di profonda umanità e definito dalla critica neoumanista della modernità. Olindo Pasqualetti nasce in Offida nel 1916. Ancora ragazzo si trasferisce con la famiglia a San Benedetto del Tronto dove conclude il secondo ciclo delle scuole elementari. Da qui, a 12 anni, parte per entrare nel seminario dell’Istituto della Consolata per le Missioni Estere. A Torino termina il corso di studi seminaristici, umanistici, filosofici, teologici e in questa stessa città è ordinato sacerdote nel 1940. Si laurea in lettere antiche presso l’Università Cattolica di Milano dove, in seguito, svolge per più di un ventennio la sua attività nell’Istituto di Filologia classica. In precedenza, per diversi anni, aveva esercitato l’insegnamento di latino e greco in diversi licei pubblici e privati d’Italia (Varallo Sesia, Vercelli, Fermo). La sua improvvisa morte, avvenuta presso la “Casa Madre delle Missioni Consolate” di Torino il 21 Novembre 1996, suscitò profonda impressione nella sua città natale, perché ad essa rimase sempre legato da profondo affetto, tanto da dedicarle la celebre lirica “Ophidae Urbis Prodigium”. Per suo espresso desiderio, Olindo Pasqualetti riposa ora nel cimitero di Offida, accanto alla sua adorata mamma. A lui è stata intitolata la piazza davanti al santuario di Santa Maria a Mare, dove spesso amava soggiornare. Poiché fin da giovanissimo “quod temptabat scribere latine erat”, ha pubblicato in riviste nazionali ed estere, poesie, componimenti in prosa, saggi, recensioni in lingua latina. Ha partecipato a molti concorsi di poesia e prosa latina, nei quali ha conseguito 14 premi, 10 secondi premi, 23 terzi premi. Quasi tutte le sue opere sono state raccolte in “Gemina Musa” nel 1987 e in “Tre appendici a Gemina Musa” nel 1992. Ha anche al suo attivo pubblicazioni universitarie e testi scolastici con le Case Editrici Dante Alighieri e Minerva Italica. Ha collaborato con i più noti latinisti all’Enciclopedia Virgiliana (Treccani). Ha partecipato ai Convegni Internazionali: Ciceroniano, Oraziano, Ovidiano, Pliniano, Varroniano. È stato socio di “Opus Fundatum Latinitas” (Città del Vaticano), del Centro Studi Varroniani di Rieti, dell’Accademia di Scienze di Roma e dell’Accademia Marchigiana di Scienze e Lettere. Nel 1996 l’Amministrazione Comunale di San Benedetto del Tronto, per meriti di ordine economico, umanitario e culturale gli ha assegnato l’ambito premio “Premio Truentum”. Dal 1962 al 1995 ha ricevuto ben 15 prestigiosi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. Di lui, così ha detto il prof. Emidio Diletti, preside emerito dell’Istituto Magistrale “Mercantini” di Ripatransone: “Nelle poesie di Olindo Pasqualetti è evidente la partecipazione alla storia del proprio tempo, la presa di coscienza dei problemi del presente. Non manca l’elogio del progresso scientifico e tecnico che ha migliorato le condizioni di vita e di lavoro. Ma pure trapelano con chiarezza le preoccupazioni per il futuro minacciato dai mali che noi stessi ci procuriamo con la nostra stoltezza: minacce di guerra, conflitti sociali, fame, paura di disastri atomici, inquinamento della natura, infauste conseguenze della diffusione della droga”. E per concludere, ecco un’espressione della prof.ssa Giovanna Biffino Galimberti dell’Università Cattolica di Milano: “Con Pasqualetti scompare una delle figure più eminenti fra i poeti neoumanisti, una delle personalità più significative fra i sostenitori della cultura classica come fondamento insostituibile per la formazione dell’uomo, uno dei più raffinati e colti interpreti del mondo antico”.

106.PELAGALLO PAOLO 1594 – Cappuccino
107.PEROTTI GABRIELE ? – 1629 – Agostiniano
108.PERUSINI FABRIZIO ? – 1608 – Vescovo di Terracina
109.PICCININI don RAFFAELE ? – 1884
110.PIERANTOZZI
111.PIGLIARDI MARCANTONIO
112.QUALEATTI GIUSEPPE – 1827
113.ROSINI – Patriota
114.ROSINI ANDREA 1595 – Cappuccino Storico
115.ROSINI BERNARDO 1913
116.ROSINI GIUSEPPE – Avvocato – Sindaco
117.ROSINI VITO – Cameriere segreto di Pio IX
118.ROTA ANTONIO – Avvocato
119.ROTRUDE ? – 1050 – Moglie di Longino di Azone
120.SALVATORE di OFFIDA – 1644 – Minore Osservante
121.SERGIACOMI ALDO 1912 – 1994 – Scultore

Aldo Sergiacomi rimane orfano della madre a sette anni e riceve la prima educazione dal padre, impiegato presso la locale Cassa di Risparmio e dalla sua seconda moglie, Bice Donati. Dopo aver frequentato le elementari viene iscritto alla scuola comunale di disegno applicato alle arti sotto la guida del prof. Ghino Leoni, allievo di Adolfo De Carolis e nel 1925 inizia a frequentare la bottega del marmista Alessandro Castellucci di S. Benedetto del Tronto, luogo in cui apprenderà le prime nozioni riguardanti la lavorazione del marmo. L’anno successivo si reca a Roma per approfondire le sue conoscenze in ambito artistico: frequenta “Scuola Preparatoria alle arti ornamentali” e lavora presso un laboratorio di scultura. Durante il periodo romano riesce a formarsi con maestri di rilievo come Lorenzo Cozza, insegnante di plastica, discepolo dello scultore ascolano Nicola Cantalamessa Papotti; Tito Ridolfi, insegnante di disegno; ma soprattutto Angelo Zanelli, autore del fregio del Vittoriano. Nel 1932 presta servizio militare a Reggio Emilia e si aggrega alla banda musicale del reggimento, in quanto aveva appreso, da ragazzo, le prime nozioni di musica sotto la guida del maestro Umberto Cavina, direttore della banda di Offida. Una volta tornato nella città natale eserciterà il suo mestiere di scultore fino alla morte, realizzando opere principalmente in marmo e bronzo su committenza sia pubblica che privata. Muore ad Offida nel 1994. (WIKIPEDIA)
122.SERGIACOMI ERASMO – Podestà
123.SERGIACOMI NICOLO’ ? – 1840 – Priore
124.SERGIACOMI SALVATORE – Direttore Stabilimento Bacologico
125.SERGIACOMI VINCENZO – Sindaco Avvocato
126.SIEBER GIUSEPPE (*)
127.STIPA LUIGI
128.TELLI GIUSEPPE ANTONIO 177. – 1850
129.TERRANI FERDINANDO – Commissario Pref poi Podestà
130.TILLI – Patriota
131.TINELLI ACHILLE
132.TINELLI FILIPPO
133.TINELLI FRANCESCO
134.TINTI
135.UMILE da OFFIDA ? – 1541 – Conventuale
136.URBANI AGOSTINO – Agostiniano
137.VALORANI FRANCESCO ? – 1827 – Medico
138.VALORANI GASPARE – Avvocato Concistoriale al tempo di Pio II
139.VALORANI VINCENZO – Medico Professore

di Francesco, offidano, nacque il 5 maggio 1786 a Cantiano (An). Fu allevato in Offida dalla nonna paterna fino all’età di 11 anni. Conseguì la laurea in medicina a Bologna ove intraprese la carriera universitaria fino ad occupare la cattedra di clinica medica nello stesso ateneo. Oltre ad essere valente clinico fu letterato e poeta. Nel 1851 fu stampato presso la tipografia Sassi dello Spaderio, in Bologna, un volume di poesie intitolato VERSI. Per tale pubblicazione gli fu assegnata, dal pontefice Pio IX, una medaglia d’oro e concessa la decorazione dell’ordine equestre di S.Gregorio Magno. Amò sempre Offida che considerava la sua vera patria e vi veniva a trascorrere i suoi periodi di riposo. Si spense a Bologna l’8.11.1852, lasciando tutti i suoi averi ai poveri di Offida ove a ricordo è dedicata una piazza. La sua ispirazione trasse motivo dal contatto con la nobiltà e la società che contava dell’epoca. Così si spiegano sonetti scritti per onorare cariche, plaudire onorificenze o ricordare avvenimenti importanti. Spirito profondamente cattolico portò nei suoi versi un contenuto di convinta religiosità. Apprezzò molto la natura che cantò, con grazia, nei suoi aspetti paesaggistici e nei valori dei suoi contenuti. Il suo verso scorre facilmente, senza ricercatezza, in modo spontaneo e spesso con rima. L’approccio con la lingua italiana, valido e corretto, non indulge a forme o flessioni dialettali. Si scopre infine una profondità di pensiero, frutto di una preparazione culturale ed umanistica.

140.VANNICOLA DEFENDENTE 1878 – 1917
141.VANNICOLA GAETANO – Prof. Architetto
142.VANNICOLA GIOVANNI 1897 – 1916

L’affetto dei genitori verso il proprio figlio è da sempre un sentimento costante, inamovibile ed importante valore per la continuazione della specie ed il mantenimento dei rapporti sociali. Nei rituali funebri di tutti i popoli, la morte di un figlio, specie in giovine età, è celebrata con atti di pietà ed opere di bontà sia da parte dei congiunti, che della comunità di appartenenza, perché il defunto rappresentava il futuro e le speranze, che andavano tragicamente perduti. Tali aspetti della cultura funeraria affiorano subito alla mente, mentre mi accingo a tracciare un pietoso ricordo di Giovanni Vannicola, prematuramente scomparso, cercando di comprendere il profondo dolore dei genitori, che da quel luttuoso evento fecero scaturire un concreto impegno di beneficenza e di solidarietà verso la fanciullezza povera e bisognosa di cure della loro epoca. Giovanni Vannicola nacque a Pagliare di Spinetoli il 21 Maggio del 1897, da Gaspare e Maria Lunerti, benestanti del luogo, che lo allevarono con cure amorose ed affettuosa protezione. Figlio unico, all’età di undici anni fu inviato al Collegio Nazionale di Fermo, ove dopo cinque anni conseguì la licenza tecnica. Per festeggiare l’evento ottenne in premio dal padre un cavallo con un calesse: così poteva liberamente muoversi e frequentare gli amici nelle località vicine. Proseguì poi gli studi presso il Collegio Carducci di Jesi, frequentando l’Istituto di Agronomia, ove dopo tre anni di corso, ottenne il diploma di agronomo. All’inizio dell’estate del 1916 fu sottoposto alla visita medica di leva per il servizio militare: dichiarato idoneo fu assegnato al corpo di artiglieria di campagna. In attesa della chiamata alle armi, aprì in un piccolo locale nella sua abitazione, un Ufficio di Preparazione Civile, in cui cercava di soddisfare le necessità della gente del luogo, fra cui quella di aiutare gli analfabeti nell’intrattenere la corrispondenza epistolare con congiunti lontani, per motivo della guerra. Ai primi giorni del mese di Settembre si attese invano che l’ufficio aprisse: Nannì (così veniva chiamato confidenzialmente) era ammalato. La notizia si diffuse subito e suscitò stupore e sgomento, quando fu noto che era affetto da una grave forma di tifo. Seguirono l’ansia della gente e la cupa preoccupazione dei genitori, che non lasciarono nulla d’intentato, organizzando consulti medici ed attuando le terapie più opportune che la scienza medica dell’epoca potesse offrire. Fra trepidazioni, speranze ed implorazioni della grazia per una guarigione nella Chiesa del luogo, lo stato morboso si protrasse fino alla sera del 23 Settembre, quando avvenne il decesso. Alla disperazione immensa ed allo strazio indescrivibile dei genitori, si unì la partecipazione commossa della gente del luogo. La salma fu tumulata nel cimitero di Offida, ove si provvide subito a far erigere un modesto mausoleo (ancora esistente), meta settimanale degli inconsolabili genitori, che con la preghiera ed un commovente omaggio floreale volevano sentirsi vicini al loro caro figliolo. Si era nel mezzo di un orribile conflitto mondiale e molte giovani vite venivano troncate giornalmente sui campi di battaglia: forse a Nannì sarebbe capitata la stessa sorte: non ci è dato saperlo. Ma di certo sappiamo che il signor Gaspare ha voluto perpetuare l’immagine del figlio, nobilitandola con un atto di bontà e beneficenza verso il prossimo. Nell’estate del 1917, nella villetta che possedeva in riva al mare, in Luigi Devoto ricordò il suo “alto sentimento patrio, la valorosa condotta al fronte, le benemerenze nel campo scientifico, l’amore per gli umili”.

143.VANNICOLA DOMENICO 1619 – 1689 Capitano della Guardia del Comune di Offida.
144.VANNICOLA LUIGI – Architetto
145.VECCIA – Patriota
146.VITALI CAMILLO ? – 1633 – Vice Marchese del Vasto
147.VITALI GIOVANNI – Musicista
148.VITALI VITALINO – Musicista
149.WBURGA ? – 1042 – Figlia di Longino di Azone dona al Monastero di Farfa un lavoro a ricamo
150.ZAZZETTI – Patriota
151.ZEPPILLI FRANCESCO

152. DON VINCENZO ROZZI – Parroco emerito di Offida, Rozzi cessava di vivere il 24 marzo 2000, presso l’Ospedale di Ascoli Piceno. Era nato il 28 ottobre 1926 a Lisciano (AP). Ordinato sacerdote il 24 marzo 1951 da S.E.mons. Ambrogio Squintani, per sei anni prestò servizio come cappellano militare a Forlì. Il 23 ottobre 1958 giunse in Offida quale parroco della Collegiata in un periodo di transizione nel quale si cercava di traghettare il tradizionale legato alle figure dei predecessori Don Amedeo e don Abele, per entrare nel nuovo del post concilio. Nel corso del suo apostolato è stato anche insegnante di religione presso la scuola media di Offida. Don Vincenzo è stato anche presidente dell’Opera Pia Don Giovanni Bergalucci.

Sono cittadini illustri e benemeriti di Offida tutti coloro che hanno combattuto e sacrificato la propria vita nella prima e seconda Guerra Mondiale. Questi i nominativi riportati nel Monumento ai Caduti inaugurato il 15/08/1923.

Iscrizioni: MORTI SUL CAMPO O IN SEGUITO A FERITE – Vannicola Defendente, Ciabattoni Giuseppe, Feriozzi Nazzareno, Brandimarti Giuseppe, Galiè Adamo, Petrocchi Fedele, Acciarri Antonio, Acciarrini Francesco, Amabili Vincenzo, Antonelli Giuseppe, Aurini Pietro, Borzacchini Filippo, Candellori Antonio, Candellori Carlo, Capriotti Luigi di Piet., Capriotti Luigi di Sab., Ciabattoni Bernardo, Cicconi Fedele, Cimaroli Emidio, Ciotti Camillo, Cocci Sante, Conti Pasquale, Croci Nazzareno, D’Angelo Ferdinando, D’angelo Filippo, D’angelo Nicola, De Santis Antonio, Ficcadenti Sante, Filippoli Emilio, Giobbi Giuseppe, Giobbi Ugo, Gregori Emidio, Lanciotti Giacinto, Laudadio Alleo, Luzi Anacleto, Massacci Pietro, Massicci Francesco, Maurizi Bernardino, Morganti Giacinto, Mosca Domenico, Mozzoni Armando, Nespeca Luigi, Pasqualini Fedele, Pierantozzi Domenico, Pierantozzi Giovanni, Quinzi Nazzareno, Rosini Umberto, Sabbatini Sabatino, Scalpelli Giacomo, Sergiacomi Giuseppe, Tassi Ettore, Tilli Camillo, Travaglini Giovanni, Virgili Nazzareno, Viviani Pilade. MORTI IN PRIGIONIA: Aquaroli Nicola, D’angelo Giovanni, D’angelo Giuseppe, Di Nicolò Sante, Gabrielli Giacinto, Guidotti Sante, Peroni Nicola, Perozzi Nicola, Simonetti Carlo, Vallorani Dionisio. DISPERSI IN GUERRA: Amabili Nazzareno, Armandi Antonio, Calvaresi Francesco, Ciabattoni Arturo, Cocci Filippo, Coccia Giovanni, Feriozzi Giovanni, Marcelli Nazzareno, Michelangeli Raniero, Pasqualini Giuseppe, Premici Francesco, Simonetti Antonio, Stipa Pietro, Tanzi Filippo, Traini Lorenzo, Travaglini Nicola. MORTI IN COMBATTIMENTO O IN SEGUITO A FERITE: Rosini Giovanni, Marcucci Guido, Pasqualini Luigi, Pellei Pietro, Travaglini Ivo, Massaroni Pacifico, Benfaremo Guido, Catalini Giuseppe, Ciabattoni Arturo, Ciabattoni Nicola, Ciabattoni Concetto, Cicconi Cesare, Cocci Quinto, De Angelis Bernardo, Gabrielli Nazzareno, Grilli Domenico, Piergallini Ettore, Sciarroni Domenico, Stipa Cesare, Vallorani Bernardo. CADUTI DALLA GUERRA LIBICA: Donati Donato, Premici Emilio. MORTI IN PRIGIONIA: Listrani Fred, Di Ruscio Ernesto, Carfagna Manlio, Piunti Giovanni, Fioravanti Luigi, Laudadio Ettore, Spinelli Giuseppe. DISPERSI IN GUERRA: Rosini Fortunato, Carducci Carlo, De Stefanis Panpilo, Vannicola Primo, Brandimarti Lamberto, Ameli Nazzareno, Capriotti Giovanni, Ciabattoni Quirico, Cicconi Orlando, Cocci Luigi, Cocci Martino, Croci Osvaldo, Falcioni Guido, Nespeca Quintilio, Osimi Arturo, Pierantozzi Giovanni, Seghetti Silvio, Simonetti Bernardo, Talamonti Emidio, Ficcadenti Luigi. MEDAGLIA D’ORO: Sottotenente Loris Annibaldi.

“PER VOI-FRATELLI SOLDATI, PURO ONORE DI OFFIDA NOSTRA, IL RICONOSCENTE AMORE-IL VOTO ROMANO, PERCHE’ IL VOSTRO MARTIRIO SIA MONITO AL MONDO-AI POPOLI, CHE ITALIA VIVE”

LUIGI MICHELI – COLONNELLO DI FANTERIA

XV AGOSTO MCMXXIII

MCMXV-MCMXVIII

(*)

“LA MUSICA STRUMENTALE NELLA MARCA MERIDIONALE TRA SETTE ED OTTOCENTO: SIEBER, NERONI, CENTRONI, LAUREATI E GALEAZZI NELL’OCCASIONE DEL BICENTENARIO DELLA MORTE DI GIUSEPPE SIEBER”

OFFIDA, 30 gennaio 2001

Il bicentenario della morte di Giuseppe Sieber ( Praga 1754 Offida 18 maggio 1801) compositore e violinista boemo, attivo nelle Marche a partire dal 1778 e residente in Offida dal 1781, costituisce l’occasione per una ricerca musicologia, assolutamente innovativa, volta ad indagare la produzione strumentale (soprattutto per strumenti ad arco) nella Marca meridionale tra sette e Ottocento. L’indagine assume maggiore valore in relazione alla totale mancanza di riferimenti nella letteratura specifica. Sulla falsariga di quanto ampiamente fatto a partire dal secolo scorso dagli studiosi tedeschi, la musicologia sta finalmente riscoprendo con gli opportuni strumenti scientifici di indagine, la civiltà musicale locale che non è stata solo quella di Pergolesi, Spontini e Rossini.

Alla luce di questa ricerca sistematica, le Marche non risultano solo terra di produzione melodrammatica, ma di una solida, tecnicamente agguerrita in senso virtuosistica, scuola strumentale per archi.

Giuseppe Sieber, attivo come insegnante presso i nobili maceratesi Compagnoni Marefoschi e spesso primo violino e/o direttore d’orchestra nelle stagioni dei teatri marchigiani del periodo, creò una vera e propria scuola di musica in Offida (Accademia musicale) dalla quale uscirono diversi musicisti. Tra questi il sorprendente violoncellista e compositore Giovanni Vitali (Offida 1777 Ascoli Piceno 1845), stimato da Rossini, che nel corso delle ricerche preliminari, ha rilevato un’insospettata statura artistica sia nello specifico virtuosismo tecnico che nella vera e propria sintonia con il genio rossiniano; ed è nel contempo la sua musica sempre originale e godibilissima all’ascolto.

Un altro allievo importante fu Baldassarre Centroni, virtuoso di oboe e corno inglese, docente al liceo musicale di Bologna, cui fu offerta la direzione del conservatorio di Londra. Questa scuola si è allargata a diversi comuni del circondario di Offida esprimendo la personalità dei fratelli Neroni di Ripatransone, il Marchese Pietro Laureati di Grottammare (riconosciuto in tutta Europa come “il Paganini del violoncello”) ad Ascoli il torinese Francesco Galeazzi, fisico, matematico, compositore e violinista, autore di un celebre trattato di tecnica violinistica dedicato al Vitali che ivi si era trasferito da Offida. Un volume specifico di taglio storico-biografico, la pubblicazione delle opere originali edite in edizione critica, l’incisione di compact delle opere più rappresentative, unitamente ad un convegno ed ad una serie di concerti nei luoghi ove si è affermata la scuola strumentale ( Offida, Ascoli Piceno, Ripatransone San Benedetto del Tronto e Grottammare) rappresenta la necessaria articolazione del progetto che si intende realizzare.


© Alberto Premici – All rights reserved.

© Copyright - OFFIDA.info
Copy Protected by Chetan's WP-Copyprotect.