I costi dei Palazzi arrivano a due miliardi. Nonostante promesse, impegni e giuramenti
Bastava tagliare un euro. Soltanto un piccolo, insignificante euro e per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana il costo degli organi costituzionali avrebbe avuto davanti il segno meno. Invece no: aumenterà anche nel 2008. Di oltre 53 milioni di euro. A dispetto di tutte le promesse, gli impegni e i giuramenti spesi per rassicurare un’opinione pubblica in fibrillazione. Lo dice, spazzando via mesi di pensosi bla bla, la tabella a pagina 279 dell’Atto Senato 1818, cioè il disegno di legge del bilancio dello Stato per il prossimo anno che accompagna la legge finanziaria. Lì c’è una bella sorpresa.
In quella tabella si spiega che gli «oneri comuni di parte corrente» a carico del ministero dell’Economia per gli organi costituzionali, vale a dire le spese di Camera, Senato, Quirinale, Corte costituzionale, Cnel e Consiglio superiore della magistratura ammonteranno l’anno prossimo a 1.998.914.863 euro. Poco più che un milioncino sotto la soglia fatidica dei due miliardi. Una scelta dovuta forse al pudore. O al tentativo di seguire le vecchie regole raccomandate dai maghi della pubblicità per far digerire al cliente una cifra indigesta: molto meglio appiccicare una targhetta di 9,99 dollari piuttosto che 10,1. Certo, la differenza è minima. Ma psicologicamente…
Eppure i numeri, si sa, sono impietosi. E dicono appunto che i sei organi citati, che nel 2007 sono pesati sulle pubbliche casse per un totale di 1.945.560.992 euro, ne peseranno l’anno entrante 53.353.871 in più. Cento miliardi delle vecchie lire. Con un aumento del 2,74%. Un punto in più rispetto all’inflazione, ferma all’1,7%. Il che significa che, al momento di fare l’addizione, la spesa supplementare sarà tre volte superiore a quei miseri 18 milioni di euro che il ministro dell’attuazione del programma Giulio Santagata diceva di essere riuscito a tagliare faticosamente nella scorsa primavera con un giro di vite su convegni, pubblicità, enti e commissioni inutili e qualche spesa dei ministeri. E superiore alla somma che lo Stato spende ogni anno per l’«integrazione sociale» degli immigrati (50 milioni). O a quella (ancora 50 milioni) che dovrebbe essere stanziata per le vittime dell’amianto.
A una prima lettura, a dire il vero, il quadro sembrerebbe ancora più nero. L’anno scorso, alle stesse voci, c’erano infatti 1.774.024.973 euro. Il che farebbe pensare a una mostruosa impennata nei costi delle principali strutture ai vertici del Paese di oltre duecento milioni di euro. Mail confronto, che sarebbe disastroso agli occhi dei cittadini, è improponibile: le voci messe a bilancio sono state infatti spostate, riscritte, accorpate, ridisegnate fino al punto che da non potere essere messe sullo stesso piano. Altrettanto ingiusto sarebbe caricare l’aumento dei costi, alcuni dei quali crescono per forza d’inerzia, sulle sole spalle del centrosinistra: i numeri dicono che nei cinque anni della scorsa legislatura, quando il centrodestra aveva una maggioranza larghissima, i costi degli stessi organi costituzionali di cui parliamo ora aumentarono del 24% oltre l’inflazione. Per non dire dei casi specifici del Quirinale (più 41,9%) o del Senato: più 38,9%. Il nocciolo della questione, però, resta: nel momento di massima spinta a tagliare, i costi dei «Palazzi» principali crescono ancora. Ma sicuro, nelle tabelle disaggregate qualche taglio c’è. Il ministero di Rosy Bindi dovrebbe perdere 40 milioni (da 320 a 280) dei fondi di sostegno alla famiglia. Gli stanziamenti a favore dell’editoria dovrebbero scendere da 79 a 34milioni. Quelli per le pari opportunità da 52 a 45. E per risparmiare qualcosa vanno a raschiare anche n e i conti della Protezione Civile: il fondo per fare funzionare il dipartimento sarà dimezzato: da 78 a 39milioni. Le voci principali della «macchina», però, vedono aumenti, aumenti, aumenti.
Il «fondo per il funzionamento della Presidenza del Consiglio» passa dai 399.316.327 di quest’anno a 433.882.000, con una crescita di quasi 35 milioni. Le spese per mantenere la Camera salgono da 961.800.000 a 990.500.000: più 28 milioni. Quelle per il Senato da 503 milioni a 519: più 16. Quelle per la Corte Costituzionale da 51 a 53 milioni: più due. Calano un pochino i costi del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia e di altre cose di secondo piano. Restano quasi al palo la Corte dei Conti, che però quest’anno è costata 299 milioni di euro e cioè 26 in più rispetto al 2006 (un aumento dell’8%: e meno male che i magistrati contabili invitano gli altri a tagliare, tagliare, tagliare) e il Quirinale.
Dove i costi sono sì aumentati da 224 a 241 milioni (il quadruplo di Buckingham Palace, otto volte più della Presidenza tedesca, 27 volte più di quella finlandese, anche se si tratta di un paese «appena» dieci volte meno popoloso dell’Italia). Ma quei 17 milioni di euro in più non saranno chiesti al Tesoro bensì recuperati autonomamente. Quest’anno. Perché il prossimo, invece, la dotazione statale aumenterà ancora di 6,5 milioni (compresi 3.568 euro che serviranno a portare l’assegno personale del presidente da 222.993 a 226.561 euro lordi). E’ il 2,97%, in più, anche in questo caso ben oltre l’inflazione. Direte: non si tratta sempre e comunque, a prenderli di qua o di là, di soldi pubblici? E’ così. Ed è qui che, dopo avere visto quanto sia difficile fermare la corsa di una macchina impazzita, per quanta buona volontà possa essere impiegata nel risanamento, che Giorgio Napolitano si trova a dover gestire un passaggio delicato. Aprire o no i libri alla totale trasparenza, nonostante la Corte Costituzionale abbia già offerto in passato la sua copertura alla scelta di mantenere un velo di riservatezza? Una decisione non facile. Soprattutto in un momento come questo. Ma è qui che verrebbe voglia di parafrasare Primo Levi: se non ora, quando?
(Fonte: Corriere della Sera – Autori: Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella)