È l’estate del 1904 quando esplode il caso della “Ascoli Cope”: l’inestimabile piviale di Papa Niccolò IV trafugato dal tesoro della Cattedrale di Ascoli e finito nella collezione del banchiere americano J. P. Morgan. Nel 1288, a celebrazione della sua elezione e del “sentimento di intimo affetto verso la Chiesa Ascolana”, il Papa francescano ha donato alla sua città la preziosa veste sacra “opus anglicanum” in seta e oro. Nella storia del piviale, due storie viaggiano parallele e s’intrecciano con le grandi vicende storiche. Una antica: il piviale nasce nelle manifatture della Cattedrale di Westminster come dono al Papa Clemente IV e come simbolo di riconciliazione tra l’Inghilterra e la Chiesa, tra i vescovi inglesi e il Papa, tra i baroni e il Re d’Inghilterra. La vicenda moderna riguarda, invece, una “nazione giovane” – l’Italia – con le sue piccole miserie umane e i suoi orgogli nazionalistici. La mattina del 6 agosto 1902 la vetrina in cui è conservato il piviale viene trovata vuota.
I sospetti incolpano da subito il capitolo della cattedrale. Vengono arrestati alcuni personaggi minori, ma non ci sono prove e il Tribunale di Ascoli deve proscioglierli. A far giustizia è il caso. Due anni dopo, una coppia di coniugi belgi, i signori Errera, visitano un’importante mostra al South Kensigton Museum di Londra. Isabella Errera non è solo un’esperta d’arte, ma è cognata di Corrado Ricci, direttore delle “Regie Gallerie di Firenze”. Il 12 luglio Ricci denuncia il fatto al Sindaco Luigi Mazzoni e poi in una lettera al “Giornale d’Italia”. In settembre, Mazzoni scrive a Morgan chiedendo la restituzione del piviale. Il Ministero degli Esteri si inserisce e comincia la mediazione. Comincia un piccolo caso diplomatico, con le tinte del giallo. Il “New York Times” segue attentamente la vicenda. Una forte campagna d’opinione viene organizzata, tra gli altri, dal celebre architetto milanese Luca Beltrami. Come nel rocambolesco furto della Gioconda, Beltrami immagina di restituire il maltolto alla Patria: “Il vetro cadde in frantumi, e tosto la mia mano afferrò il piviale… Mi risvegliai, tenendo invece stretta la coperta del letto”.
Intanto, lo scalpore seguito alla notizia del ritrovamento riattiva la giustizia. Un mese dopo, il 20 agosto 1904, viene arrestato nella sua Offida Don Raffaele Castelli, all’epoca dei fatti sagrestano maggiore di S. Emidio e addetto alla custodia. “Le indagini furono pure estese alla imputata Silvia Calvaresi, una galante donnina di Offida sulla quale si sussurrava che il Don Raffaele Castelli, giovane prete e donnaiuolo, fosse stato in rapporto e le avesse fatto tenere parte del prezzo del Piviale, con cui essa Calvaresi avrebbe fatto degli acquisti di terreni, oltre le sue possibilità economiche”. Seguono altri arresti tra il capoluogo e Londra e indagati eccellenti. Pochi giorni dopo l’arresto, il fotografo toscano Riccardo Rocchegiani – ritenuto l’esecutore materiale del furto assieme al Castelli – viene trovato morto nella sua cella di Londra. Al Rocchegiani sono state sequestrate 18.000 lire, si penserà parte delle 25.000 lire frutto della vendita. Morgan dichiarerà di aver comprato regolarmente il piviale, a Parigi per 325.000 franchi (100.000 lire). A cederlo all’antiquario Sobi De Magistris sono stati lo stesso Rocchegiani e “il sacerdote Padre Pacifico Capitani nato in Offida, Missionario Apostolico…legato con vincoli di amicizia col Vescovo e coi Canonici”. A vicenda conclusa, il Vescovo di Ascoli sarà rimosso dal suo incarico. John Pierpont Morgan si atteggia a vittima inconsapevole, ma, di fronte al montare del caso, saggiamente capitola: nel novembre del 1904 l’ambasciatore italiano a Londra prende in consegna il piviale che nel maggio del 1905 arriva a Roma. Morgan viene, da questo punto della storia in poi, celebrato come benefattore. Il Ministro degli Esteri Tittoni gli consegna una medaglia commemorativa. Anni dopo, nel 1913, alla sua morte, la città gli dedicherà un busto bronzeo.
Pochi giorni prima Morgan ha la sgradita sorpresa di essere raggiunto sul proprio yacht (“Il corsaro”!) ancorato a Taormina, da un magistrato che tenta d’interrogarlo. Il banchiere protesta per l’eccessiva indipendenza della Magistratura. Nel 1907 tutti gli imputati saranno assolti, con un’italianissima sentenza, per insufficienza di prove. Il 18 agosto, “The Ascoli Cope” è esposto in città, ma a pagamento. Il giornalista americano ironizza: “Un pover’uomo non aveva soldi ed è andato offrendo una dozzina di uova fresche a chiunque pagasse per lui, ma, mi spiace dirlo, nessuno l’ha fatto”. (Fonte: www.sambenedettoggi.it – Autore: Luca Vivese)