di Alessandra Premici (tratto dal sito Sinapsyche – link all’articolo)
Difficile, per chi l’abbia visto almeno una volta, non farsi coinvolgere completamente da Patch Adams, la pellicola di Tom Shadyac (1998), nella quale Robin Williams interpreta un brillante e ribelle studente di medicina che veste i panni del rivoluzionario medico Hunter Doherty “Patch” Adams, il primo ad introdurre la clownterapia negli ospedali. Non a caso, il genere di questo celebre film, spazia dalle note storiche e biografiche riferite al protagonista, fino ad abbracciare la commedia ed il genere drammatico.
Chiunque abbia sperimentato l’esperienza del ricovero in ospedale o abbia assistito un suo caro nella stessa condizione, infatti, ha bene in mente l’idea di come quei giorni, spesso interminabili, siano colmi di sensazioni ed emozioni contrastanti che spaziano tra le sfumature emotive più disparate: dalla noia al dolore, dalla rabbia alla frustrazione, dallo sconforto alla speranza. Facendo un piccolo, ma necessario passo indietro, possiamo scomodare il concetto di Salute attraverso la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che la definisce con queste parole: stato di totale benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattie o infermità (OMS, 2017).
Quello di salute, dunque, è un concetto positivo, che valorizza le risorse personali e sociali, andando ben oltre la semplice assenza di malattia. Insomma, non stiamo “bene” solo se “non stiamo male”. Questa essenziale definizione contiene già un importante promemoria sulla cura, ponendo l’accento sul benessere globale della persona e sull’armonia mente-corpo, lungo un continuum che va dalla cura al prendersi cura.
“Se si cura una malattia si vince o si perde, se si cura una persona, vi garantisco che, in quel caso, si vince qualunque esito abbia la terapia”.
(dal film Patch Adams-1998)
Perché allora dimenticarsene proprio negli ospedali?
Il diritto alla salute è un diritto umano fondamentale sancito dalla Costituzione e da molti atti di rilevanza internazionale. Un riepilogo significativo di questi concetti è rappresentato dalla Carta Europea dei Diritti del Malato presentata a Bruxelles nel 2002 durante il convegno “Il paziente del futuro”, frutto del lavoro del network internazionale Active Citizenship ed altre 15 organizzazioni italiane ed europee.
Essa contribuisce a rafforzare la consapevolezza dei diritti della persona malata ed orientare la deontologia e le azioni di ogni professionista sanitario. Tra questi, vanno citati il diritto all’innovazione, il diritto al trattamento personalizzato ed il diritto al rispetto di standard di qualità.
La persona, dunque, ha il diritto di accedere a servizi sanitari di qualità, sulla base della definizione e del rispetto di standard ben precisi, nonché il diritto di accedere a procedure innovative, in linea con gli standard internazionali ed indipendentemente da considerazioni economiche.
Ogni individuo, inoltre, ha il diritto di ricevere programmi diagnostici o terapeutici adattati, il più possibile, alle sue esigenze personali.
Queste considerazioni ci fanno comprendere che quando parliamo di un ricovero ospedaliero, non ci troviamo di fronte al paziente ospedalizzato o a qualcuno da curare in modo asettico ed impersonale, bensì alla persona-in-ospedale, di cui ci si impegna a promuovere la salute globale ed a considerare personalità, risorse, esigenze, bisogni ed inclinazioni.
La salute psicologica e la promozione del benessere nei contesti di cura, permettono di continuare a coltivare la parte sana della persona e di rimettere in moto le sue risorse creative per affrontare il percorso di guarigione in modo favorevole e proattivo.
“Il punto è che dobbiamo curare il paziente oltre che la malattia. Dobbiamo tuffarci nelle persone, navigare nel mare dell’umanità” (dal film “Patch Adams”)
Patch Adams, nel celebre film, si ricovera volontariamente in una clinica psichiatrica a causa di una profonda depressione, sperimentando personalmente la solitudine e l’abbandono da parte di medici e infermieri. Una volta dimesso, riprende gli studi presso la facoltà di medicina e, forte della propria esperienza, lotta tenacemente nel tentativo di cambiare il sistema ospedaliero attraverso trovate comiche ed ironiche per testare le reazioni dei pazienti. Il protagonista, più tardi, realizzerà il suo desiderio e riuscirà ad aprire la sua clinica, nella quale i malati ricevono cure mediche e l’attenzione dei medici clown. Robin Williams, naso rosso dal carisma travolgente, diventa così, nell’immaginario collettivo, il medico ideale, quello dal quale tutti vorrebbero ricevere cure e attenzioni.
Cos’è la clownterapia e qual è la sua origine? “L’essere clown è solo un espediente per avvicinare gli altri, perché sono convinto che se non cambiamo l’attuale potere del denaro e della prevaricazione sugli altri, non ci sono speranze di sopravvivenza per la nostra specie.” (Patch Adams)
La clownterapia (o terapia del sorriso) consiste nell’applicazione delle tecniche di clownerie, teatrali, comiche e d’improvvisazione in ambito sanitario o in contesti di disagio, allo scopo di migliorare l’umore di pazienti, familiari, professionisti sanitari ed accompagnatori.
In altre parole, i clown che siamo abituati a collocare all’interno di circhi e teatri di strada, portano con loro nasi rossi, palline e scarpe extra-large entrando nei reparti d’ospedale e nelle camere di degenza. In un primo momento si può pensare che sia azzardato o impossibile conciliare il sorriso con la delicatezza e le problematiche dei reparti ospedalieri, ed è certamente vero che la linea di confinetra ciò che può risultare gradito o spiacevole, è molto sottile nei contesti in cui la sofferenza ed il dolore sono protagonisti.
Per questa ragione, infatti, non è possibile improvvisarsi clownterapeuta, al contrario occorre una formazione specifica su aspetti psicologici, sanitari ed artistici in un percorso formativo piuttosto lungo di tipo teorico e pratico.
Nonostante sulle origini della clownterapia ci siano ancora delle controversie, un modello italiano “ante litteram” veniva applicato da Angelo Paoli (1642-1720), sacerdote carmelitano che si travestiva da buffone e si truccava per far sorridere i malati.
Tuttavia l’origine della clownterapia moderna è erroneamente attribuita al medico Patch Adams, anche se sappiamo che la presenza ufficiale di clown professionisti all’interno dei contesti di cura, ha avuto inizio nel 1986, quando Karen Ridd e Michael Christensen, in maniera indipendente uno dall’altro, hanno dato avvio a questa particolare attività di intrattenimento proprio negli ospedali di USA e Canada. Proprio da quest’ultimi deriverebbe il tipico modello operativo dei clown in coppia, adottato, negli stessi anni dalla coppia Fratellini in Francia. Il principio che sostiene il lavoro in coppia tipico dei clown, ha origine dalla tradizione circense occidentale, nella quale sono presenti due figure opposte, ma complementari: il Bianco e l’Augusto. Il cosiddetto bianco rappresenta un pagliaccio autoritario, severo, preciso e puntiglioso; l’altro, l’augusto, interpreta un clown incapace, pasticcione e combinaguai, con abiti fuori misura e scarpe giganti.
Nel 1995, in Italia, nasce Soccorso Clown, primo servizio di clownterapia in Italia, che da venticinque anni porta l’arte del circo e del teatro a bambini ed anziani in ospedale, affiancando medici ed infermieri nei momenti più delicati come prelievi, iniezioni ed accompagnamenti in sala operatoria.
In seguito all’uscita del film Patch Adams, in Italia si verifica un aumento esponenziale di persone che hanno desiderio di avvicinarsi a questo ruolo attraverso il volontariato.
Negli ultimi anni la clownterapia si è diffusa in numerosi contesti sanitari e sociali di tutto il mondo, in particolare in paesi come Francia, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Germania, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Svezia ed Israele, che conta il maggior numero di ricerche scientifiche in questo ambito.
In quali contesti possiamo trovare la clownterapia?
Le forme che può assumere la terapia del sorriso possono essere diverse ed inaspettate: dalle corsie ospedaliere, fino ad approdare ai corsi di aggiornamento rivolti al personale sanitario; dalla formazione rivolta agli insegnanti, fino agli interventi di gruppo in classe e nelle aziende, al fine di produrre un impatto positivo sul benessere dei partecipanti e sulle relazioni interpersonali scolastiche e lavorative.
Cosa non è un clown dottore?
- non è un semplice intrattenitore
- non improvvisa
- non fa confusione
- non deve per forza far ridere
- non impone il suo intervento
- non ha il ruolo del clown che associamo al circo
Clown dottori all’opera, cosa fanno?
“Lo scopo di tutte le nostre azioni è portare umanità a chi soffre, aggiungendo un po’ di sano umorismo.”
Patch Adams
Una volta rotto il ghiaccio iniziale con i pazienti, i clown dottori danno vita a ventate di gioia attraverso varie tecniche di derivazione teatrale, dell’improvvisazione, o dell’arte del clown, coinvolgendo a poco a poco i piccoli pazienti e non solo. I clownterapeuti lavorano in coppia, indossano un camice bianco spesso impreziosito da disegni ed accessori ed un trucco leggero, per non rischiare di spaventare i pazienti più piccoli.
Dopo essersi travestiti, fanno il classico giro delle visite nelle stanze, non prima di essersi consultati con il personale sanitario circa gli aggiornamenti sullo stato di salute dei pazienti, dei quali “bussano” sempre alla porta. Sì, bussano. I clown dottori non danno infatti per scontato che il paziente abbia voglia della loro compagnia, ma chiedono sempre “permesso” e sono preparati a ricevere dei “no”, rispettando a pieno l’eventuale non volontà dei pazienti di riceverli nelle loro stanze.
I clown dottori sono interpreti delle emozioni
Nel loro intento, vi è la volontà di creare una metafora terapeutica, che permetta di modificare le emozioni spiacevoli in piacevoli, in modo tale da associare il simbolico camice bianco da loro indossato a ricordi positivi e felici. Il sorriso si fa strumento di gioia e sicurezza, incoraggiando il dialogo e fungendo da collante essenziale per la creazione di interazioni e legami con le figure che orbitano intorno alla persona in ospedale.
L’attività dei clown, inoltre, mira a sdrammatizzare la figura del medico, soprattutto nei più piccoli! Abbatte la noia, promuove la salute, distrae dalla realtà ospedaliera in modo creativo e, non da ultimo, rappresenta una buona strategia per scaricare l’aggressività e la frustrazione dei pazienti.
Ogni singolo sketch è personalizzato e completamente adattato alla persona con la quale i clown professionisti entrano in relazione. Se un bambino è triste ed arrabbiato perché non può vedere il suo cagnolino per tutta la durata del ricovero, probabilmente i clown dottori adatteranno la scenetta a queste emozioni, con un cagnolino peluche che la farà da protagonista.
I dottori del sorriso, inoltre, permettono, attraverso il loro impegno, la creazione ed il consolidamento dei rapporti che vengono instaurati tra pazienti ricoverati, familiari e personale sanitario con l’intento di contribuire ad un processo di guarigione più rapido e sereno.
Il lavoro dei clowterapeuti, dunque, non si limita all’intrattenimento e alla risata, ma include intenti ben più alti, ormai testimoniati anche dalla ricerca scientifica. Il clown dottore non fa animazione, ma opera un cambiamento terapeutico usando la “clownerie”, la magia, il gioco comico e poetico, al fine di produrre l’energia vitale del ridere come emozione utile per affrontare situazioni di malessere, per ridimensionare ansie e paure legati al loro stato di salute ed ai trattamenti sanitari.
Inoltre prova a stabilire, anche con gli spettatori, un rapporto di fiducia, comprensione e confidenza, capace di alleggerire la quotidianità della vita ospedaliera, in favore della fantasia e dell’immaginazione.
Obiettivi della clownterapia [1]
- intervenire sulle emozioni negative
- diminuire le emozioni spiacevoli
- rompere la routine
- attivare la parte sana del paziente
- ridurre lo stress
- ridurre il disagio
- diminuire la somministrazione del farmaco
Attualmente, l’attività di clownterapia, viene svolta da professionisti che appartengono ad enti privati come associazioni, cooperative e fondazioni, specificamente formati per operare nel settore sociosanitario ed applicare le conoscenze della gelotologia e della psiconeuroendocrinoimmunologia (no, non è solo uno scioglilingua!) ai contesti di disagio.
Questo modo tanto originale e creativo di approcciarsi alla cura, è oggi accettato e validato dalla comunità scientifica, soprattutto grazie ai risultati di numerosi studi che ne dimostrano l’efficacia, descrivendo in modo puntuale le ragioni fisiologiche ed immunitarie del successo del naso rosso.
Cosa ci dicono le ricerche sull’efficacia della clownterapia?
Una persona psicologicamente più forte guarisce prima e meglio, la ricerca scientifica lo conferma.
Esistono numerose prove neurofisiologiche che riguardano la potenza del buonumore e del benessere sulla salute e la qualità della vita dei malati, in particolare dei più piccoli, ma non solo. In condizioni psicologiche positive tutto l’organismo reagisce meglio alla malattia ed alle cure ed è proprio su questa evidenza che la terapia del sorriso concentra tutte le sue risorse.
Ridere, per esempio, attiva tutti i distretti corporei tra cui il cuore e la respirazione, che accelerano i loro ritmi; anche la pressione arteriosa diminuisce ed i muscoli tendono al rilassamento. Questa reazione complessiva avviene perché il sorriso stimola la produzione di beta-endorfine da parte delle ghiandole surrenali. Il buon umore sembra rafforzare in modo significativo l’organismo, potenziando le tanto bramate difese immunitarie!
Una revisione della letteratura sul tema, pubblicata sulla Rivista Italiana di Studi sull’Umorismo (RISU), mostra dati di ricerca molto incoraggianti.
Una prima indagine ha sottolineato l’utilità dell’interazione con i clown nel giorno dell’ intervento chirurgico, ma il primo studio condotto con clown dottori in presenza durante l’anestesia risale al 2005, con il quale è stato dimostrato che vi è una riduzione significativa dei livelli di ansia nei bambini sottoposti a chirurgia minore. Lo stesso studio è stato riproposto in diversi Paesi confermando gli stessi dati, con l’aggiunta di un sorprendente confronto con un gruppo di bambini che assumeva un farmaco ansiolitico.[2]
Un ulteriore studio proveniente dal Brasile ha recentemente preso in considerazione un gruppo di bambini ospedalizzati e verificato l’efficacia dei clown nel ridurre la presenza di cortisolo, un marcatore fisiologico legato alla presenza di stress. Infine un gruppo di ricercatori tedeschi ha utilizzato come riferimento la presenza dell’ossitocina, trovando un impatto positivo sui livelli misurati in seguito agli interventi dei clown. Questo ormone sembra avere un ruolo centrale nel favorire le relazioni sociali aumentando comportamenti altruistici, di empatia, generosità e fiducia.
Su adulti e anziani funziona?
Anche se la maggior parte delle ricerche si sono concentrate sull’effetto che la clowterapia può avere sulle bambine ed i bambini, ci sono evidenze positive anche rispetto al suo impatto su adulti ed anziani.
Uno dei primi studi è stato condotto da ricercatori svizzeri che hanno valutato gli effetti delle risate indotte dall’intervento dei clown in un gruppo di pazienti con malattia polmonare cronica. L’intervento dei dottor sorriso ha, in sintesi, portato a migliorare la funzione polmonare dei pazienti confrontati con un gruppo di controllo.
Altri ricercatori hanno notato addirittura che alcune donne che avevano interagito con i clown durante la fecondazione in vitro, mostravano maggiori probabilità di attecchimento dell’embrione grazie alla serenità indotta dalla presenza del clown.
Studi recenti hanno confermato, infine, che la figura del clown contribuisce a diminuire i sintomi psicologici e comportamentali di anziani affetti da demenza e a migliorare la qualità di vita di pazienti lungodegenti, nonché la solidarietà tra i residenti negli spazi comuni.
Se allora la ricerca scientifica sta andando in questa incoraggiante direzione, studi ed iniziative future avranno il dovere di interrogarsi sul legame tra buonumore e processo di guarigione, con la consapevolezza che cura e prendersi cura dovranno, sempre di più, stringersi nello stesso abbraccio, per promuovere la salute fisica, psicologica ed emotiva della persona che soffre e spera nei contesti di cura.
Alessandra Premici
Bibliografia:
[1]Dionigi, A., Gremigni, P. La Clownterapia. Teorie e pratiche. Roma: Carocci Faber; 2014.
[2]I clown a sostegno del processo di cura: una revisione della letteratura, RISU, Volume 2, Issue 1, Gennaio 2019, pp. 7-22
Sitografia
https://www.mauriziano.it/informative-al-paziente/carta-europea-dei-diritti-del-malato