Conversazione a cura di Gabriele Gabrielli (*)

Stiamo sperimentando tutti, giorno dopo giorno, quanto l’innovazione, e i dispositivi tecnologici che essa produce, portino progresso e benessere in tutti i campi dell’umano. Non per questo, però, possiamo distogliere lo sguardo dal ricercare possibili implicazioni negative, utilizzi non appropriati a conseguire il fine di migliorare la vita personale e la convivenza sociale.

È lecito, infatti, porsi una domanda: c’è il rischio che le innovazioni, in particolare quelle tecnologiche, si trasformino in strumenti di nuove diseguaglianze economiche? Sono in molti a temere che il successo delle innovazioni e delle piattaforme digitali nasconda meccanismi tali da favorire quel processo di concentrazione della ricchezza nelle mani di sempre meno persone a fronte di una maggioranza che s’impoverisce, processo che costituisce uno dei mali di quest’epoca. Lo scenario che ci si prospetta, dunque, sarebbe quello di una società ancora più ineguale se non saremo capaci di disciplinare in qualche modo, assicurando una sorta di inedita governance, l’impatto di queste innovazioni sulla società e sull’intera economia.

Vogliamo guardare, infatti, alla straordinaria trasformazione tecnologica che viviamo come a un’occasione imperdibile per promuovere un nuovo modello di giustizia sociale. Per coglierne le potenzialità, però, dobbiamo pensare all’innovazione tecnologica fin da subito come strumento politico, sociale ed economico per sostenere un futuro più generativo per tutti e non solo per chi ne possiede, direttamente o indirettamente, il controllo.

La disuguaglianza è il risultato delle nostre azioni: possiamo, dunque, modificare le regole e invertire la rotta. La domanda, allora, è: come ristrutturare la nostra economia in modo tale da costruire condizioni più eque e governare in modo sostenibile la Quarta Rivoluzione Industriale, distribuendo e redistribuendo i vantaggi derivanti dalla tecnologia ed evitare che essa possa accrescere ulteriormente le disuguaglianze?

Su questi temi abbiamo avviato una conversazione con Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, che continueremo al VI Seminario Interdisciplinare sull’Accoglienza Persona, Lavoro e Innovazione: con o contro l’economia dei robot? in programma dal 14 al 16 settembre a Offida (AP). Ne anticipiamo alcuni passaggi.

L’economia dei robot da che parte sarà? Creerà condizioni di ricchezza per tutti o sarà una nuova occasione di disuguaglianza?
Non esiste nessuna condanna alla disoccupazione strutturale per via della rivoluzione 4.0: ogni rivoluzione tecnologica, infatti, aumenta la ricchezza creata a livello globale. Se quella ricchezza è opportunamente redistribuita, si trasforma in potere d’acquisto diffuso, in domanda di prodotti e di nuovi lavori e può portarci alla piena occupazione. Il luogo chiave dove si combatte la battaglia è, dunque, quello fiscale, intensificando nel contempo la lotta all’evasione/elusione fiscale delle piattaforme digitali.

La Rivoluzione 4.0 e l’IA potranno abilitare una nuova imprenditorialità fondata sulla creatività di piccoli artigiani-imprenditori che invece di cercare lavoro lo creeranno?
Sarà così quanto più le nuove tecnologie saranno open source e dunque utilizzabili da tutti. Già oggi, nel nostro lavoro alla ricerca delle buone pratiche del paese (il progetto Cercatori di LavOro che ha censito 400 esperienze “olivettiane” NdR), abbiamo incontrato molti artigiani digitali. Ad esempio giovani professionisti che hanno perso il lavoro in una grande azienda o si sono licenziati da essa per mettersi in proprio e lavorare in questo modo.

Economia dei robot e felicità: c’è una relazione?
La dignità di una persona dipende dalla capacità di essere utile agli altri: allora, la vera questione è capire se e come la tecnologia possa aiutare la nostra generatività. A mio avviso, non c’è motivo per non pensare che la aiuti: soprattutto quella legata al potenziale individuale. Ma se, accanto ad essa, non costruiamo una rete territoriale che agevoli la partecipazione attiva e la creazione di imprese e relazioni, non potremo di certo accusare i robot di questo.

La Fondazione Lavoroperlapersona faciliterà la discussione sulle implicazioni di questa trasformazione sul lavoro e la sua organizzazione, su occupazione e giustizia sociale, sulla condizione dell’uomo e sui fabbisogni di leadership durante le tre giornate del seminario di settembre cui vi invitiamo a registrarvi.

L’epoca che viviamo richiede infatti una riflessione profonda e aperta che conduca – è il nostro auspicio – a mettere al primo posto la persona e la ricerca del bene comune.

E questo non dipende dai robot, ma solo da noi e dal futuro che vogliamo.


(*) Gabriele Gabrielli, Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona. Executive Coach e Consulente, insegna HRM alla LUISS ed è Professor of Practice alla LUISS Business School in People management, HRM & Organisation, Organisational Behaviour.

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