di Gabriele Gabrielli (*) | Il luogo: una ex chiesa dedicata a San Michele Arcangelo a Offida (AP), recuperata all’incuria e abbandono, ora restituita alla comunità e affidata alla gestione della FondazioneLavoroperlapersona che, in questa cittadina del Piceno, ha la sede legale. Il nome del progetto che animerà non solo questo spazio, ma anche le attività itineranti dell’organizzazione: FUTUROANTERIORE Dove le generazioni si incontrano.
Ricostruiamo l’idea che lo sostiene e il suo significato, condividendo l’orizzonte di senso di questo nuova progettualità che intende coltivare la speranza e soprattutto il desiderio di futuro.
Speranza e futuro che in quest’epoca rischiano di evaporare asciugate da difficoltà, chiusure e incomprensioni, imprigionate “nella trappola di un eterno presente”, di un tempo quasi sospeso “che ignora il passato e oscura l’avvenire, così deformando il rapporto con la realtà” (1). Bisogna sempre considerare, d’altro canto, che “l’incontro tra generazioni è incontro tra mondi diversi e tempi diversi”, come scrive Ivo Lizzola (2).
Per questo è un incontro che ha bisogno di pazienza, ascolto e rispetto. Quello tra generazioni è un incontro difficile, un percorso lungo il quale continuano ad addensarsi nubi che non promettono niente di buono e tolgono luminosità al cielo di quest’epoca confusa.
Perché le generazioni hanno difficoltà a comprendersi? Perché tanto rancore le une verso le altre? Come può succedere che figli e padri non si incontrino? Da dove nasce la fatica di “condividere impegni e responsabilità di futuro”? (3). Forse non andiamo a tempo. Forse abbiamo dimenticato il ritmo del suo movimento, perché l’incontro tra generazioni ne ha uno che va conosciuto e rispettato (4).
Il progetto FUTUROANTERIORE nasce per consentire che i tempi delle generazioni e il loro movimento siano raccontati, consegnati e accolti: perché attraverso questo si possa generare restituzione.
C’è un’opera in bronzo dello scultore offidano Aldo Sergiacomi (1912-1994) che può aiutarci a comprendere quella che ancora Lizzola chiama “danza tra le generazioni”. Le Merlettaie, diventate simbolo della cittadina marchigiana, descrivono bene il racconto, la consegna e l’accoglienza che tante mamme, nonne e zie continuano a fare, insegnando l’arte del merletto a tombolo a figlie e nipoti.
Immaginiamo questa consegna di arte, di sapienza e di valori come un movimento del tempo delle generazioni. Aldo Sergiacomi lo ha colto efficacemente affidandolo all’arte con cui scolpisce i volti, gli sguardi, il “non detto”, le mani delle tre donne – di generazioni diverse – proposte dall’opera come un’istantanea. Sergiacomi aveva intuito il “sentimento della vita” (5) che guida il nostro vivere come promessa di un futuro possibile e che passa in questo caso – come trasmissione intergenerazionale – per le dita delle merlettaie, le spille e i fuselli sapientemente intrecciati e fatti suonare.
Se ci soffermiamo a guardare con queste lenti la postura delle figure femminili e i loro sguardi possiamo intuire – dietro il movimento delle abili mani – anche qualche dissapore e tensione emotiva, forse la delusione e la tacita ribellione nella più giovane causate dal fastidio del controllo esercitato dalle generazioni più esperte, affidatarie della tradizione e dell’arte che viene ora consegnata.
I conflitti del resto accompagnano da sempre la “danza delle generazioni” costituendo preziose occasioni di educazione e crescita. Hanno dei rischi, è vero, producono però conoscenza e saperi. Rafforzano il carattere e allenano alla vita. C’è un altro aspetto molto importante che l’opera di Aldo Sergiacomi coglie. Le generazioni fuse nel bronzo delle Merlettaie sono “prossime” l’una rispetto alle altre.
Questa vicinanza però non nasconde la loro diversità e distintività, ciascuna infatti esprime con forza il proprio carattere che afferma con decisione e sicurezza la riconoscibile personalità. Sono generazioni prossime è vero ma anche indipendenti, cercano e riaffermano quell’autonomia che sola può segnare il cammino della vita.
Perché anche il distacco e la separazione, con la sofferenza che producono, qualificano la danza delle generazioni. Quando non ci sono è come se la vita fosse tradita, per queste ragioni le mani delle generazioni precedenti devono lasciare la presa su quelle più giovani che, altrimenti, non potrebbero rispettare la consegna della vita (6) che è generare futuro. E’ la fatica del fare spazio e del ritrarsi.
Perché però “futuro anteriore”? Cosa si cela dietro questo tempo inusuale, per certi versi incomprensibile e misterioso? La risposta la troviamo in un saggio di Francesco Stoppa (7) che ci ricorda come è nel passato che si può leggere il futuro, è nel futuro anteriore – “io sarò stato … noi saremo stati” – che si realizza infatti ciò che è stato seminato. “Il futuro anteriore” – scrive Stoppa –“declina il tempo logico della nostra realizzazione umana, perché non ci realizziamo che nel futuro, postumi” (p.90).
Arriva forte e pesante come un colpo a tradimento quel “postumi” dal suono duro a cui viene affidata la nostra realizzazione. Una verità che ci ricorda la nostra condizione di donne e uomini di passaggio insieme alla fragilità con cui veniamo presentati ed esposti al mondo. Nulla di tutto quello che facciamo, nulla delle nostre vite agitate e forsennate ha un futuro se non è accolto, ri-generato e re-stituito da chi verrà “dopo di noi”.
E’ solo in questo modo che la nostra esistenza si può prolungare. E’ solo grazie alladanza – di generazione in generazione – che segue il ritmo di un suo tempo fatto diconsegna, accoglienza (8) e restituzione che sono possibili nuovi inizi. Perché ciascuno di noi vivrà attraverso la restituzione che gli altri, ai quali ci affidiamo, faranno di ciò che abbiamo seminato. Per questo dobbiamo imparare “a declinarci al futuro anteriore”, assecondando il ritmo di quel “misterioso appuntamento fra passato, presente e futuro” che incrocia le generazioni e segnato dal “sarò stato … saremo stati”.
L’essenza della nostra vita sta dunque nel seminare, perché è attraverso questa particolare cura della vita che ci realizziamo. “Compiere è seminare”, scrive Ivo Lizzola (9), non è raccogliere, di questo si preoccuperanno altri. Perché l’inevitabilità della nostra assenza ci chiede “di farci eredità, di lasciare tracce che altri possano percorrere e un solco su cui altri possano piantare” (10).
La semina diventa così metafora di “consegna” di una speranza e di un futuro che prenderanno forma attraverso la misteriosa danza delle generazioni. Una danza che ci chiede di impegnarci in un gran lavoro educativo, un lavoro di ascolto, riconoscimento reciproco e rispetto che esigono una postura e una disposizione particolari.
Si tratta di un lavoro educativo – da compiere nelle scuole e nelle famiglie, nelle istituzioni e nella società civile, anche nelle imprese e nelle altre organizzazioni produttive di beni e servizi – che ha bisogno soprattutto di tempo e di luoghi ove generare “incontri”, perché è solo dall’incontro (e “nel confronto continuo con il plurale”) che nascono quei beni relazionali e legami capaci di garantire il futuro e le sue promesse, di generazione in generazione.
Perché è solo nell’incontro e nell’esposizione reciproca che si rende possibile la narrazione del passato e desiderabile il futuro in un tempo presente “in cui si compie già una negoziazione tra le attese e il senso di realtà, per tenere aperti futuri possibili” (11).
Il progetto FUTUROANTERIORE si colloca, con le idee e le sollecitazioni laboratoriali che sarà in grado di proporre e realizzare anche valorizzando gli esiti dei lavori del Centro di Ricerca della Fondazione Lavoroperlapersona, in quest’orizzonte di senso che vuole generare fiducia e coltivare speranza. Per contribuire a “una stagione nella quale pensare insieme l’educazione, perché trovi forme e forza il confronto intergenerazionale” (12), collocando quest’ultimo nel “tempo” e non nello “spazio”, in quanto solo il primo “permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati” (13) .
Si tratta di una prospettiva, evidentemente, che esalta il valore di un orizzonte dove possono crescere “relazioni lunghe”, le sole che consentono di coltivare il principio di restituzione nel dialogo tra generazioni.
(*) Gabriele Gabrielli, è Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona. Executive Coach e Consulente, insegna HRM alla LUISS ed è Professor of Practice alla LUISS Business School in People management, HRM & Organisation, Organisational Behaviour.
Note:
[1] Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel Messaggio di fine anno (31.12.2107): http://www.quirinale.it/elementi/1312
[2] I. Lizzola, La paternità oggi Tra fragilità e testimonianza, Pazzini Editore, p. 69
[3] I. Lizzola, Incerti legami Orizzonti di convivenza tra donne e uomini vulnerabili, Editrice La Scuola, Brescia 2012, p. 40.
[4] I. Lizzola, La paternità, cit.
[5] J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo, Einaudi, 2005, citato da Francesco Stoppa, Accogliere e restituire. Sul dialogo interrotto tra le generazioni, in L. Alici, G. Gabrielli (a cura di), Noi dopo di noi, Franco Angeli, 2016
[6] M. Recalcati, Le mani della madre Gioie, fantasmi ed eredità del materno, Feltrinelli, Milano 2015
[7] F. Stoppa, Accogliere e restituire. Sul dialogo interrotto tra le generazioni, in Alici L., Gabrielli G. (a cura di), Noi dopo di noi, Franco Angeli, 2016, pp.82-91
[8] G. Gabrielli (a cura di), Di generazione in generazione Teorie e pratiche dell’accoglienza, Franco Angeli, 2015
[9] I. Lizzola, Aver cura della vita, Città Aperta Edizioni, 2002, p. 187
[10] G. Gabrielli, Prefazione a L. Alici, G. Gabrielli (a cura di), Noi dopo di noi, Franco Angeli, 2016
[11] I. Lizzola, Vita fragile Vita comune, Il Margine, 2017
[12] I. Lizzola, Incerti legami, Orizzonti di convivenza tra donne e uomini vulnerabili, Editrice La Scuola, Brescia 2012, p. 65.
[13] L. Alici, Noi prima di noi: un’introduzione provocatoria, in L. Alici, G. Gabrielli (a cura di), Noi dopi di noi, Franco Angeli, 2016, pp. 27-28