Riceviamo e pubblichiamo.
“In cruce sacra Ostia cum ligno Crucis posita”.
Un approccio storiografico al miracolo eucaristico di Offida.[1]
1 L’antefatto 1273: a Lanciano una donna maltrattata dal marito si rivolge a un’altra donna, che, istigata dal demonio, le consiglia di fingere la comunione, portare l’ostia a casa, servirla al coniuge. Seguono la trasformazione dell’ostia in tre parti (carne, sangue e ostia), il pentimento della donna, la translatio delle reliquie nella chiesa agostiniana di Offida nel 1280.
2 Motivazioni allo studio
Era abbastanza scontato che un offidano, che da bambino aveva servito da chierichetto nella chiesa di Sant’Agostino e da adulto è stato attratto dallo studio di vari aspetti della storia e della cultura medievali, e di quella locale in particolare, prima o dopo si sarebbe dovuto misurare con le problematiche relative alla ricorrenza di quella che gli offidani chiamano festë dë Crocë o la Crocë santa. Del tutto inattesi, invece, erano gli sviluppi e le conclusioni che avrebbe poi dovuto registrare.[2]
Già prima di cominciare a lavorare mi aveva colpito la constatazione che nel dialetto offidano (e il dialetto è molto conservatore) ancora oggi la festa venga chiamata con le espressioni sopra ricordate; espressioni che, come la stragrande maggioranza della documentazione superstite, si riferiscono al contenente e non al contenuto, mettono in risalto la croce e non menzionano affatto le reliquie eucaristiche (anche se tutti i fedeli lo danno per scontato). Poi, la completa inattendibilità della bibliografia specifica, (si tratta di opere pressocché completamente sconosciute, o perché di infimo ordine[3] o perché rare[4] o perché credute perdute[5] o la cui circolazione è stata molto limitata anche a livello locale),[6] infarcita di anacronismi, approssimazioni, reticenze, forzature, errori, dimostrazioni ingannevoli, deduzioni illegittime … tale, insomma, da richiedere un approfondimento, una rilettura e anche una revisione della vulgata tramandata da generazioni.[7]
Ma i dubbi, man mano che ho affrontato i vari aspetti della problematica, si accumulavano sempre più. Anzitutto il testo del racconto, la historia: non mi sembrava dell’e-poca del miracolo (fine Duecento); si presentava come un centone, e neppure ben riuscito, con una parte presumibilmente antica (solo nel corso dell’indagine avrei scoperto che utilizzava una tipologia narrativa abbondantemente sfruttata dai predicatori), alla quale erano stati aggiunti altri temi (le figure tipo, gli animali fatati, il doppio viaggio, ecc.) inseriti per motivi che in un primo momento mi sfuggivano. Testo che, per di più, lasciava perplessi anche dal punto di vista sintattico (altro elemento finora non preso in considerazione) e nel quale si notava la presenza di termini antistorici (acceptum) e parti inserite quasi a forza senza controllo sintattico (il riferimento al crocifisso tenuto in mano dal predicatore ed altri ancora).
Poi gli incomprensibili silenzi:
– la totale mancanza di fonti narrative e normative locali: nessun documento due-tre-centesco offidano riporta qualcosa che possa essere minimamente accostato al miracolo o alle sue reliquie; eppure, proprio alla fine del XIII secolo la profanazione dell’ostia non viene più considerata solo un abuso ma un peccato e appare come un filone narrativo che colpisce in maniera particolare l’immaginazione dei fedeli (oltre la predicazione ce lo testimoniano le raccolte di storie religiose, l’arte sacra figurativa, il teatro in lingua volgare …); inoltre si moltiplicano miracoli e reliquie;
– la pressoché totale mancanza di fonti storiografiche o archivistiche: apparentemente nulla è stato emanato dall’Ordine agostiniano né dagli amministratori locali dell’epoca, pur avendo avuto entrambi molto da guadagnare, in prestigio e in denaro. È risaputo, infatti, che la festa del patrono costituisce un momento non solo di alta religiosità, ma anche di profondo senso civico, ad un tempo esaltazione della potestas dei ceti governanti e manifestazione di una religiosità che compenetra profondamente il politico e il sociale. Gli studiosi delle scienze sociali (in particolare gli antropologi) giustamente hanno messo in rilievo che nelle varie forme della devozione locale di tutte le società, si possono riconoscere tre componenti: le concezioni religiose dei fedeli, le esigenze degli ecclesiastici, le ambizioni degli amministratori. Va da sé che tutto questo coinvolge altri campi di indagine: l’uso propagandistico delle reliquie da parte delle autorità religiose; l’uso politico delle stesse da parte delle autorità civili; il rapporto degli ordini mendicanti con gli amministratori locali; l’autonomia comunale ed altro ancora … tutti temi non presi in considerazione dalla pubblicistica precedente;
– il silenzio dei due calendari liturgici trecenteschi rimastici,[8] che a dir poco lasciava perplessi.
E che dire del fatto che la unicità delle reliquie e la fama conseguente, diversamente da altre situazioni, nulla sembrano aver prodotto a livello di documentazione iconografica (affreschi, dediche ecc.), liturgia locale (che nel Due-Trecento costituiva ancora una prassi abituale nelle chiese locali e accettata dalla Chiesa), tradizioni …
Ancora, le distrazioni (il doge citato, che era già morto), le licenze immotivate (gli statuti cittadini), le affermazioni discutibili quando non gli antistoricismi insostenibili (l’ar-tiglieria esistente fin dal ‘2-‘300) degli studi precedenti: parlano tutti della Croce dando per scontate la presenza e il culto delle reliquie eucaristiche, documentate invece inizialmente a partire solo dagli inizi del ‘500 e con certezza solo dalla fine del ‘500; e nessuno che abbia avvertito il bisogno di motivare la stranezza. Si aggiunga poi che nonostante gli offidani conservassero la sola reliquia realmente legittima di Gesù (pane e vino che diventano corpo e sangue di Cristo), si incontrano documenti che parlano solo della croce e solo a partire dal ‘500. E ancora: le confraternite eucaristiche invadono l’Europa alla fine del sec. XIII, ma a Offida, nonostante la presenza delle reliquie eucaristiche, la Confraternita del SS.mo Sacramento nasce nel 1536!
Per quanto poi riguarda la documentazione, nessuna testimonianza sul trafugamento delle reliquie da Lanciano a Offida (forse le reliquie trafugate hanno una maggiora probabilità di essere autentiche?); nessun rilievo sull’autenticità della bolla di Bonifacio VIII (assente nei registri vaticani), sull’imbarazzante iato documentario durato dal 1280 al 1581 e sulla totale mancanza di fonti narrative, normative, storiografiche e liturgiche; nessuna indagine svolta presso gli archivi dell’Ordine agostiniano (Tolentino e Roma) e neppure presso gli archivi diocesani (Ascoli e Lanciano); ignoranza assoluta della bibliografia relativa ai miracoli eucaristici esistente almeno dagli anni ’30; uso quanto meno discutibile delle fonti, con il risultato di trasformare in certezze ipotesi insostenibili.[9]
Infine, le sorprendenti somiglianze del racconto con quelli relativi ad altri miracoli eucaristici di tutta l’Europa, vicini (come quello di Trani)[10] ma anche lontani (come quello della portoghese Santarém):[11] stessa storia, stessa tipologia del racconto, stessa modalità dichiarata di trasmissione del testo sempre con perdita dell’originale ma provvidenzialmente salvato sempre dall’intervento decisivo di un notaio.
Ebbene, tutti questi argomenti sono stati ignorati da quanti si sono accostati a questo pezzo di storia offidana: tutti si sono accontentati di compilare testi dal carattere esclusivamente devozionale. Il che di per sé non è un male, costituisce una scelta ampiamente legittima, ma andava detto, perché non si creassero illusioni o aspettative ingiustificate; infatti, quasi sempre, risultano intenzionalmente incuranti della scientificità della stessa narrazione (alla quale spesso si limitano), cioè si rivelano poco storici non solo secondo i criteri attuali (il primo: è scientifico ciò che è dimostrabile), ma anche secondo i criteri di qualche secolo fa (vedi le considerazioni di un secentista “entusiasta” come il Rosini).
In questo panorama si segnalano dueeccezioni completamente ignorate dalla pubblicistica successiva. Già un secolo fa Palmieri invitava ad evitare i pericoli dello “scetticismo sistematico” e del “dommatismo esagerato”; opportunamente ricordava che la Chiesa si pronuncia sulla legittimità del culto e può imporre il rispetto delle tradizioni, ma non obbliga a ritenerle dogmi di fede; e evidenziava che l’autenticità di una reliquia è un fatto storico non dogmatico.[12] Più di recente il Boccardi, padre sacramentino per anni segretario del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali, è stato l’unico ad aver definito la nostra historia una “amplificazione omiletica di una testimonianza che doveva essere assai più stringata”.[13]
Insomma, mi sono convinto che fosse ampiamente giustificata la proposta di una ulteriore indagine. Ho provato ad utilizzare un paradigma interpretativo[14] che mi tutelasse da inesatteze, travisamenti ed errori. Poiché l’interesse di fondo della tematica deriva dall’incontro tra la Chiesa e il mondo, l’analisi ha riguardato sia il dato religioso che il suo contesto di comprensione e ha tenuto conto di quanto è stato elaborato in altri campi, penso alle scienze umane (che pongono la questione del senso e delle motivazioni) e alle scienze sociali (attente alle strutture e alle dinamiche della società, nonché ai fattori che hanno generalizzato la coscienza di vivere in un solo e stesso mondo). Così, in una prospettiva a-perta al trascendente, ho cercato di prestare la dovuta attenzione non solo alle narrazioni, ma anche ai processi che sono insiti nelle azioni dell’uomo e delle società e ne danno il significato più profondo. Pertanto, per togliere al falso il belletto illusorio della veridicità,[15] ho indirizzato l’indagine su tre direttrici, prestando la massima attenzione alla più vasta tipologia possibile di fonti. Anzitutto ho cercato di ricostruire l’humus religioso e culturale nel quale molto lentamente si è consolidato il culto eucaristico, esaminando il quadro storico dell’epoca e prestando particolare attenzione agli aspetti antropologici per quanto attiene la religiosità popolare.[16] Passando poi alla analisi del testo della historia, ho cercato di identificare la tipologia narrativa, il nucleo originario e gli elementi aggiunti in un secondo momento. Infine, ho aggiunto quanto ho potuto ricavare dalla analisi della documentazione inedita da me scoperta.
I L’HUMUS CULTURALE
A partire dal Tardo Antico nell’Europa occidentale si sono radicati nei cuori degli uomini e nelle strutture della loro vita associata alcuni culti, il più importante dei quali è quello della croce di Cristo: toponomastica, antroponomastica, credenze, usi, riti, liturgia, arte, organizzazione sociale ce ne hanno lasciato tracce numerose. Queste tracce sono evidenti e durature anche nella realtà offidana, dove troviamo le manifestazioni di una pietas popolare, o quanto meno di una sensibilità che si esprime con richieste dal basso, cui corrisponde un mondo di creazioni. Tra i vari esempi ricordo solo le risposte a due richieste sociali:
– le risposte alle varie facce della povertà involontaria: v. la creazione di strutture di solidarietà (ospedali, confraternite, monti dei pegni o di pietà, con libera assunzione di impegni), alla base delle quali c’è la convinzione che mettersi al servizio del prossimo ed esercitare l’amore fraterno costituiscono un autentico atto di culto e, pertanto, rientrano strettamente nella virtù di religione;[17]
– le risposte alle esigenze dell’acculturazione, cioè l’attenzione prestata all’effetto pedagogico: l’arte sacrainsegna agli illitterati le verità della fede;[18] il dramma liturgico dram-matizza il rito;[19] la sacra rappresentazione per la prima volta rende protagonisti i laici o illitterati. [20]
È su questo terreno che maturano i culti della Croce e della Eucaristia, ma con una netta differenza: se il primo risulta documentatissimo ab antiquo, invece il secondo (sia della eucaristia in generale che delle reliquie offidane in particolare) esiste associato al primo e, rispetto a questo, presenta testimonianze molto più tarde e molto meno numerose. Un solo esempio: le confraternite eucaristiche invadono l’Europa alla fine del sec. XIII, ma a Offida, nonostante la presenza delle reliquie eucaristiche, la Confraternita del SS.mo Sacramento nasce nel 1536![21] Insomma, il culto eucaristico sembra cominciare a consolidarsi solo dopo l’intervento del Merli degli anni ’80 del ‘500, cioè a 300 anni di distanza dall’ar-rivo delle reliquie, e ancora per secoli autorità civili e religiose locali indicheranno la ricorrenza del 3 maggio con il nome della croce, non dell’ostia, come, d’altronde, ancora oggi.
II ANALISI DEL TESTO
La historia, termine che per secoli ha avuto una valenza liturgica ben più che storiografica,[22] presenta sia i caratteri del racconto agiografico di uso omiletico che quelli della cronaca. Ci troviamo di fronte ad un testo che si presenta con una struttura narrativa polimorfa, quasi sfuggente. È risaputo che diverse forme di letteratura medievale (exempla, fabliaux, ecc.) nel raccontare il presente, la vita del proprio tempo, in continuazione mescolano osservazione e finzione, reale e immaginario, soprannaturale e terreno, straordinario e formale; inoltre, sembrano prestare più attenzione all’eccezionale che al comune, non concepiscono una separazione netta tra moralità e finzione; infine si plasmano su strutture più o meno indipendenti dei tempi, dei luoghi e delle persone. Pertanto, tra le varie difficoltà se ne evidenziano almeno due: la polimorfia e la giustapposizione di più parti. Ciò nonostante, non è difficile riconoscere le varie componenti delle strutture narrative:
– presenza del genere letterario degli exempla, in questo caso il patto col diavolo;
– la non unitarietà del testo, che procede per blocchi (Lanciano, Offida, Venezia, Offida) con appunti chiaramente funzionali all’uso omiletico (acceptum, riferimento al crocifisso) e dallo scopo finale moraleggiante;
– le differenze di tono: immediato e popolare nella prima parte (Lanciano), discorsivo nelle altre;
– la presenza di poche emozioni, dove tutto appare indiretto o addirittura implicito (l’intento morale), sfumato (il personaggio del diavolo, altrove centrale, qui compare una sola volta), diseguale, rinviato all’abilità e alla capacità persuasiva nei confronti di un pubblico non di lettori ma di ascoltatori;
– la sequenza attributiva iniziale, che più che a caratterizzare i personaggi serve a qualificare il tipo di mancanza che l’azione narrata si prefigge di sopprimere; il racconto inizia con una situazione didascalica: la voce fuori campo del narratore/predicatore si rivolge a personaggi ugualmente fuori campo (i lettori o gli ascoltatori), facendosi portatrice di un messaggio carico di autorità e tendendo a trasformare l’immagine udita in immagine mentale, a caricare la prima di significati morali e di tensione emotiva così da renderla capace di operare sulle diverse facoltà della mente;[23]
– la tipizzazione dei personaggi o protagonisti, che diventano simboli di una determinata categoria sociale o psicologica: diavolo (il thema demonologico dell’hostis,poiché è l’essere che calunnia, quindi separa l’uomo da Dio); la donna, utilizzata per rappresentare il dubbio sulle verità religiose, qui è presente sia come la peccatrice per eccellenza (illa mulier, Ricciarella) sia come intermediaria (l’alia mulier, poi “maga e giudea”, come altrove); sono pochi poiché l’exemplum si fonda su un unico motivo; ma la caratterizzazione psicologica appare molto sfumata (il diavolo compare una sola volta); ma qui appare anche il narratore (praedicator);
– motivi: elementi narrativi o descrittivi suscettibili di riutilizzazione con o senza variazioni al livello dei loro tratti particolari: tipo di vita condotta; fare un viaggio; essere assorbiti da pensieri d’amore; la caccia infernale; il pasto; il patto con il diavolo, l’inter-mediario (ridotto ad una funzione); il recupero dell’amore perduto (che giustifica l’abuso).
In particolare l’indagine condotta ha portato alla individuazione delle seguenti componenti.
A termini-espressioni
magnum et manifestum miraculum L’espressione è presente anche nel testo della presunta bolla di Bonifacio VIII del 1295 (“quoddam miraculum magnum et manifestum”)[24] e nella lapide di Lanciano fatta collocare nel 1582 sulla casa della peccatrice dal Merli, allora provinciale degli agostiniani d’Abruzzo (“magnum et evidentissimum miraculum”).[25]
hostis Il racconto inizia con hostis, che viene solo enunciato, come nelle bolle pontificie,[26] ma che ripete sempre l’exemplum del patto con il diavolo.[27] L’exemplum costituiva un canovaccio (poteva essere adattato, secondo le capacità dei predicatori, le varie esigenze locali e temporali, le richieste della committenza, le aspettative dell’uditorio); ma qui manca la dichiarazione esplicita sia del patto sia dell’oggetto dello scambio (l’anima del peccatore). Ne deriva che il racconto giuntoci appare troppo stringato per essere duecentesco. [28]
alia mulier Nella letteratura classica l’espressione viene utilizzata per determinare una situazione di contrasto;[29] viene ripresa dalla cultura medievale,[30] insieme a temi analoghi (come quello del malvagio consigliere) discendenti da modelli biblici.[31] Nell’ideologia cristiana del tempo (per buona parte erede di quella classica, che voleva la donna su-bordinata socialmente e giuridicamente) la donna, diversamente dall’uomo, “è immagine di Dio solo per quanto riguarda la sua anima, dato che la sua femminilità costituisce invece un ostacolo all’esercizio della ragione”.[32]
inscio sacerdote Questa espressione non si trova in autori come Tommaso d’Aquino; ma diventa di uso corrente in pieno Rinascimento e, successivamente, nei trattati sul sacramento[33] e in teologia morale sempre e solo a proposito dell’eucaristia.[34] Anche questo dimostra che la historia che ci è pervenuta non può essere stata composta nel Due-Trecento!
coppo + tovaglia Una coppia quasi inseparabile di antenati illustri, con il tempo diventati stereotipi: una “sacra tegola” (keramion) compare spesso accanto a una “sacra tovaglia” (mandylion) in racconti di miracoli e, più in generale, nella iconografia.[35] Il mandylion o immagine di Edessa era un telo, venerato dalle comunità cristiane orientali, sul quale era raffigurato il volto di Gesù.[36] L’immagine era ritenuta di origine miracolosa, essendo acheropita, cioè “non fatta da mano umana”, ma un ritratto miracoloso di Cristo nato dal semplice contatto di una stoffa con il suo volto.[37]
Sulla tegola, keramion (vaso, brocca o pentola di ceramica), posta di fronte al Mandilion, si era specularmente impressa per contatto la santa immagine del volto di Cristo, prima dipinto sulla stoffa.
Dopo la conquista latina nel 1204 si perdono le tracce delle reliquie, ma non della loro venerazione, insieme festeggiate il 16 agosto.[38]
animali umanizzati o fatati Quello dell’animale che resta immobile di fronte ad una manifestazione del divino è un tema comune a molti racconti di miracoli: l’asino inginocchiato davanti al calice è un attributo iconografico di sant’Antonio da Padova.[39] I muli svolgono la funzione degli animali fatati che guidano il cavaliere smarrito al “viaggio mistico” (o “caccia mistica”) nella foresta, inducendolo così ad abbandonare i valori del mondo materiale e a scoprire quelli del mondo immateriale. La letteratura medievale è piena di questi riferimenti, tra i più famosi il cervo con il crocifisso tra le corna nelle leggende di Sant’Eustachio e di Sant’Oberto.[40]
“in manu sua tenebat” l’arrangiato inciso “quod tunc mostravit populo ipse praedicator quod in manu sua tenebat”,[41] può essere giustificato solo come appunto inserito in funzione omiletica.[42]
B temi
viaggio il tema si presta al miglioramento morale. La stessa parola deriva da viaticum, ricerca di una via, ed esprime la tensione alla ricerca, alla scoperta, al cambiamento. Questo viaggio interiore dell’anima (viaggio mistico, che viene associato alla conoscenza di sé, preludio indispensabile per la conoscenza del mondo e di Dio) si inserisce nell’alveo della tradizione europea, giunta fino ad oggi, caratterizzata dalla tensione dialettica tra isolamento e legame sociale, tra collettivo e individuale, tra immanenza e trascendenza. Ma va notato che qui il tema è solo accennato, nulla a che vedere con i grandi viaggi interiori dell’epoca medievale, quando questa forma di contatto con spazi ultraterreni costituiva la manifestazione principale di uno dei grandi modelli utopici, l’”utopia del viaggio immaginario”.[43]
tempesta Il tema della tempesta viene utilizzato nella narrativa a diversi scopi: a risolvere i passaggi di ambiente, a suggellare un intervento indispensabile del destino, un passaggio alla soluzione finale. Il tema, frequentissimo sia nella letteratura medievale sia nel folklore, va compreso tra le disgrazie che si abbattono sulle virtù,[44] generando l’attesa del positivo esito finale.
translatio Il trasferimento delle reliquie richiama un rituale antico (risalente al IV secolo), fondamentale nella accettazione di una reliquia come intercessore visibile e disponibile per tutti. Esso si risolve in un corteo trionfale che mette insieme ed esalta tre aspetti: l’isti-tuzione effettiva e formale del culto delle reliquie; l’esibizione del pubblico potere, dichiarazione solenne di capacità autonomistica; la manifestazione condivisa di identità locale. Insomma, un evento come la translatio ha la sua motivazione più profonda nel significato politico (costruzione di una società), poiché traslare una reliquia, anche quando si procede a uno spostamento interno alla comunità stessa, significa ridefinire e rafforzare i legami tra il santo e la comunità, ridefinizione di tutta una serie di identità corrispondenti ai diversi attori sociali coinvolti in tali legami, tanto con il santo quanto tra di loro. Per questo alle translationes sono associati forti potenzialità di produzione di messaggi identitari, tali da mutare profondamente le identità degli attori, delle istituzioni, delle comunità e dei luoghi coinvolti.[45]
Pertanto, anche l’uso del termine translatio (che denota una consapevolezza, un orgoglio di essere eredi di un passato glorioso e di un presente vissuto da protagonisti)[46] cela un intento politico. Il concetto di translatio non ha partorito solo formule contingenti dettate dalla necessità storica, ma un progetto che ha determinato l’identità dell’Europa fino a oggi.
Questa rilettura della historia ha messo in risalto le sue varie componenti narrative (il nucleo originario, cioè l’abuso dell’ostia consacrata, i successivi appunti di natura omiletica, le figure tradizionali nelle narrazioni) e le esigenze politiche; inoltre l’ha svelata co-me compilazione devozionale non due-trecentesca, ma post-tridentina, realizzata facendo attenzione alle esigenze omiletiche dopo l’enorme impulso ricevuto dalle disposizioni di quel concilio.[47]
III NUOVA DOCUMENTAZIONE
Diversi documenti, non presi in considerazione dagli studiosi precedenti, possono essere sfruttati contro la tesi della presenza delle reliquie eucaristiche. Mi riferisco, anzitutto, ad un atto di donazione conservato nell’archivio di Sant’Agostino, la chiesa delle reliquie: il 24 dicembre 1307 un tale Iacobuctius, alla presenza di dominus Thomas Gualterii, del priore e di altri due frati del convento agostiniano di Offida, dona tutti i suoi beni a quel convento e promette di servire l’ordine in povertà, castità e obbedienza. Come mai nell’atto di donazione non compare alcun riferimento alla croce e alle reliquie eucaristiche che erano arrivate, secondo la historia, solo venti anni prima?
Altra documentazione che ho potuto sfruttare è quella dei libri liturgici. Nei due calendari che aprono un messale e un salterio realizzati per S. Maria della Rocca di Offida,[48] alla data del 3 maggio è segnalata solo la universale “inventio sancte Crucis”. Come spiegare la mancanza almeno del memento delle reliquie eucaristiche della vicinissima chiesa agostiniana?
Invece, devo riconoscere di avere avuto fortuna quando, nella copertina pergamenacea, databile tra il 1280 e il 1316, di una raccolta notarile cinquecentesca,[49] ho rintracciato un hymnus in 4 distici di ottosillabi in versi leonini, funzionale sia per la memoria dei fedeli/ascoltatori (aiutata dalla presenza della rima o assonanza) che per la recitazione/esecuzione a cori alternati (stile antifonale) eseguita dal personale ecclesiastico. Ecco la trascrizione di tutto il foglio:
[…] avidi ad cenam agni providi.[50] Hostie carnis unio |
honor Patri et Filio cum Spiritu Paraclito sint semper. |
Amen.
In laudibus primis
In cruce sacra hostia[51] cum ligno crucis posita
excelsa supra sydera nostra dissolve vincula
cuius sacro libamine potens Pater et Domine
crucis ostende ostium primo dierum omnium
at intret eius ianua colens festi sollemnia
Offida tua patria Ostie sancte gratia
Hec r[ed]dit grates ostie Crucisque ligno serie
de tanto sacro munere cum laude omni tempore.
Amen.
Epistola magistri Thome.[52]
Reverendis religiosis fratribus Angelo <et> Guilielmo Offidanis egregiis lectoribus scientie theologie priori fratribus et conventui loci fratrum heremitarum de Offida ordinis beati Augustini laudibus et honore condignis Thomas Gualterii Guidonis de Offida in scientiis trivialibus humilis doctor[53] in egregia civitate Firmana in reformationum offitio diuturno tempore dictator licet inmeritus se ipsum et natum eius dominum Petrum iuris peritum cum recommendatione devota in Domino Ihesu Christo.
Ne oblivionis obscuritas humanis mentibus […].[54]
L’inno si rivela un centone di brani di vari generi ed epoche, riferibili soprattutto alle liturgie della croce e della eucaristia:
– “in cruce sacra hostia”: croce e ostia sono compresenti già nella celeberrima sequenza Vexilla regis prodeunt (“hic inmolata est hostia”) di Venanzio Fortunato (530-609);[55]
– “cum ligno crucis posita”: espressione di chiara origine evangelica, riportata nella liturgia della Esaltazione della Santa Croce (del 14 settembre),[56] in un canone del Concilio Tridentino[57] ecc.
– “excelsa supra sydera”: compare nell’inno in secondo modo O gloriosa domina, presente nella liturgia della Purificazione della Vergine;[58]
– “nostra dissolve vincula”: ripete il ”solve vincula reis“dell’Ave maris stella,antifona dei vespri delle feste mariane; [59]
– “sacro libamine”: immagine diffusissima nella liturgia, nella patristica, nella poesia religiosa, nella pubblicistica cattolica; [60]
– “primo dierum omnium”: è il primo verso di un inno attribuito a Gregorio Magno e usato nella liturgia delle Ore della domenica;[61]
– “colens gesti sollemnia”: l’espressione colere sollemnia (celebrare i riti) è in diversi testi liturgici[62] e agiografici.[63]
L’inno riprende anche metro e melodia del celebre inno Proles de caelo per san Francesco, composto da Gregorio IX (che canonizzò Francesco d’Assisi nel 1228),[64] adattando il nuovo testo a una formula di un inno precedente in V modo.[65] Ovviamente l’adattamento melodico risente dell’epoca della nuova composizione formulare: trattandosi di un adattamento tardivo, alcuni neumi vengono ampliati e la linea melodica leggermente modificata; il che costituisce una prassi assolutamente normale. La notazione quadrata non ha alcun elemento mensurale.
Inevitabilmente questo documento ha dato una svolta alla indagine, poiché dimostra che a Offida tra fine ‘200 e primi del ‘300 le reliquie eucaristiche c’erano ed erano conservate, come ancora oggi, in una croce realizzata appositamente per contenerle insieme ad un frammento della Croce di Cristo; non solo: il culto prevedeva anche una liturgia locale, per quanto ridotta, legata ad esse. Le parole del testo, da cantarein laudibus primis, sono molto esplicite; infatti, il primo e il sesto verso si riferiscono innegabilmente ad Offida:
– “in Cruce sacra Hostia cum ligno Crucis posita”: la croce contiene due reliquie, l’ostia del miracolo e un pezzo della croce di Cristo; è la sistemazione delle reliquie offidane giunta fino ad oggi;
– “Offida tua patria ostie sancte gratia”: è la tutela del numen sulla terra, è il palladio della terra. E questo fa pensare che nella translatio da Lanciano ad Offida abbiano svolto un ruolo fondamentale anche le autorità civili, benché non dichiarato nella fonte. A mio parere l’ipotesi è confermata dalla presenza, dopo l’inno, di una lettera indirizzata agli agostiniani offidani da Thomas Gualterii Guidonis de Offida in scientiis trivialibus humilis doctor in egregia civitate Firmana, un pezzo da novanta della storia non solo offidana, documentatissimo dal 1280 al 1316.[66]
Un interrogativo: perché chi prepara il registro del notaio Perotti (attivo tra il 1540 e il 1570, quindi prima dell’azione del Merli), usa per copertina una pergamena che già allora presumibilmente doveva avere una certa importanza? Se la risposta è “perché ancora non l’aveva”, allora bisogna prendere atto di due fatti:
1 che non si tratta di un falso: chiunque l’avesse compilato avrebbe avuto tutto l’inte-resse a pubblicizzarlo, non a nasconderlo;
2 che ancora tra il 1540 e il 1570 il culto eucaristico ha poca presa; anche qui: perché occultare una traccia della liturgia locale? Ma, l’abbiamo visto, questa situazione dura ancora molto: gli statuti offidani, rinnovati nel 1524 e dati alle stampe dopo il concilio tridentino nel 1589, quindi successivamente alla grandissima azione pubblicistica e propagandistica del Merli, testimoniano che la festa del 3 maggio che si celebra in s. Agostino è quella nettamente più finanziata dalla comunità (16 libre “inter cereum et candelas”: 1 per il 28 ago-to, 9 per il 3 maggio, 6 per la S. Spina),[67] ma anche qui il rilievo è tutto per la croce non per le reliquie eucaristiche.[68]
IV ALCUNE CONCLUSIONI
Agli inizi del ‘300 in Offida si pratica una liturgia locale relativa alle reliquie eucaristiche. Ma quel culto comincia a diventare popolare solo con l’azione pastorale successiva al concilio tridentino. Il promotore locale è indiscutibilmente l’agostiniano Merli, che per tre anni consecutivi dà alle stampe lo stesso volumetto in tre città diverse; il che conferma l’impegno profuso dall’Ordine agostiniano, almeno nel Piceno meridionale, per costruire e diffondere la devozione non nuova ma assolutamente moderna, in quanto dipesa in gran parte dalle direttive emanate dal concilio tridentino.
L’analisi del testo, la historia (termine di uso liturgico, che quindi fa pensare che il suo testo venisse letto, non necessariamente in forma integrale) nel corso della liturgia), ha messo in luce un nucleo primitivo (l’exemplum del patto con il diavolo) al quale (in più epoche?) sono state aggiunte varie componenti (antenati illustri, appunti di natura omiletica, citazioni dotte, esigenze politiche). L’anonimo compilatore del testo giuntoci (lo stesso Merli?) ha realizzato un prodotto artisticamente ben poco significativo, ma funzionale alla predicazione e soprattutto alla diffusione del culto eucaristico.
Se la imponente produzione bibliografica successiva all’opera del Merli[69] ha mostrato e mostra tutto l’armamentario della pubblicistica di carattere devozionale, sostanzialmente attenta alla costruzione di un racconto edificante ma non all’analisi critica, risultando spesso tale da giustificare accuse più o meno pesanti,[70] ora, con la nuova acquisizione, finalmente si ha a disposizione un punto fermo dal quale ripartire per portare a termine una indagine esaustiva su tutta la materia.
TESTO DELLA HISTORIA[71]
Exemplar latinae historiae sanctissimae Crucis Ophydae in pecudina pagina scriptae quae cum esset propter vetustatem consumpta et fere ad nihilum redacta Augustiniani patres prefatae terrae ut perpetua | esset huius magni et manifesti miraculi ab omnipotenti Deo operati memoria in hac altera pecudina pagina fideliter et ad literam eandem historiam retulerunt anno nostre salutis 1788.
Hostis suasione maligna qui velut in orbe assidue zizaniae seminator pridem inter virum Iacobum Stasium et Ricciarellam eius uxorem de terra Ansani sita in Regno Apuliae discordiam seminavit quam illa mulier removeri |affectans ut amaretur a viro suo accessit ad aliam mulierem terrae premissae dicens ei: “Facias mihi aliquid per quod valeam a viro meo amari”. Respondens mulier ait illi: “Vade accepta[72] hostiam consecratam quam pones in igne ut inde | pulvis fiat ipsamque in cibo vel potu porrigas viro tuo et ab ipso amaberis”.
Mulier autem a viro suo amari desiderans ivit ad sacerdotem eiusdem terrae sumens de manibus eius per modum communionis hostiam consecratam quam clino | capite in suum pectus immisit inscio sacerdote ipsum decipiens et Deum deridens in ipsius mulieris corporis et animae detrimentum hostiamque illam secum deferens mulier ad eius viri domum posuit in imbrice ignem et hostiam ipsam (verum corpus Christi) | mulier indigne direque misit in ignem quae hostia in modica quantitate remanente miraculose illico se diffudit in carnem de qua unda sanguinis profluens per illam imbricem emanavit supra quam pavida mulier proiiciebat cinerem scintillabat ceram et manu sua | imprimebat ut cruor ille deflueret prout in ipsa hostia incarnata et in imbrice illius cruore undata apparent fide oculata evidenter.
Mulier autem videns sanguinem nec extingui nec firmari posse pavefacta accepit mantile sive tobaliam quamdam lineam sericeis | filis laboratam quam dictam imbricem cum hostia et sanguine illo inclusis involuta portavit in stabulum inique in partem in quam omnes sordes et immunditiae domus profluenter proiiciebantur seppellivit.
Adveniente autem viro suo sero qui Iacobus Stasius voca-|tur ac volente intromittere iumentum quod ducebat bestia ipsa nullatenus introire volebat quod nunquam fecerat antea verum post multas fustigationes quibus multis horis fuit affecta ingredi cohacta sic inclinata et genuflexa versus eam partem ubi dicta ostia | soffossa iacebat transivit in stabulum ut dictam hostiam adorare videretur.
Vir ille autem hoc admiratus uxorem suam vehementer increpans maximo cum clamore dicebat ipsam aliquid mali in eum stabulum posuisse propter quod bestia ingredi non vellet | mulier vero semper negavit se aliquid mali fecisse.
Quod sacramentum inibi septem annos iacuit sepultum quod bestiae interea a latere intrantes et egredientes venerabantur.
Interea dicta mulier cum diu noctuque ab amaris stimulis et conscientiae crucia-|tibus agitaretur secum nunquam quiescebat utpotequae se omni cruciatu et pena dignam cognosceret sicque proposuit in mente sua velle sua peccata et hoc indignissimum scelus ab ipsa commissum alicui probo sacerdoti confiteri vocarique fecit venerabilem | fratrem Iacobum de Detallevis de Offida tunc priorem coenobii divi Augustini de Ansano ad cuius pedes genuflexa multis lacrimis ac interruptis singultibus confessionem suam peragebat sed illum tam horrendum scelus a se commissum manifestare non | audebat quod idem frater Iacobus innata prudentia cognoscens mulierem et audacter diceret sepius est exortatus illa vero respondente se numquam suum scelus ob eius magnitudinem professuram nisi ab ipso patre illud interrogaretur. Idem frater Iacobus con-|fessionem pluries iteravit et cum dicta mulier nunquam suum scelus nominatum fuisse diceret frater Iacobus “Iam omnia” inquit “quae committi possunt peccata percurri quid feceris nescio nisi Deum occideris”. Mulier respondit: “Profecto Deum pater occidi | Deum occidi Deum occidi”. Rogante autem fratre Iacobo quid illud esse<t> ac monente ut omni prorsus timore propulso quid quid esset animose proferret quotiamo Deus ob suam misericordiam non mortem sed peccatoris conversionem desideraret mulier licet lacri-|mis multisque singultibus impedita esset quid quid tamen tanti sceleris commisit ordine patefecit.
Qua re audita frater Iacobus secum obstupefactus mulierem bono animo esse iubens in pace dimisit sed ratus indignum esse sacramentum in tanta foeditate iacere | cum eadem muliere constituit tempus quo commodius inde tollere posset et accedens ad locum sacerdotali sacra veste indutus loci foeditatem non abhorrens suffosso femo id nec imbrice nec pannis inhaerens sed ea sublimi et a femo ex nulla parte contacta | invenit imbriceque levato sacramentum sanguinem et mantile non modo incorrupta sed sic recentia et illesa invenit ut si eadem hora subfossa fuissent idque sacramentum secum in coenobio divi Augustini ubi manebat asportavit paucos post dies simulata a maio-|ribus suis causa abeundi veniam impetravit ac Ophydam repetens ab anno gratiae 1280 se tam praetiosam reliquiam habere fratri Michaeli infrascripto et primatibus oppidi cunctis ordine monstravit et dixit.
Qui cognoscentes tam pretiosas reliquias sum-|mo esse cum honore tenendas crux pretiosa ut fieret in qua[73] sacra hostia et lignum Crucis verissimum claudere<n>tur decreverunt collectoque sufficienter elemosinis argento ut iret Venetias summa cum instantia rogaverunt eumdem fratrem Michaelem de Malli-|canis de Ophyda priorem loci Ophydani factum fieri formosam crucem in quam era[n]t intus ponenda ipsa hostia incarnata et […] de ligno verae Crucis quod tunc mostravit populo ipse praedicator quod in manu sua tenebat pro laude Dei et populi devotione | in Domino augumentanda.
Verum quia obedientia inter fratres caro carior reputatur idem frater Michael filius obedientiae cum eius socio immediate post Pascha<m> intrans navigium ivit Venetias factum fieri crucem recipiens ab aurifice iuramentum | fidelitatis primo quod ipse nulli panderet quae visurus erat ab ipso ponenda in cruce ipsa. Quo facto aurifex accepit pixidem ipsam hostiam continentem et statim febricitatus est dicens “Quid est hoc quod mihi portasti frater?” tunc frater quaesi-|vit ab aurifice “Es tu in peccato mortali?”. Ait illi: “Sum” ipsoque peccato confesso eidem fratri aurifex ille sedata febri accepit pixidem sine periculo extraens inde ostia quam cum ligno verae crucis immisit et posuit super cristallo in ipsa cruce | ut evidenter apparet in ea ipsisque fratribus recipientibus crucem ipsam abierunt viam suam.
Aurifex autem obmisso fidelitatis iuramento ivit ad dominum Ducem Venetiarum cui ait: “Domine fratres de provincia Marchiae portant in | cruce per me facta admiranda sanctuaria” recitando domini Duci quae acciderant sibi cum ipse voluit tangere pixidem in qua erat ipsa hostia incarnata dicens “Dignetur vestra Ducalis excellentia facere accipere ipsa sanctuaria pro universitate | Venetiarum”. Ipse dominus intuens talia esse gratifera votivis affectibus Venetiarum statim fecit mandare nautis ut ipsi intrantes mare persequerentur et caperent ipsos fratres sed continuo mare factum est procellosum propter quod nequiverunt ipsi | mare ingredi narrantes omnia domino Duci qui prospiciens quod mare erat undique pacatum ait nautis “Sinite illos fratres abire quia voluntas Dei est”.
Quae omnia fuerunt manifesta fratribus praenominatis per mercatores Venetiarum in | portu Anconae et deinde fratres ipsi in terram Ophydae cum ipsa cruce felici auspicio pervenerunt.
In Dei nomine. Amen. Fidem facio per praesentes ego notarius publicus civisque Ophydanus infrascriptus quatenus praesens superscripta copia | fuit extracta ex suo proprio originali vetusto in Archivio huius coenobii sancti Augustini Ophydae existenti cum quo eadem suprascripta copia concordat in omnibus et per omnia salvo semper et c. in quorum fidem hic me | subscripsi meoque quo in similibus utor signo munivi et publicavi requisitus.
Datum Ophydae ex dicto coenobio divi Augustini hac die decima octava aprilis 1788. |
Ita est. Joannes Baptista Doria notarius publicus ut supra rogatus in fidem.
[1] Gli argomenti di questa comunicazione, necessariamente breve, avranno una trattazione più adeguata e approfondita in uno studio di prossima pubblicazione.
[2] Onde non generare equivoci o false attese dichiaro esplicitamente che questo non è un lavoro teso all’accerta-mento dell’autenticità del miracolo. È un lavoro portato avanti per vedere quali sarebbero stati gli esiti di un percorso storiografico che mi ha fatto affrontare le varie tematiche dell’argomento e giungere a conclusioni, sebbene non tutte definitive, certamente meno discutibili di quelle finora proposte.
[3] È il destino della letteratura devozionale non seria, come, ad es., i fascicoletti di poche pagine.
[4] Ricordo almeno, per la loro importanza, le prime opere: A. Merli, La stupenda, et marauigliosa historia del sacramento dell’altare gettato già nel fuoco, miracolosamente conuerso in tre parti, carne, sangue, et hostia, come chiaramente si vede, nella nobile, & antica terra d’Offida, nella marca d’Ancona, nella chiesa de i padri eremitani di S. Agostino, dentro vna croce. Raccolta dall’antico originale, per il R. P. M. Agostino Merli, dottore di sacra teologia dell’istesso luoco, et ordine, 1581 in Padova, et ristampata in Bologna per Alessandro Benacci; Id., La stupenda, et marauigliosa historia del sacramento dell’altare gettato gia nel fuoco, miracolosamente conuerso in tre parti, carne, sangue, et hostia, come chiaramente si vede, nella nobile, et antica terra d’Offida, nella marca d’Ancona, nella chiesa de’ reverendi padri eremitani di S. Agostino, dentro vna croce. Raccolta dall’antico originale, per il R. P. M. Agostino Merli, dottore di sacra theologia. Con aggiuntione d’infinite Indulgenze per vivi, et morti, Fermo appresso Giovanni Giubar 1582; Id., La stupenda et meravigliosa Historia del santissimo Sacramento dell’Altare, occorsa a Lanciano gettato nel fuoco, et miracolosamente converso in Carne, Sangue, et Hostia, nella casa di Giacomo Statio, nella quale a perpetua memoria hora si è fatta una Chiesa chiamata l’Oratorio del miracolo della Croce; qual miracolo chiaramente si vede nella Terra d’Offida nella Chiesa de’ Padri di Santo Agostino ove fu portato. Raccolto dall’antico Originale con alcuni discorsi spirituali, per il R. P. Maestro Agostino Merli d’Offida Dottor in sacra Theologia. Con aggiuntioni d’infiniti (!) Indulgenze per vivi et morti, et con la copia della bolla nuovamente concessa dal molto illustre et Reverendissimo Monsignor Mario Bolognino Arcivescovo di Lanciano per la erettione del detto Oratorio, Venetiis 1583.
[5] E. Rosini, La reliquia d’Offida: poema eroico, tratto dal vero originale, Roma 1587; è un poemetto di 2848 versi endecasillabi.
[6] F. Tiberio, Opera nova sovra il santissimo Corpo di Christo converso in Carne, in Sangue et Hostia come chiaro si vede nella Croce d’Ofida, composta dal R. P. fra’ T. F. del Monte San Martino dell’Ordine Heremitano, in Campli per Isidoro et Lepido Facij Fratelli 1593; si compone di 512 endecasillabi
[7] Ho cercato di identificare la tipologia di quei lavori e ho sottoposto alla dovuta critica la documentazione presa in esame dai loro autori. Specifico immediatamente che mi sono accostato a quella pubblicistica senza paraocchi ideologici: so benissimo che non si possono incolpare gli studiosi del passato per non aver indagato con i metodi della storiografia contemporanea. Non solo, va invece riconosciuto che diversi di quei lavori vanno apprezzati ancora oggi; se non altro per la mole di materiale che i loro autori hanno consultato e messo a disposizione degli studiosi successivi. Questo, però, non autorizza a sotovalutare le mancanze di cui si è detto.
[8] Si tratta di un Salterio e di un Messale in uso presso il monastero offidano di S. Maria della Rocca: v. n. 48.
[9] È il caso degli affreschi della cappella del Sacramento del Duomo di Orvieto, che riproducono exempla chiarificatori che mostrano ai fedeli i prodigi e i pericoli legati all’abuso dell’ostia miracolosa; con una sorprendente escalation G. Sergiacomi, Il miracolo eucaristico di Offida, Ascoli Piceno 20013, li interpreta così: gli “affreschi del 1357 [sono] relativi al miracolo eucaristico di Offida” (p. 75); “non è arrischiato pensare che questi dipinti illustrino il nostro miracolo” (p. 81); “particolari caratteristici, propri ed esclusivi, del miracolo di Offida” (p. 83). In realtà l’affresco richiamato dal Sergiacomi va riferito al miracolo di Trani, dove ancora oggi esiste il toponimo Parione citato nel titulus (“Mulier … de contrada Parionis”); che non possa essere riferita ad Offida è confermato anche dalla sua mancanza nelle fonti catastali pervenuteci dal Trecento ad oggi.
[10] F. Spaccucci – G. Curci, Storia dell’Ostia Miracolosa di Trani, Napoli 1989.
[11] A. J. Lucas, O Santíssimo milagre. Hóspede insigne de Santarém, Santarém 1994.
[12] A. Palmieri, La Sacratissima Ostia che si venera in Offida. Storia e Documenti, Roma 1913, soprattutto alle pp. 90-6.
[13] V. Boccardi, Il miracolo eucaristico di Offida, in “il Cenacolo”, n° 1, 2006.
[14] Inteso come modello analitico e rappresentativo formato di un insieme di idee (filosofiche, storiche, culturali in generale), teorie scientifiche (nel senso della ricerca di uno statuto epistemologico) e norme metodologiche.
[15] Uso la bella immagine conclusiva di A. Nicolotti, I Templari e la Sindone, Roma 2011, p. 139.
[16] Non voglio affrontare qui la discussione sulla validità epistemologica della nozione di religione popolare, che oggi tiene sulla corda specialisti di diverse discipline; per tutta la problematica rinvio a L. Canetti, Santuari e reliquie tra Antichità e Medioevo: Cristianizzazione dello spazio o sacralizzazione del cristianesimo?, in “Reti Medievali Rivista”, III, n° 2 luglio-dicembre 2002.
[17] Ovviamente, si tratta di risposte diverse (per statuto epistemologico, epoca, linguaggio, ecc.) al problema, dalle più varie sfaccettature, della povertà involontaria, tra le cui cause incontriamo la mancanza o perdita di lavoro, le malattie (che aumentano lo stato di dipendenza), le carestie, la disordinata crescita demografica (come agli inizi del ‘500). Spesso la soluzione più comune è quella di mandare i figli a mendicare: per questo, accanto ai mendicanti di professione (nomadi, vagabondi, accattoni, barboni …) si incontrano i bambini. Cfr. P. Camporesi Il libro dei vagabondi. Lo Speculum cerretanorum di Teseo Pini, Il vagabondo di Rafaele Frianoro e altri testi di furfanteria, Torino 1980.
[18] La convinzione che le immagini abbiano un’utilità per il loro ruolo didattico e per il contributo che possono offrire alla predicazione è presente nella letteratura patristica fin dalla seconda metà del IV secolo. Ma ancora agli inizi del IV secolo alcuni concili vietano i maniera specifica di dipingere le pareti delle chiese (è il caso del concilio di Elvira, del 314 c.). Paolino vescovo di Nola (c. 354-431) è il primo esponente del clero, di cui si abbia notizia, a utilizare le decorazioni della sua chiesa a fini di istruzione degli analfabeti., in modo da offrire loro, con alle spalle una lunga frequentazione di culti pagani, una semplice guida morale: Ch. Freeman, Il Cristianesimo primitivo. Una nuova storia, Torino 2010, p. 335. Il tema trova la sua compiuta sistematizzazione nelle lettere di Gregorio Magno al vescovo Sereno di Marsiglia. Il papa insiste sul carattere didattico delle pitture nelle Chiese, utili perché gli illetterati guardandole possano almeno leggere sui muri, quello che non sono capaci di leggere nei libri (“in codicibus legere non ualent”), e sottolinea che questa contemplazione deve condurre all’adorazione dell’unica e onnipotente Santa Trinità (S. Gregorii Magni Epistulae ad episcopum Serenum Massilliensem, in MGH: Gregorii I Papae Registrum Epistularum, II, 1, lib. IX, 208, p. 195 et II, 2, lib. XI, 10, pp. 270-271). Per una traduzione parziale del testo di Gregorio Magno si veda D. Menozzi, La Chiesa e le immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni, Cinisello Balsamo 1995, pp. 79-80.
Per Onorio d’Autun (sec. XIII) la pittura deve abbellire la casa di Dio, ricordare la vita dei santi e dilettare gli incolti, poiché “pictura est laicorum litteratura” (“ob tres autem causas fit pictura: primo, quia est laicorum litteratura; secundo, ut domus tali decore ornetur; tertio, ut priorum vita in memoriam revocetur”: Gemma animae, 122, PL 127, col. 586); pensiero che verrà imitato dal contemporaneo Valfrido Strabone: “pictura est quaedam litteratura illitterato” (De ecclesiasticarum rerum exordiis et incrementis liber unus ad Reginbertum episcopum, Caput VIII De imaginibus et picturis, PL, 114, col. 929).
L’espressione Biblia pauperum è stata usata per indicare che le storie bibliche quando sono rappresentate nell’arte sostituiscono il libro per quelli che non sono in grado di leggere. Il concetto è presente in S. Nicola di Flue, S. Paolino da Nola, S. Nilo il Sinaita (tutti del IV-V secolo) e soprattutto in Gregorio Magno (540-604): H. Pfeiffer, Biblia Pauperum, in Dizionario di omiletica, a cura di M. Sodi – A. M. Triacca, Torino – Gorle 2002, pp. 197-200. Gregorio in particolare sostiene la funzione pedagogica, proponendola come lectio (“la pittura s’impiega nelle chiese, affinché coloro che non sanno leggere, leggano almeno sulle pareti, vedendo le stesse cose che non saprebbero leggere nei libri”: Registrum epistolarum, IX, 209, XI, 10; Corpus Christianorum Lat., CXL, 1982); passa attraverso Valafrido Strabone (Libellus de exordiis et incrementis quarumdam in observationibus ecclesiasticis rerum, a cura di A. Knöpfler, Monaco 1899); approda al secondo prologo del De avibus di Ugo di Folieto (1100-1174, Hugues de Fouilloy, Hugo Folietanus o de Folieto: PL, CLXXVII, coll. 15-16) e alle decisioni del sinodo di Arras del 1205 (che al canone 14 decreta che “gli illetterati riguardino ed apprendano in qualche modo mediante le rappresentazioni della pittura ciò che non sono in grado d’intendere mediante la parola scritta”: G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Paris 1901-27, XIX, 454). G. Cavallo, Cantare le immagini, in Exultet. Rotoli liturgici del medioevo meridionale, direzione scientifica di G. Cavallo, coordinamento di G. Orofino e O. Pecere, Roma 1994, pp. 53-71, ha ricordato che l’uso delle immagini non è da considerare neutro, dato che assolve una funzione catechetica di trasmissione di messaggi non solo dottrinali ma anche ideologico-politici (p. 57).
[19] C. Bino, Teatro religioso e medievale, in “Drammaturgia” 2009; anche in www.drammaturgia.it/recensioni/recen-sione2.php?id=4069
[20] Il genere della sacra rappresentazione ha ottenuto un successo incredibile, tanto che i misteri arrivano a costituire veri festival: il Mistero della Passione intorno al 1500 dura 4 giorni ad Amiens e 8 a Riom, nel 1534 10 giorni a Poitiers e nel 1535, pare, un mese intero a Issoudun; durano così tanto perché riuniscono decine di rappresentazioni (in Inghilterra 36 a Chester, 48 a York). Cfr. V. Laudadio, La lauda oltre la pietas. Letizia e giochi musicali nella lauda monodica processionale, in “Atti del V Convegno di studi sui giochi storici” (Ascoli Piceno 4-5 maggio 1996), Quaderno n. 8 dell’Ente Quintana, A-scoli Piceno, pp. 75-80; anche in Interdisciplinarità. Testi e media nella didattica della storia, “Materiali multimediali e uso dei laboratori storici” n° 4, 2001, pp. 85-93.
[21] A. Rosini, Compendioso racconto historico della terra di Offida, in AA. VV. Offida. Origini e storia, Offida 1979, pp. 13-237 (Della Confraternita del Santissimo Sacramento, pp. 205-8). È in epoca post tridentina che viene incentivata la costituzione delle confraternite dedicate al SS. Sacramento: E. Bolis, Eucaristia e fede. La fede eucaristica di san Carlo Borromeo”, in “La nuova alleanza”, aprile 2013, pp. 13-22.
[22] Acta, gesta, passio, legenda, historia, vita ecc., termini tipici delle narrazioni agiografiche, spesso vengono considerati sinonimi, ma in realtà hanno origini e significati diversi. Gli acta o gesta martyrum riportano gli atti dei tribunali che hanno giudicato il martire, gli interrogatori, i verbali ufficiali dei processi, per questo spesso vi prevale la forma dialogata; si limitano a consegnare i fatti, per questo costituiscono fonti storiche immediate e assolutamente degne di credito. La passio (o martyria) è un racconto di testi oculari o comunque contemporanei. Più esattamente, se gli atti sono una forma assai vicina al dramma, le Passioni si accostano al racconto, hanno un andamento narrativo; “gli Atti sono il martirio, le Passioni descrivono il martirio” (G. Lazzati, Gli sviluppi della letteratura sui martiri nei primi quattro secoli. Con appendice e testi, Torino 1956, p. 9). La legenda è un racconto dal fine edificatorio o devozionale composto molto dopo il martirio; destinato alla lettura pubblica (in un contesto liturgico) o collettiva (nei contesti monastici e comunitari) o, ma più tardi, individuale e privata; per questo mescola verità e immaginazione e talvolta raccoglie semplici racconti senza fondamento storico: è il caso anche di Emidio. Il termine historia viene prevalentemente utilizzato in campo liturgico per indicare la riduzione degli episodi della passio o vita alle letture dell’ufficio. Sull’argomento, J. Quasten, Patrologia, I. Hasta el Consilio de Nicea, II. La edad de oro de la literatura patrística griega, Madrid 1962, I, pp. 171-80.
[23] L. Bolzoni La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Torino 2009, pp. 30-1. Il nesso tra parola e immagine è stato sottolineato anche da altri studiosi: per Bino, Teatro, cit., “Il rapporto tra parola scritta e parola detta rinvia a un concetto di visione intimamente legato alla dimensione performativa dello sguardo, laddove guardare è attività efficace tanto sul piano del sentire (cioè provoca emozione, gli affectus) quanto del fare (cioè ha conseguenze nella vita concreta, gli effectus)”; e M. Bacci, Devozione, in Arte e storia del Medioevo, III, Del vedere: pubblici, forme e funzioni, 2004, alla tav. 16 così commenta l’affresco del Maestro d’Offida in Santa Maria della Rocca in cui santa Caterina d’Alessandria riceve dall’eremita l’immagine della Madonna col Bambino: “Il rapporto dello spettatore con l’immagine religiosa non è inteso, nel tardo Medioevo, come un atto unilaterale, come una semplice proiezione dello sguardo individuale sull’opera figurativa, bensì come uno scambio reciproco, che permette la comu-nicazione del fedele col personaggio sacro attraverso la sua immagine. In questo affresco di Offida che illustra un episodio del ciclo agiografico di santa Caterina d’Alessandria (secondo il quale fu un eremita del deserto egiziano a indicare, per mezzo di un dipinto, alla giovane principessa refrattaria al matrimonio l’uomo adatto per lei, ossia Cristo), la relazione intensa, quasi amorosa, che si mette in atto fra la santa e la figura di Gesù Bambino è sottolineata dal fatto che quest’ultima è resa come se fosse animata, come se avesse rinunciato alla sua tradizionale compostezza per voltarsi verso l’esterno dell’icona, onde incontrare il suo sguardo con quello della fanciulla (sua promessa sposa) inginocchiata dinanzi a lui”.
[24] Il testo in Sergiacomi, Il miracolo, cit., p. 236.
[25] Cfr. Sergiacomi, Il miracolo, cit., p. 257.
[26] Il 13 maggio 1301 da Bonifacio VIII (“Unde cum hostis humani generis pacis aemulus et zizaniae seminator […]”: Odorici Raynaldi Annales Ecclesiastici, Tom. IV. ad annum 1301.) e ripetuta integralmente l’1 giugno 1403 da Bonifacio IX; dalla bolla Apostolici regiminis del Concilio Lateranense V del 19 dicembre 1513 (“Cum itaque diebus nostris, quod dolenter referimus, zizaniae seminator, antiquus humani generis hostis […]”: G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Paris 1902, t. 32, col. 842).
[27] La tipologia del patto col diavolo è stata identificata dal J. Klapper, Exempla aus Handschriften des Mittelalters, Heidelberg 1911, n° 53 pp. 41-2 e analizzata da A. D’Agostino, Il patto col diavolo nelle letterature medievali. Elementi per un’analisi narrativa, in “Studi Medievali”, 3ª serie, XLV (2001), pp. 699-752, per il quale il tema del patto col diavolo “si ostenta come uno dei mitologemi semanticamente più pregnanti della letteratura occidentale”. Per i vari esempi, v. F. C. Tubach, Index exemplorum. A Handbook of Medieval Religious Tale, Helsinki 1969, ai ni 3566-72. La presenza di questa tipologia narrativa è stata rilevata anche nelle fiabe e nei racconti folkloristici: v. la categoria AT 756B, Il contratto col diavolo, in A. Aarne – S. Thompson, The Types of the Folktale. A Classification and Bibliography, The Finnish Academy of Science and Letters, Helsinki 1961.
[28] J. Delumeau, Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, Bologna 1980, ha parlato di “pastorale della paura” che, però, sarebbe errato interpretare come volontà di controllare e governare più efficacemente la societas christiana medievale: prova ne è che ben più che i comuni fedeli, furono proprio le élites cristiane (religiosi, vescovi, teologi) ad essere le più tormentate ed agitate da questa paura spirituale, a vivere in prima persona il senso di colpa e che il timore della dannazione fu sentito più lancinante nei santi che nella gente e spesso gli ultimi giorni della loro vita questi sono aggrediti da uno sconforto e una disperazione inauditi.
[29] L’uso dell’espressione alia mulier per indicare l’antagonista è di derivazione classica: la troviamo sia nella commedie Cistillaria (atto IV scena I) di Plauto.
[30] Tra i numerosi, Pier Damiani (Petrus Damiani Vitae Sanctorum Vita sancti Mauri episcopi Caesenatis et confessoris, III 4: PL 144, 951.), Iacopo da Varagine, Celestino V …
[31] Per il tema del malvagio consigliere i riferimenti più frequenti risultano Geroboamo e Salomone (III Reg. XI, 26), Gionata e Davide (III Reg. XIII, 2), Elkam e Achaz (II Chron. XXVIII, 7): G. Buhrer-Thierry, Le conseiller du roi. Les écrivains carolingiens et la tradition biblique, “Médiévales” 12 (1987), pp. 111-23. La donna rappresenta il dubbio sulle verità religiose, mentre gli ebrei spesso rappresentano l’ignoranza perpetua e la resistenza alla parola divina.
[32] M. Meslin, Cristianesimo: uguaglianza ontologica e discriminazione sociale, in La religione, diretta da F. Lenoir e Y. Tardan-Masquelier, 6 voll., Torino 2001, vol. IV, I temi. L’uomo e le rappresentazioni del divino, p. 508.
[33] G. De Henao, De Eucharistiae Sacramento … tractatio theologica, Lugduni 1655, p. 51; D. Viva, Cursus Theologico-Moralis: De Sacramentis in genere, ac in specie …, Volume 5, Padova 1726, vol. V, p. 77.
[34] A. M. De’ Liguori, Theologia moralis A-M de Ligorio editio nova, tom. V, Parisiis 1832, n° 215 p. 20; A. Vermeersch, Theologia moralis principia – responsa – consilia t. III De personibus, De sacramentis, De legibus Ecclesiae et censuris, Roma 1948, t. III, n° 346 p. 220; H. Busenbuam – C. Lacroix, Theologia moralis, Venetiis 1716, t. II, p. 103; A. Holzman, Theologia moralis usitato in scholis ordine ac methodo concinnata … pars septima, Campidone 1740, p. 198; M. Bonacina, De morali theologia omnibusque conscientiae nodis compendium, Colonia Agrippina 1631, p. 220; J.-B. Bouvier, Institutiones theologicae ad usum seminariorum, t. III De Eucharistia, De poenitentia, De extrema unctione, Parisiis 1834; A. Diana, Resolutionum moralium quae quin-que tomis continentur compendium, Lugduni 1642, p. 274; G. Pignatelli, Consultationes canonicae, tomi 10, Roma 1733, p. 97.
[35] Nicolotti, I Templari, cit., p. 22; ma è sufficiente dare una occhiata sul web.
[36] Il riferimento all’immagine di Cristo compare per la prima volta nello scritto conosciuto come Dottrina di Addai, dove si racconta che re Abgar, re di Edessa, aveva mandato a Gesù un suo messaggero; questi non solo consegnò la lettera a Gesù ma ne dipinse anche un ritratto, poi conservato a Edessa. Verso la metà del VI secolo la leggenda (nata per nobilitare il regno di Abgar, attribuendo a Cristo stesso gli inizi della sua evangelizzazione) fu ulteriormente modificata e al posto del dipinto a colori si cominciò a parlare di una immagine miracolosa. Vedendo l’incapacità del messaggero di ritrarlo, Gesù si sarebbe lavato il volto e l’avrebbe asciugato comn un asciugamano; così sulla stoffa si sarebbe impressa per prodigio l’immagine del suo viso. Sulla ricostruzione e in diversi casi l’invenzione di sana pianta di “storie per le comunità cristiane”, Freeman, Il Cristianesimo primitivo, cit., p. 282.
[37] Il santo Mandylion (termine arabo ellenizzato che significa asciugamano) su cui Cristo aveva impresso il suo Volto per mandarlo al re Abgar di Edessa, che aveva scritto a Gesù chiedendo di essere guarito dalla lebbra; risanato, lo espose alla pubblica venerazione, all’entrata della città; dovette essere murato per preservarlo dalla distruzione e rimase nascosto fino al 525, quando una inondazione lo fece riscoprire.
[38] Esistono oggi tre presunti mandylion: uno si trova a Genova, l’altro a Roma e il terzo a Manoppello (PE); si tratta di oggetti le cui prime attestazioni storiche risalgono al secolo XIV per quello di Genova e al XVII per quello di Roma; mentre relativamente a quello di Manoppello l’origine è imprecisata essendo “comparso” a Manoppello solo nel 1506. Ma anche la Sindone di Torino, la cui prima documentazione storica risale anch’essa al XIV secolo, è stata proposta come il mandylion originale. Sulle polemiche sorte a proposito del rapporto tra la Sindone e i Templari, si rinvia a Nicolotti, I Templari, cit. e sulla storia del culto della stessa a A. Nicolotti, Sindone. Storia e leggende di una reliquia controversa, Torino 2015, lavori esemplari per accuratezza analitica, controllo delle fonti e correttezza metodologica. Sull’accoppiata mandylion – keramion, la letteratura è sterminata: oltre Nicolotti, I Templari, cit., passim, v. Ch. Freeman, Sacre reliquie. Dalle origini del Cristianesimo alla Controriforma, Torino 2012.
[39] Per convincere un ebreo della presenza reale di Cristo nell’eucarestia il santo conduce un asino davanti al calice e all’ostia e l’animale si inginocchia. L’immagine rinvia al passo dell’Antico Testamento in cui l’asina di Balaam riconosce prontamente la santità (Numeri 22). Sulla materia, G. Heinz-Mohr, Lessico di iconografia cristiana, Milano 1984, p. 62; J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Milano 2007, p. 49.
[40] La leggenda di S. Eustachio è già attestata nel sec. VIII in Giovanni Damasceno (De imaginibus, Oratio III, in PG XCIV, 1382): A. H. Krappe, La leggenda di S. Eustachio, “Nuovi Studi Medievali”, III, 1926-7, pp. 223-58. Il cervo ha avuto una grande fortuna anche nelle arti visive, dove, tra l’altro, può raffigurare l’anima inseguita dal diavolo (se inseguito da un leone o da un centauro), oppure un giovane che, nel pieno possesso delle sue forze, va incontro al mondo, alle sue tentazioni e ai suoi pericoli e deve esercitarsi all’autodisciplina: Heinz-Mohr, Lessico, cit., pp. 96-7. Elementi del dioscurismo cristiano rimandano alle immagini paganeggianti che si rifacevano all’antichissimo culto di Castore e Polluce, i due dioscuri figli di Zeus. Sul tema dell’animale guida e il mito del viaggio, C. Donà, Per le vie dell’altro mondo: l’animale guida e il mito del viaggio, Soveria Mannelli 2003. Per Sant’Oberto, v. Heinz-Mohr, Lessico, cit., pp. 96-7; Hall, Dizionario, cit., pp. 100, 126.
[41] È sfuggito anche a chi hadichiarato di aver lavorato “su un piano squisitamente ed esclusivamente filologico”: F. Lucidi, La HISTORIA SS.mae CRUCIS del miracolo eucaristico di Lanciano, in “Abruzzo” vol. 14, 2 (1976), pp. 49-57 (p. 51).
[42] L. A. Muratori, Dei pregi dell’eloquenza popolare, Napoli 1750, p. 73, riporta che molti predicatori, brandendo il crocifisso od ostentando un teschio, “si abbassavano, si contorcevano e dimenavano le braccia a tutto potere; saltellando di qua e di là sul pulpito, tendevano stoccate a tutte le parti; altri con stirature curiose di corpo imitavano un peccatore disperato, un martire sull’aculeo, un’anima dannata”.
[43] B. Backzo, L’Utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell’età dell’illuminismo, Torino 1978, p. 33.
[44] D’Arco S. Avalle (a cura di), La Fanciulla perseguitata, Milano 1977.
[45] Se la traslazione diventa la ricorrenza liturgica e civile più importante, dopo quella del dies natalis, è perché nei primi secoli del culto del patrono era quella che più e meglio rappresentava l’identità cittadina. È quanto si registra, per restare nell’ambito della Marca meridionale, con la translatio emidiana. Che la ricorrenza abbia svolto una importantissima funzione per la comunità ascolana è dimostrato, poi, dal fatto che viene menzionata di continuo (negli atti civili non si incontrano riferimenti al cerimoniale, mentre quelli ecclesiastici, soprattutto i più recenti, risultano più prodighi di informazioni sulla ritualità e organizzazione liturgica): negli Statuti del 1377 tra l’elencazione delle feste da osservare in data 12 aprile riporta “sancti Emiddi”, evidente ricordo della translatio che doveva essere stata memorabile); nelle Riformanze di fine Quattrocento, quando si ricordano gli impegni delle arti da osservarsi “in festo sancti Emindii de mense aprilis”. L’ipotesi di F. Mangani, Casse-reliquiario, in Le trame del Romanico. Tesori medievali nella Città del travertino, Catalogo della mostra, Ascoli Piceno 2007, pp. 61-3, altrettanto acriticamente ripresa da altri, di una retrodatazione della translatio all’epoca del vescovo Iustolfo tra il 780 e l’822 non appare suffragata né dalla documentazione necessaria né da argomentazioni convincenti; inoltre toglie unitarietà di intenti e azioni al collegamento con l’inventio e la dedicatio e con tutto quanto è stato prodotto in merito a livello letterario (la Legenda), liturgico e musicale (l’ufficio delle ore) e probabilmente anche iconografico. Altre tracce, poi, si incontrano nel 1520 nei Capitoli di speziai e merciai (“[…] in la festa di S. Emidio tanto di augusto quanto di aprile […]”: ASAP, Capitoli di speziai e merciai del 1520, c. 86v.); nel 1529 in quelli dell’arte fabrile, che si impegna a portare il cero nel giorno della vigilia di s. Emidio e “nell’adunatione nella chiesa di san Francesco dove si adunano le altre arti similmente nel giorno dell’Annunziata e nel giorno di s. Emidio nel mese di aprile” (ASAP, ASCA, Liber supplicationum, reg. 35, c. 330v.) e nel 1538 in quelli dei falegnami (ASAP, ASCA, Liber supplicationum, reg. 35, Capitoli dei falegnami del 1538, c. 218); in una copia manoscritta degli statuti cittadini del 1377 realizzata nel 1546 (“sancti Emindii pape”: ASAP, ASCAP, Statuta Asculi 1377, vol. 23, libro II, rubrica 40). In effetti, il suo ricordo è ancora così radicato nella memoria collettiva degli ascolani che di recente ne è stata proposta una riedizione: F. Laganà, La Translatio una tradizione da far rivivere, in “Emidiana”, numero unico commemorativo della rievocazione della festa della traslazione di sant’Emidio, 12 aprile 2011. Da notare che i calendari liturgici basso-medievali sono pieni di translationes: V. Laudadio, Calendari liturgici del Piceno meridionale (secc. XI-XV), di prossima pubblicazione
[46] In questo senso si sono registrate varie espressioni. La translatio studiorum per indicare vari passaggi (da Atene in Persia; da Alessandria ai monasteri siriaci del VII e dell’VIII secolo; dalla cultura siriaca verso la cultura araba; dall’O-riente musulmano all’Occidente musulmano e all’Occidente cristiano). Un potente strumento di propaganda politica si è rivelata l’espressione translatio imperii, usata per indicare processi che giustificano il potere imperiale: il passaggio del potere dal popolo romano al principe; il trasferimento dell’impero da occidente a Bisanzio; il trasferimento del potere a Carlo Magno, con la cui inconorazione si compie il processo di identificazione fra cristianità ed Impero: lo stato imperiale diventa, di fatto, il principio ordinatore ed il fattore di controllo politico della civitas terrena agostiniana, al quale devono sottomettersi tutti gli altri poteri e le altre forme di organizzazione.
[47] Sulla abbondante produzione post tridentina di letteratura devozionale, v. A. Quondam, Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima), “Semestrale di Studi (e Testi) italiani” n° XVI, 2005, pp. 127-211.
[48] Il Messale miniato è conservato a Parma, Biblioteca Palatina, ms. 670. Il Salterio è conservato in Offida, Archivio Chiesa Collegiata, risale alla stessa epoca e anch’esso riporta un calendario, dal quale si desume, esattamente per gli stessi motivi di sopra e con identiche particolarità, che anche quel codice liturgico era destinato al monastero farfense offidano. I due codici certamente sono stati realizzati insieme, anche se non costantemente dalla stessa mano: lo si deduce da due ordini di motivi. Anzitutto la stessa mise en page, lo stesso tipo di pergamena, le stesse dimensioni di entrambi i codici, le raffinate iniziali filigranate, ecc.; poi le scelte identiche compiute dall’atelier di realizzazione per entrambi: il ricordo del francescano beato Corrado da Offida con la stessa formulazione non tradizionale della frase (“obitus fuit sanctus Corradus de Offida” quando nei calendari abitualmente si riportano solo il nome del santo e la sua qualifica; quando si aggiungono altri elementi o, comunque, frasi diverse, è segno che la ricorrenza è molto sentita nel luogo in cui quel codice viene utilizzato); il nome dei mesi anche in ebraico e in greco (evento insolito anche questo); le stesse due frasi relative ai dies egyptiaci disposte, in entrambi i casi, una prima dell’elenco dei santi del mese, l’altra dopo l’elenco. Infine, che fossero destinati ad una comunità farfense è provato dalla presenza nel Salterio della “Festivitas sancti Thome abbatis monasterii Farfensis” (10 XII); e che questa comunità potesse essere solo quella offidana è dimostrato dalla presenza di alcuni santi locali (s. Venanzio da Camerino al 18 maggio, s. Emidio al 5 agosto, ecc.) e, soprattutto, quella del beato Corrado da Offida (12 dicembre). V. anche F. Manzari, Messale destinato a Offida, scheda 34, in Illuminare l’Abruzzo, Pescara 2012, pp 226-7; Ead., Pittori e miniatori tardogotici tra Marche e Abruzzo: un Messale miniato destinato a Offida, in Civiltà urbana e committenze artistiche al tempo del Maestro di Offida (secoli XIV-XV), Atti del Convegno (Ascoli Piceno, Palazzo dei Capitani, 1-3 dicembre 2011), a cura di S. Maddalo e I. Lori Sanfilippo, Roma 2013, pp. 161-88.
[49] Ascoli Piceno, Archivio di Stato, Archivio notarile mandamentale di Offida, n° 7 notaio Perotti Pier Tommaso, copertina del vol. VI.
[50] Ad coenam agni providi: inno del V secolo utilizzato nei vespri del tempo di Pasqua, è un classico esempio della simbologia dell’Agnello pasquale nell’eucologia.Il repertorio biblico di riferimento alla cena di nozze dell’Agnello attraversa un po’ tutta la Scrittura: dal libro della Genesi all’Apocalisse, il tema della cena delle nozze dell’Agnello, l’Agnello mistico e pasquale, ha avuto grande diffusione in tutta l’arte cristiana dei primi secoli e oltre.
[51] La prima strofa è scritta sotto due tetragrammi in notazione quadrata.
[52] Il testo è distribuito su due colonne.
[53] L’espressione non è nuova. La troviamo riferita, tra i vari, a S. Agostino (“profundus et humilis doctor“: H. Tournely, Cursus theologicus scholasticus-dogmaticus et moralis, Coloniae Agrippinae 1752, p. 147), che a sua volta l’aveva utilizzata per S. Cipriano (“pius atque humilis doctor“: De praedestinatione sanctorum ad Prosperum et Hilarium, p. 60). Con identica espressione si dichiarano due frati predicatori (“ego frater Guillermus Totani sacri ordinis fratrum predicatorum humilis doctor et lector insignis ecclesiae primatis Galliarum Sancti Johannis Ludovici” in Speculum finalis retributionis: www.franci-scan-archive.org/reginald/opera/sfr-pro.html) e l’irlandese “Symo Lacy Sacrae Paginae humilis doctor ac Vicarius generalis ordinis Fratrum Praedicatorum“ che nel 1505 “concedit Johanni Caddell et Geneta Taylor […] participationem omnium Missarum, orationum, praedicationum, jejuniorum etc. istius ordinis per Hiberniam” (www.sources.nli.ie/Re-cord/MS_UR_017154).
[54] Così anche l’arenga della bolla indirizzata da Eugenio III (1145-53) il 5 febbraio 1150 all’abate criptense Nicola con la quale accoglie sotto la tutela e nella giurisdizione della Chiesa il monastero di Grottaferrata, lo dichiara libero e lo scioglie dall’obbligo di versare la decima al vescovo di Tuscolo: E. Follieri, Il crisobollo di Ruggero II re di Sicilia per la Badia di Grottaferrata (aprile 1131), in “Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata”, 42, pp. 49-81 1988; G. Breccia, “Bullarium cryptense”. I documenti pontifici per il monastero di Grottaferrata, in Le storie e la memoria. In onore di Arnold Esch, a cura di R. Delle Donne – A. Zorzi, Firenze, pp. 3-32 2002, p. 10. La stessa arenga, con varianti, ricorre in altre bolle dello stesso pontefice, come quella indirizzata a Teobaldo, vescovo di Parigi (1143-57): H. Sauval, Histoire et recherches des antiquités de la ville de Paris, Paris 1724, vol. III, p. 49. La prima formulazione della frase è in Odo de Deogilo: De profectione Ludovici VII in Orientem (Odonis de Diogilo De Ludovici VII Francorum regis cognomento junioris profectione in orientem Cui ipse interfuit Opus septem libellis distinctum. Epistola Odonis ad venerandum abbatem suum Sugerium, in PL, 185, pp. 21-23).
[55] “hic inmolata est hostia”.
[56] Nel Praefatio si legge: “Qui salutem humani generis in ligno crucis constituisti”.
[57] “sua sanctissima passione in ligno crucis nobis justificationem meruit”: H. Denzinger, Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. XXXVI, a cura di Schonmetzer A., Barcelona – Freiburg – Roma 1976, n° 1529.
[58] Antiphonale monasticum, pp. 709, 864; v. anche J. de Ribera, Regla y Constituciones de las Monjas Descalzas Agustinas, Valencia 1775, p. 180; S. Wenzel, Latin sermon collections from later Medieval England, Cambridge 2005, p. 499.
[59] È il primo verso della terza strofa, che a sua volta riprendeva da Isaia 52, 2.
[60] F. Noel, Opuscola poetica in quattuor partes distribuita, Francofurti 1717, p. 63; T. Haye, Das lateinische Lehrgedichte im Mittelalter. Analyse einer Gattung, Freiburg 1995, p. 102 nota 240; Initia carminum Latinourm saeculo undecimo antiquiorum. Bibliographisches Repertorium für die lateinische Dichtung der Antike und des früheren Mittelalters, a cura di D. Schaller, E. Köngsen, J. Tagliabue, Göttingen 2005, p. 259.
[61] U. Chevalier, Repertorium hymnologicum: Catalogue des chants, hymnes, proses, séquences, tropes en usage dans l’Eglise latine depuis les origines jusqu’à nos jours, Paris 1919, vol. II, n° 15450.
[62] “Gaude felix Christi familia sancti marci colens sollemnia tanti patris …”, antifona dell’ufficio delle ore di san Marco evangelista: Analecta hymnica medii aevi.
[63] “Rex qui regnas sine fine da digne nos Katherinae colere sollemnia”, s. Caterina d’Alessandria: E. Misset, Analecta Liturgica, London 2013, pp. 456-7.
[64] Lo stesso Pontefice compose il responsorio De paupertatis horreo e l’antica sequenza Caput Draconis ultimum con l’antifona Sane te Francisce, propera: Salimbene de A., Cronica, edizione critica a cura di G. Scalia, Roma-Bari 1966, n° 2591.
[65] V. in Appendice il facsimile dall’Antifonario Venezia, Lucantonio Giunta 1504.
[66] Del magister Thomas Gualterii Guidonis, che non solo qui qui si dichiara “humilis doctor” nelle scienze del trivio e per lungo tempo notaio presso l’ufficio delle riformanze del Comune di Fermo, ho rintracciato moltissime informazioni:
– 1280 ottobre 7: teste nella sentenza promulgata in Offida dal rettore della Marca contro Ascoli, Ripatransone e Acquaviva per la distruzione dei castelli di Mercato e Bonrepaduro (Fermo, AS, Fondo diplomatico, n° 1072; AP, XXXI, Suppl., n° XXVI, p. 38);
– 1286 17 XII: roga un atto in S. Maria (AP, XXXI, Suppl., n° XXVI, p. 38);
– biennio 1298 – 1299 e ancora nel 1316: è notarius reformationum a Fermo (Fermo, AS, Fondo diplomatico, docc. ni 608, 1645, 2323, 2324, 2328, 2331);
– 1291: collettore delle decime a Fermo (Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Marchia, a cura di P. Sella, Città del Vaticano 1950, passim);
– 1306 gennaio 10: presente alla seduta consiliare che nomina due rappresentanti da inviare al parlamento provin-ciale di Montolmo del 15 successivo (L. Zdekauer, Atti del Parlamento di Montolmo del 15 gennaio 1306, in “Bollettino della Commissione per la pubblicazione degli Atti delle Assemblee costituzionali italiane dal Medio Evo al 1831”, fasc. 1-2, vol. I 1916);
– 1307 dicembre 24: presente in Sant’Agostino di Offida a un contratto di promissione regolare: “Anno Domini millesimo .CCCVII., indictione quinta, tempore domini Clementis pape quinti et die octavo exeunte decembre. In ecclesia Sancti Agustini presentibus domino Thoma Gualterii fratribus Paulo Iacobo Bondii Nocentino et aliis Iacobuctius […] Deo et beato Agustino et promixit fratri Thome Iacobi priori dicti ordinis servire ipsi ordini in paupertate castitate et obbedientia et mixit manus suas in manus ipsius quomodo converso et fratre ad velle fratrum et po<st> hec donavit eidem pro ordine omnia sua bona et afirmavit per dictum observare predictum et i<n> pena dupli per ordinem rogatus (!). De hoc protocollo et contractu rogatus fuit magister Gualterius Laurentii notarius qui morte preventus ipsum publicare non potuit ideoque ego Lallus Thome publicus notarius prout in dicto protocollo inveni nil addens vel minuens quod sententiam mutet vel variet ita hic per ordinem scripsi copiavi exemplavi et de mandato licentia et auctoritate nobis data et concessa a conscilio .CCC.torum populi Offide et tempore domini Leonardi de Exculo honorabilis potestatis terre Offide publicavi et in publicam formam reddey et meum singnum posui. (ST)”.
– 1310: finanzia col figlio Pietro, iurisperitus, la costruzione dell’altare di Sant’Anna in Santa Maria (Offida 1979, p. 42); nel 1315 tra i notai del podestà di Perugia, Thomassius Nigri de Suppis de Firmo, compare un Petrus de Offida; V. Giorgetti, Podestà, Capitani del popolo e loro ufficiali a Perugia (1195-1500), Spoleto 1993, p. 122;
Ebbe almeno tre figli: il citato Petrus, Guertius (che nel 1311 risulta tra gli offidani aderenti al partito ascolano che vengono assolti dal papa: Quinternone, ff. CLXXVIIII-CLXXXIIr.) e Thomassuctius (presente in Rationes, cit., p. 578, e le cui figlie risultano presenti alla c. .XVI.r del Catasto trecentesco di Offida).
[67] Statuta Ophydanorum ab omnibus erroribus emendata ac in melius quam antea erant diligenti cura regormata, ex Typographia Sertorii de Montibus, Firmi MDLXXXIX, lib. I cap. 3.
[68] “[…] festi sanctissimae Crucis de mense maii, in qua est vera caro et sanguis domini nostri Iesu Christi, ut ab omnibus oculata fide videri potest […]”: Statuta Ophydanorum, cit., lib. II cap. 12.
[69] La prendo in esame in una pubblicazione in corso di stampa.
[70] “Al grande pubblico l’editoria cattolica preferisce fornire penosi surrogati piuttosto che dar spazio ad opere di critica serena ed obiettiva”: Gramaglia 1991, p. 114.
[71] Del notaio Doria ci sono pervenuti cinque registri (Ascoli Piceno, Archivio di Stato, Notai del mandamento di Offida, n° 81): I. “Dalli undeci Gennaro 1786 a … undeci Decembre 1789”; II. “Dalli 3 Gennaro 1790 a tutto li 14 Decembre 1793”; III. “Dalli quattro Gennaro 1794 a tutto li 19 Gennaro 1807”; IV. “Rubricello degli atti rogati dal Notaro Signor Giovanbattista Doria Offidano incominciando col giorno 9 Marzo 1809 a tutto il dì 13 Settembre dell’Anno 1820”; V. volume costituito da una raccolta di copie tenute insieme con uno spago, sulla cui copertina cartacea è stata incollata una etichetta con la scritta “Mazzo di copie 1°. Doria Giovan Battista”, alla quale è stato aggiunto a matita da altra mano l’anno 1788. La historia, che il Doria dichiara di aver copiato il 18 aprile 1788, non compare nei registri pervenutici. Probabilmente l’iniziativa va inquadrata nell’ambito del rilancio del culto eucaristico verificatosi sul finire del Settecento, quando nel giro di 10 anni compaiono la seconda edizione dell’Urbani (La Sacra historia d’Offida, ove con stile historico si ha piena Relatione del miracoloso avenimento successo l’anno 1273 in Lanciano nella stupenda transmutatione dell’Augustissimo Sacramento dell’Eucharistia tripartito in hostia, Sangue, e Carne. Religiosamente conservato in una Croce nella Chiesa delli RR. PP. di S. Agostino di essa Terra d’Offida. Il tutto fedelmente cavato dall’antico originale latino, per opera del Molto R. D. M. Agostino Urbani d’Offida Provinciale della Marca dell’Ordine di Sant’Agostino. Historia molto maravigliosa, e molto utile a chiunque ha fede nella realtà del vero corpo, e Sangue di Cristo Signor Nostro nel Santissimo Sacramento dell’Altare; II ed. Ripatransone 1779, I ed. Iesi 1625); il lavoro di D. Marcolini (Succinto ragionato ragguaglio dell’ammirabile Ostia Sacra che nella Chiesa de’ PP. Agostiniani dell’insigne Terra d’Of-fida si venera, diretto in forma di lettera dall’Autore D. M. F. E. A. ad un suo amico, che con premura bramavalo, Roma 1785) e la copia della primitiva pergamena (1788): tre operazioni volute dagli agostiniani, considerato che i primi due sono agostiniani e il notaio dichiara che ha eseguito la copia per volere degli stessi agostiniani di Offida.
[72] sic, acceptum nel libro del Merli e acceptam in Sergiacomi
[73] quam in B