La Cassazione rigetta il ricorso finale. No al processo per il risarcimento delle vittime
ROMA – La strage di Ustica verrà archiviata senza colpevoli e senza che ne siano state accertate le cause. Non si saprà mai cos’è accaduto nel cielo, tra Ponza e Ustica, la sera del 27 giugno 1980. Né perché si disintegrò il Dc9 dell’Itavia che era partito da Bologna alle 20,08 diretto a Palermo. Un altro mistero si aggiunge alla lunga lista di «buchi neri» della storia della Repubblica. La definitiva archiviazione arriva con la sentenza della Corte di Cassazione che, ieri pomeriggio, ha rigettato il ricorso presentato dalla Procura generale di Roma contro la decisione della Corte d’Appello che aveva assolto i generali dell’aeronautica Lamberto Bertolucci e Franco Ferri dall’accusa di «alto tradimento». La sentenza di ieri, letta dal presidente della I sezione Torquato Gemelli, preclude così ai familiari delle vittime la possibilità di iniziare un processo civile per ottenere il risarcimento. Ma una nota di Palazzo Chigi ricorda che, in ogni caso, i familiari della vicenda di Ustica potranno chiedere il risarcimento come «vittime del terrorismo e delle stragi» grazie alla Finanziaria.
I generali Bertolucci e Ferri, quindi, all’epoca dei fatti rispettivamente capo e sottocapo di stato maggiore dell’Aeronautica, escono dalla vicenda con un’assoluzione piena «perché il fatto non sussiste». La Corte di Cassazione ha rigettato anche il ricorso delle parti civili, la Presidenza del Consiglio e la Difesa. L’avvocatura dello Stato aveva cercato di far riscrivere la formula con cui i due militari erano stati assolti in Appello, il 15 dicembre del 2005. Secondo i legali Massimo Giannuzzi e Giovanni De Figuereido l’assoluzione avrebbe dovuto essere riproposta con la formula «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato». Ciò perché prima che venisse depositata la motivazione dell’Appello è stata approvata una legge che ha depenalizzato alcuni reati militari, tra questi il depistaggio e la turbativa. In questo modo si sarebbe consentito ai familiari l’avvio dell’azione civile. «Che ovviamente – commenta amaro il prof. Alfredo Galasso, uno degli avvocati di parte civile – non voleva essere la ricerca di una soddisfazione economica, ma il tentativo di lasciare aperto uno spiraglio contro il definitivo insabbiamento di una vicenda scandalosa». La storia della strage di Ustica è lunga 27 anni e ha ruotato sempre attorno all’ipotesi accusatoria – a suo tempo sostenuta dal giudice Rosario Priore, giunto dopo un certo periodo in cui le indagini non si può dire siano state molto efficaci – che l’accertamento della verità sia stato impedito dai vertici dell’Aeronautica.
L’inchiesta è andata avanti imbrigliata nelle difficoltà sempre in agguato quando le indagini entrarono nei segreti delle strutture militari. L’istruttoria si chiuse il 31 agosto del 1999 con l’ipotesi che l’aereo fosse rimasto coinvolto in uno scenario di battaglia in cielo. Un aereo civile, cioè, sarebbe stato risucchiato durante una non meglio identificata «azione» tra aerei militari (italiani? stranieri?) uscendone polverizzato o perché colpito da un missile o per una «quasi collisione». Dentro questa ipotesi acquistò grande visibilità il sospetto che nella vicenda fosse stato coinvolto il Mig libico caduto tra i monti della Calabria e trovato il 18 luglio di quell’anno.
La lentezza del processo procurò la perdita di una serie di imputati minori, graziati dalle prescrizioni, quasi tutti militari ritenuti reticenti, se non addirittura depistatori. In primo grado l’accusa sarà di alto tradimento, riconosciuto dalla Corte d’Assise per Bertolucci e Ferri ma nell’accezione meno grave (aver «turbato» e non «impedito» le funzioni di governo) e quindi prescritta per il tempo trascorso. I generali Melillo e Tascio, invece, verranno assolti «per non aver commesso il fatto», sentenza non appellata. Gli ufficiali «prescritti», invece, faranno ricorso e saranno assolti in Appello e ieri in Cassazione, tanto da poter esternare tutta la loro soddisfazione per «essere usciti da un incubo».
(Fonte: La Stampa)